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Troppo presto per le patenti di immunità

Gli immunizzati al coronavirus sono davvero così tanti come dicono alcune stime? C’è ancora troppa incertezza sui dati di partenza per affermarlo. Per capire l’effettiva diffusione del contagio serve un monitoraggio su campioni rappresentativi.

Contagiati in Italia: sono davvero così tanti?

Ogni sera alle 18 la protezione civile diffonde il bollettino sulla base del quale giornalisti e analisti si applicano nel difficile esercizio di trarre informazioni utili sull’andamento del contagio da Covid-19 in Italia. Tuttavia, buona parte dei casi sfugge alle statistiche ufficiali e l’estrema variabilità nel tempo e nello spazio delle politiche di screening adottate rendono ancora più complicata l’interpretazione dei dati.

D’altra parte, gli enormi costi delle attuali restrizioni ci impongono di fare il possibile per valutare il numero di persone potenzialmente immunizzate, l’unica variabile contro la quale andrebbe misurata l’opportunità di una proroga o di un allentamento delle restrizioni, pur nell’attesa di maggiore chiarezza sull’effettivo grado di protezione di chi ha contratto il virus.

Conoscere il numero dei contagi sommersi è infatti di cruciale importanza per prevedere con quale velocità l’epidemia potrebbe riprendere dopo la riapertura. Non solo, la stima è fondamentale anche per valutare la ragionevolezza delle possibili soluzioni da adottare per la fase 2. È chiaro, ad esempio, che la proposta della “patente di immunità” ha senso solo se a essere entrata in contatto col virus è una percentuale ragionevolmente alta della popolazione.

Ma se nelle statistiche ufficiali vediamo solo la punta dell’iceberg, come possiamo farci un’idea di quante persone sono state contagiate? Come spiegato in un precedente articolo, a partire dal numero dei decessi e dai tassi di letalità per età, è possibile stimare il numero di persone contagiate. L’intuizione è semplice: se la letalità per gli ottantenni è del 10 per cento, per ogni decesso ci devono essere 10 contagi.

Partendo da un ragionamento simile, l’Ispi ha stimato 1,4 milioni di contagi, con picchi che raggiungono il 20 per cento della popolazione in alcune province della Lombardia. Altri parlano addirittura di 6 milioni. Parrebbe dunque esserci un esercito di immunizzati pronti a rientrare al lavoro, una volta individuati, a rischio zero.

Ma quanto sono affidabili questi numeri? Apportando piccoli aggiustamenti alle ipotesi di partenza otteniamo numeri ben diversi, decisamente meno ottimistici. Le stime si basano sul numero di decessi e sul tasso di letalità, due punti che è bene discutere separatamente.

La letalità reale in Italia

La diversa età dei contagiati potrebbe giustificare forti differenze nei tassi di letalità media nei diversi paesi. L’Ispi calcola un tasso di letalità medio dell’1,2 per cento per l’Italia, stimato riproporzionando i tassi di letalità teorici alla distribuzione dell’età nella popolazione italiana.

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Il metodo sarebbe corretto se la diffusione del contagio fosse perfettamente omogenea. Assunzione discutibile, specialmente in vista delle recenti notizie che suggeriscono che il virus ha colpito in modo particolare i più anziani. Ciò che conta per determinare la letalità media non è infatti l’età nella popolazione totale, bensì quella dei contagiati. Sulla base dei dati relativi al numero di decessi disaggregati per fascia d’età, è possibile stimare il tasso medio di letalità in maniera più accurata.

Se si ricostruisce il numero di contagiati dividendo il numero dei decessi per i tassi di letalità in ogni fascia d’età, appare evidente che la distribuzione dell’età della popolazione infettata è fortemente spostata verso destra rispetto a quella della popolazione generale (figura 1).

Figura 1 – Distribuzione dell’età della popolazione e dei contagiati (stime).

Fonte età popolazione: World Population Prospects 2019, UN.

Fonte età contagiati: elaborazione dell’autore su decessi per fascia d’età da ISS, Epidemia Covid-19 Aggiornamento nazionale 16 aprile 2020, e stime di letalità da Verity et al. 2020.

La correzione, apparentemente marginale, comporta un notevole aumento nella stima della letalità media, che secondo questi calcoli dovrebbe attestarsi intorno al 2,8 per cento, due volte e mezzo quella indicata da Ispi. I contagiati totali sarebbero dunque “solo” 850mila.

Le stime dei contagiati under 30, non potendo essere basate sui decessi, sono calcolate assumendo che la distribuzione dei contagi per età ricalchi quella osservata per i positivi al campione. L’assunzione comporta una leggera sovrastima del tasso di letalità se gli infetti under-30 sono sottorappresentati tra i positivi al tampone.

Assumendo poi una distribuzione per età omogenea sul territorio nazionale, possiamo stimare la percentuale di immunizzati in ogni regione (figura 2).

Figura 2 – Percentuale contagiati nella popolazione per regione.

Nota: non disponendo della distribuzione dei decessi per età disaggregata per regione, per le stime è stato applicato un tasso di letalità uguale per tutti (2,8 per cento per l’autore, 1,2 per cento per Ispi).

Anche disaggregando per provincia, la percentuale massima di immunizzati non raggiungerebbe il 10 per cento nelle province di Bergamo e Lodi, meno della metà di quella stimata da Ispi. Decisamente troppo pochi per pensare di impostare la ripartenza sulla base di patenti di immunità.

Il numero dei decessi

Di recente, in molti hanno messo in dubbio l’affidabilità delle statistiche ufficiali sui decessi. L’ipotesi è corroborata da una serie di studi su dati Istat sulla mortalità giornaliera, che arrivano a ipotizzare che le morti reali siano il doppio di quelle ufficiali. Se accettassimo questa tesi, la stima dei contagi reali raddoppierebbe. Ma quanto è verosimile?

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L’Istat ha diffuso i dati di mortalità solo per i comuni che hanno visto un incremento dei decessi di almeno il 20 per cento rispetto agli anni precedenti. Per il momento, questi dati possono essere utili per monitorare l’andamento del contagio nel tempo e, forse, per stimare la mortalità in eccesso nelle aree di maggiore contagio, nelle quali il campione Istat copre una quota ragionevole della popolazione. Ma stimare il numero di decessi totali a partire da un campione così selezionato sarebbe come calcolare l’aspettativa di vita della popolazione studiando solo gli ultranovantenni, come già ben spiegato da Enrico Rettore e Sara Tonini su questo stesso sito. Va inoltre tenuto conto che parte della mortalità in eccesso potrebbe non essere direttamente dovuta al virus, bensì a cause a esso connesse che andrebbero comunque escluse dal nostro calcolo.

Per ora è dunque ragionevole assumere che i decessi ufficiali rispecchino in larga parte i casi reali, sperando che successive analisi della mortalità non diano ragione ai più pessimisti. Il dubbio sul numero effettivo di morti, però, rimane e si aggiunge ai già numerosi elementi di incertezza sul tema.

In breve, le stime diffuse nei giorni scorsi potrebbero sovrastimare – e di molto – il numero delle persone potenzialmente immunizzate. Stando ai numeri, una strategia per la fase 2 basata sulle patenti di immunità appare inverosimile, anche nelle aree più colpite.

Tutti questi calcoli, infatti, rimangono caratterizzati da un elevato grado di incertezza e i dubbi sull’effettiva dimensione del fenomeno non potranno essere dipanati finché non verranno effettuati test su campioni rappresentativi della popolazione.

La stima del numero dei contagiati reali è troppo importante per essere lasciata alle analisi su dati parziali da parte di centri studio o ricercatori volenterosi. Nell’attesa che i laboratori medici si organizzino per aumentare il numero dei tamponi, l’Istat dovrebbe applicarsi nello sviluppo di un sistema di stima alternativo, ad esempio basato sull’individuazione dei casi sintomatici tramite indagini telefoniche. I costi dell’operazione non sarebbero certo bassi, ma sarebbero comunque gocce se paragonati anche a un singolo giorno di lockdown non necessario o alle conseguenze disastrose di una riapertura troppo precipitosa.

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  1. toninoc

    Il virus sta allentando la morsa o almeno così appare dal miglioramento di molti dati. I dati reali li sapremo solo alla fine se chi li gestisce ce li comunicherà tutti e veritieri. Volendo anticipare statisticamente i risultati si potrebbero intervistare dei medici di base in tutte le province italiane per conoscere quanti decessi hanno certificato per patologie collegabili al corona virus durante l’epidemia. I decessi reali (totali)sono un dato inequivocabile ed a mio modestissimo avviso bisogna partire da quello per avere un risultato approssimativamente attendibile. La mortalità in eccesso andrebbe esclusa dal calcolo? Chi può escludere che anche i deceduti con altre patologie in atto , in assenza dell’epidemia, non avrebbero vissuto ancora per lungo tempo ? . Penso che attualmente, la verità sui decessi reali, a causa dell’epidemia e per le modalità con la quale si è affrontata, sia un dato troppo sensibile(soprattutto in alcune regioni del nord) per essere reso noto alla cittadinanza. Se ne discuterà più avanti nei salotti televisivi con pillole dolcificanti e nelle tribune elettorali con reciproche accuse al vetriolo.

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