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Canali informali per cercare lavoro

I dati confermano che per trovare lavoro gli italiani ricorrono in modo sistematico ai canali informali. Ma ciò ha gravi conseguenze: frena la capacità di selezione del mercato e porta a perdite di produttività. E anche sui sussidi bisogna fare attenzione.

I canali per la ricerca di lavoro

Una recente ricerca Inapp mostra che negli ultimi dieci anni 4,7 milioni di persone (il 56 per cento) hanno trovato una occupazione fuori dal mercato del lavoro palese; in totale si tratta di 10 milioni di lavoratori.

La ricerca di lavoro è, ormai, una attività senza soluzione di continuità –mercati transizionali – e le modalità di intermediazione – i canali di ricerca – influenzano i percorsi di (re)inserimento lavorativo, con ricadute sulla qualità dell’occupazione reperita. Le scelte sono condizionate da vincoli personali, dalla possibilità di accesso a determinati canali, da vincoli ambientali, dalla tipologia di posti di lavoro disponibili. Affinché il processo sia fluido e l’allocazione efficiente è necessario che la fase di ricerca (searching) e di abbinamento (matching) siano rapide, soddisfacenti (in termini di qualità dell’occupazione) e coerenti (con il profilo della persona in cerca). Questi processi sono difficili da ricostruire, non a caso Barbara Petrongolo e Christopher Pissarides parlavano di looking in the black box. L’Indagine Inapp-Plus offre la possibilità di superare gran parte dei limiti epistemologici e di misurazione nella dinamica di intermediazione

La Figura 1 mostra attraverso quale canale di ricerca i rispondenti abbiano ottenuto la loro attuale occupazione, distinguendo tra le collocazioni prima e dopo il 2011 per rendere la lettura omogenea. Emerge, infatti, come il ricorso ai canali informali sia ampio, sistematico e diffuso.

Il canale che ha acquisito più importanza è l’autocandidatura, passato dal 13 al 18 per cento, grazie al ruolo crescente dei social. I dati mostrano una ampia e generalizzata digitalizzazione degli strumenti di ricerca: si è passati dal 25 per cento degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet durante la fase di ricerca di lavoro, al 50 per cento del 2010, fino al 75 per cento del 2021 (80 per cento per chi ha più del diploma e 50 per cento per chi ha le medie inferiori). Il processo introduce, anche in questo campo, una forte disintermediazione, in altre parole una ulteriore dose di informalità nel mercato, che va governata. Anche per questo, come suggeriscono le organizzazioni internazionali (Oil e Ue), è necessario promuovere una strategia digitale della “burocrazia del lavoro”.

Nella Tabella 1 si mostrano i canali di ricerca per le caratteristiche dell’utenza. I canali formali sono utilizzati maggiormente dalle persone con istruzione elevata, nelle imprese di più grandi dimensioni in termini di addetti e conducono a retribuzioni superiori. I canali informali sono utilizzati prevalentemente dalle imprese più piccole e portano a livelli retributivi mediamente inferiori.

Lavoro cattivo scaccia lavoro buono

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I dati confermano l’intollerabile peso della informalità nel mondo del lavoro, un tratto strutturale del nostro mercato che non accenna a ridursi, anzi. Pur volendo distinguere tra informale buono (reputazione, promozione personale) e cattivo (raccomandazione, combine), le implicazioni che ne derivano sono tante:

  1. limita la contendibilità delle opportunità (non accedi alle vacancies, effetto razionamento);
  2. crea inefficienza allocativa (le posizioni migliori non sono appannaggio delle persone migliori)
  3. impoverisce il capitale sociale, relazioni opache generano favoritismo, depressione, working poor;
  4. ostacola le pari opportunità;
  5. inibisce la capacità di selezione del mercato: svilisce il merito, l’istruzione e la professionalità;
  6. produce collocazioni inefficienti che nel lungo periodo creano perdite di produttività, efficienza e qualità;
  7. alimenta la cosiddetta fuga dei cervelli, ovvero il capitale umano migliore se ne va dove viene riconosciuto;
  8. contribuisce alla (im)mobilità sociale, in quanto il lavoro si eredita, e quindi frena l’ascensore sociale;
  9. riduce la quantità del mercato del lavoro palese a soli 8,5 milioni di posizioni (3,7 tra il 2011-2021).

L’azione erosiva del mercato del lavoro palese non è prodotta solo dall’informalità, vi concorre anche il lavoro irregolare o nero: dunque, lavoro cattivo scaccia lavoro buono. D’altro canto, è evidente come l’informale sia una condizione necessaria (sebbene non sufficiente) per dare un impiego irregolare.

Infine, se leggiamo congiuntamente le recenti elaborazioni Inapp su base Inps che mostrano come 1 nuovo posto di lavoro su 4 sia incentivato e le evidenze sulla intermediazione informale (1 impiego su 2 è stato ottenuto informalmente), si intravede il rischio di un esito indesiderato: l’erogazione di sussidi che alimentano l’occupazione gestita informalmente. In altri termini, se l’interesse pubblico è quello di sostenere i giovani, le donne, il Mezzogiorno o la domanda di lavoro qualificata, allora andrebbe verificato che questi soggetti non godano già di una posizione di favore. Andrebbe cioè scongiurata una polarizzazione tra chi è doppiamente favorito (conoscenze e sussidi) e chi è doppiamente sfavorito (non ha conoscenze e non accede ai posti sussidiati).

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Cosa significa la riduzione delle cause di lavoro

  1. Savino

    Ecco un esempio di cosa bisognerebbe “aprire come una scatoletta”, invece le politiche del lavoro degli ultimi anni, con le complicità della società italiana, dal coefficiente etico pari a zero , hanno proceduto alla legalizzazione delle modalità più ripugnanti del fenomeno.

  2. Alex

    …”I dati confermano l’intollerabile peso della informalità nel mondo del lavoro, un tratto strutturale del nostro mercato che non accenna a ridursi, anzi”…Qualcuno ha forse idea da quanto tempo questo “tratto strutturale” caratterizza il nostro, piuttosto stantio, mercato del lavoro? Non saprei se per ridurre il fenomeno basterebbe “tirarsi su le maniche” con buon senso e buona volontà.

  3. Pietro Della Casa

    Naturalmente è un po` semplicistico mettere sullo stesso piano le ricerche di figure professionali diverse, e in certi casi una preferenza per i canali informali ci può anche stare. Comunque io credo che lo scarso uso di canali formali laddove essi sarebbero invece premianti sia dovuto in parte al fatto che la società italiana è caratterizzata da un basso livello di fiducia (ci si aspetta che il prossimo sia lì per fregarci a meno che non vi sia a priori una connessione “familistica”) ed in parte semplicemente ad inconfessabile ed inconfessata pigrizia.

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