In campagna elettorale Forza Italia lancia una riforma fiscale dai costi alti. Ma è una promessa poco credibile. Perché una proposta simile era stata fatta nel 2001 dal governo Berlusconi e mai realizzata, pur in condizioni più favorevoli delle attuali.
Una vecchia promessa
Correva l’anno 2001 e nel Documento di programmazione economica e finanziaria del neonato governo Berlusconi, al capitolo “La politica economica 2002-2006: il progetto per l’intera legislatura”, si legge che “(…) per quanto riguarda le persone fisiche la riforma mirerà a ripartire in senso più equitativo e progressivo il carico delle imposte facendo diretto riferimento al nucleo familiare come soggetto di imposta. A tali fini verranno ridotte a due le aliquote, una del 23 per cento per i redditi fino a 200 milioni [di lire] e la massima del 33 per cento per i redditi superiori. I redditi intorno ai 22 milioni [di lire] fruiranno, in funzione della composizione del nucleo familiare, di un’esenzione totale. Si otterrà in tal modo la progressività del carico fiscale sia in senso verticale, relativamente ai diversi livelli di reddito, sia in senso orizzontale, relativamente al numero dei componenti della famiglia, anche introducendo deduzioni di reddito imponibile per ogni componente del nucleo familiare, concentrate sui redditi medio-bassi e adeguate ai costi effettivi minimi di decorosa sussistenza”.
La proposta non rimase solo un proposito del Dpef, ma nel 2003 fu concretizzata con l’approvazione della legge delega n. 80, in cui all’articolo 3 si disciplina la nuova imposta sul reddito riducendo a due le aliquote, “rispettivamente pari al 23 per cento fino a 100 mila euro e al 33 per cento oltre tale importo”. Inoltre, vi si definisce la volontà di istituire una no tax area e di concentrare le deduzioni sui redditi medio-bassi. Ci troviamo quindi in presenza non di una vera e propria flat tax, ma di una imposta simile, a due aliquote e due scaglioni.
Costi di ieri e di oggi
A suo tempo lavoce.info commentò ampiamente la legge delega (si veda Guerra e Giannini e Baldini e Bosi).
Dal punto di vista dello sforzo finanziario richiesto, la proposta fatta quindici anni fa risultava più realistica rispetto a quella che Forza Italia lancia in questa campagna elettorale. Sarebbe infatti costata circa 24 miliardi, che sono più o meno la metà di quanto costerebbe l’attuale proposta di Forza Italia.
Tuttavia, quella legge delega non è mai stata attuata perché non sono mai stati promulgati i decreti delegati. Il motivo addotto è stato l’eccessivo aggravio che ne sarebbe derivato per le finanze pubbliche, benché anche allora, come oggi, la motivazione principale della riforma fosse riposta in un forte recupero dell’evasione fiscale.
La decisione di non dare seguito alla legge delega, peraltro, fu presa in un periodo in cui le finanze pubbliche del nostro paese erano in una situazione migliore dell’attuale.
Il rapporto debito pubblico/Pil nel 2001 si attestava al 104,7 per cento e negli anni successivi sarebbe sceso fino ad arrivare nel 2004 a 100,1 per cento. Invece, negli ultimi quindici anni il rapporto debito pubblico/Pil è aumentato di 30 punti percentuali, in gran parte per il calo del Pil, attestandosi nel 2016 al 132 per cento.
Ci si chiede come in una situazione di finanze pubbliche di gran lunga più sfavorevole rispetto a quella del 2003 – a causa della crisi economica degli ultimi dieci anni – possa essere credibile la promessa di realizzare una riforma fiscale che richiede un aggravio finanziario di gran lunga maggiore. Soprattutto quando la prima non è mai varata, come invece promesso, seppure le condizioni fossero più favorevoli.
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