Il lockdown generalizzato impone ai giovani danni significativi per un rischio corso essenzialmente solo dagli anziani. Se una separazione completa per fasce di età è impossibile, si può comunque procedere per gradi.
Numeri inequivocabili
Tra il 13 ottobre e il 4 novembre i morti in Italia per Covid-19 sono stati 2.819. Solo 25 di loro avevano meno di 50 anni. I dati dell’Istituto superiore di sanità ci dicono che, negli ultimi trenta giorni, tra i nuovi positivi con età 20-50 (circa la metà dei nuovi positivi totali) solo lo 0,25 per cento era in stato “critico da terapia intensiva” e solo l’1,88 per cento era in stato “severo da ricovero”. Le stesse percentuali nella fascia 51-70 sono 1,31 per cento e 6,41 per cento, mentre per gli ultra-settantenni sono 2,56 per cento e 19,38 per cento. Nella fascia 0-19 anni non ci sono pazienti Covid in terapia intensiva e solo lo 0,61 per cento è considerato in stato “severo da ricovero”.
Queste cifre (che peraltro non differiscono molto da quelle di altri paesi) confermano quello che da tempo sappiamo. Quando il virus riparte, il collasso degli ospedali è quasi interamente dovuto agli anziani, la parte della popolazione in cui si concentra anche la quasi totalità della perdita di vite umane.
Invece di tenere conto della diversa aggressività del Covid-19 nelle diverse fasce d’età, convogliando le politiche di contenimento della pandemia sulla protezione degli anziani e sulla riduzione dei loro contatti con i giovani, il governo chiude l’intero paese con costi economici enormi per tutti.
Secondo l’Istat, il Pil si è ridotto del 5,5 per cento nel primo trimestre di quest’anno e del 13 per cento nel secondo. Il Pil non è una entità statistica astrusa inventata dagli economisti e lontana dalla realtà delle nostre famiglie. Il Pil misura la quantità di risorse a disposizione nostra e dei nostri figli per vivere. Il lockdown ha causato perdite del denaro a nostra disposizione che ammontano a circa 20 miliardi di euro nel primo trimestre, 60 miliardi nel secondo, con una previsione di perdita totale pari a 133 miliardi su base annuale (fonte: Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza). Si tratta di più di 8 mila euro per una famiglia standard, probabilmente distribuiti in modo ineguale e iniquo nella popolazione. Secondo Linkiesta, per esempio, le richieste al Banco Alimentare sono aumentate del 40 per cento.
Nel lungo termine, se si dovesse continuare con il lockdown a ogni nuova futura ondata del virus, lo stato potrebbe non essere più in grado di assicurare servizi come scuole, medicinali e ospedali e l’accesso a beni di consumo essenziali, oltre che a quelli voluttuari, potrebbe diventare molto problematico. Pensare che il debito pubblico aggiuntivo per tamponare l’emergenza possa risolvere il problema è illusorio: anche se il suo costo è contenuto grazie all’Europa, dovrà comunque essere ripagato da qualcuno.
Da questi calcoli, poi, è escluso il danno significativo che noi anziani stiamo imponendo ai giovani, costringendoli a non proseguire la loro normale vita di affetti e relazioni, il loro investimento in capitale umano e la loro crescita in esperienza lavorativa, tutti fattori cruciali alla loro età. E tutto ciò perché noi anziani, pur sapendo di essere gli unici che corrono un vero rischio nella pandemia, non vogliamo isolarci e fare di più per evitare di entrare in contatto con il virus. Oltre a caricare i giovani di un debito – passato e presente – non da loro accumulato, gli anziani vogliono anche impedire loro di vivere e lavorare come potrebbero nonostante la pandemia.
Separazione anche per gradi
Molti dei provvedimenti che abbiamo suggerito (insieme ad altri, come Ispi) nei nostri precedenti articoli su lavoce.info (qui e qui) e sul Corriere della Sera hanno costi quasi nulli (apertura differenziata dei supermercati) o bassi (separare giovani e anziani nei trasporti, tenere a casa gli insegnanti anziani mandando a scuola gli alunni, ridurre dove possibile i contatti intergenerazionali nelle famiglie). Se non vengono ripresi dal governo è solo per una assurda ragione ideologica che preferisce un trattamento negativo per tutti (lockdown generalizzato) piuttosto che un costo solo per alcuni.
Altri interventi che abbiamo suggerito (ridurre l’attività lavorativa degli anziani in ogni settore e di tutti nei settori produttivi ad alto rischio di contagio) sono più complessi da attuare, ma le nostre stime ci dicono che potrebbero aiutarci a dimezzare le perdite economiche senza provocare perdite di vite umane in più rispetto all’alternativa del lockdown.
Le nostre simulazioni sono basate su dati analizzati con teorie economiche e tecniche statistiche accreditate: possono contenere errori, ma già ad aprile avevano previsto la seconda ondata (qui un aggiornamento). E sono anche soggette alla verifica e al controllo della comunità scientifica. Non ci risulta che lo stesso valga per molti opinionisti che ci hanno criticato, ai quali abbiamo chiesto quale base scientifica motivasse le loro obiezioni: in molti casi non abbiamo ricevuto risposta e in altri siamo stati addirittura invitati a fare riferimento a post di facebook come evidenza. Siamo sicuri che sia opportuno affidare ai blog e a twitter una discussione che coinvolge il futuro di milioni di vite umane?
Perfino Lancet, pubblicando il John Snow Memorandum, afferma che isolare la popolazione ad alto rischio è “practically impossible” (praticamente impossibile) e “highly unhetical” (estremamente immorale), ma omette di indicare citazioni a supporto di queste affermazioni, come invece fa per molte altre nello stesso testo.
Tra le critiche che abbiamo ricevuto, quella che ci sembra meriti attenzione riguarda proprio l’impossibilità concreta di separare gli anziani dai giovani in modo completo. Tuttavia, i nostri critici non hanno realizzato che anche una separazione incompleta ridurrebbe i morti e i malati gravi dovuti al Covid-19, con costi economici inferiori rispetto al lockdown generalizzato. Ogni riduzione dei contatti tra giovani e anziani, anche se parziale, aiuterebbe: per questo riteniamo importante che la popolazione sia invitata in modo forte e chiaro a limitare, per quanto possibile, i contatti intergenerazionali e a osservare in modo scrupoloso le misure preventive (mascherine e distanza) per ridurre il contagio quando il contatto sia inevitabile. Tanto più perché, come forse sfugge ai nostri critici, le persone sotto i 50 anni hanno una probabilità di essere malati Covid asintomatici quasi doppia rispetto a chi si trova tra i 50 e i 70 anni e quasi cinque volte maggiore rispetto agli ultra-settantenni (vedi di nuovo i dati Iss).
In ogni caso, i provvedimenti da noi suggeriti sarebbero temporanei. L’idea che provvedimenti limitati nel tempo, in attesa del vaccino, possano creare una ferita irrimediabile alla coesione sociale (come qualcuno ha detto) è pretestuosa.
Sorprende soprattutto che il governo, le autorità sanitarie, i medici di base, i mezzi di informazione non dicano chiaramente alla popolazione che il virus è rischioso quasi solamente per gli anziani e che quindi sono soprattutto loro a dover stare attenti. Statistiche come quelle proposte all’inizio dell’articolo non appaiono sulle pagine dei giornali, dove invece si ricordano con evidenza i pochissimi casi di giovani aggrediti dal virus. Il livello di attenzione nella popolazione aumenta con la coscienza dei rischi reali: dare una corretta informazione ha un costo zero e salverebbe molte vite umane.
* Questo articolo è apparso in contemporanea su Il Foglio.
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