Conciliare lavoro e famiglia è complicato, soprattutto per le donne. E soprattutto se mancano servizi adeguati. Per questo il bonus nido è inutile se non ci sono nidi. Mentre è utile aumentare i giorni di congedo obbligatorio per i padri.

La difficoltà di conciliare lavoro e famiglia

Conciliare lavoro e famiglia è complicato, soprattutto se mancano strutture e servizi adeguati. E lo è ancora di più per alcuni gruppi di individui. Un recente Rapporto dell’Istat fotografa la situazione italiana. Nel 2018, il 35 per cento delle persone tra i 18 e i 64 anni si prende cura di figli o familiari malati, disabili o anziani. Un dato in linea con la media dei paesi europei (34,4 per cento). Tuttavia, e forse non è sorprendente, il dato medio maschera profonde differenze tra uomini e donne e tra il Nord e il Sud del paese.

La cura dei figli è prerogativa delle madri e questo ha, naturalmente, conseguenze sul tasso di occupazione femminile. Basti pensare che mentre il tasso di occupazione dei padri di 25-54 anni è pari all’89 per cento, quello delle madri è del 57 per cento, contro un’occupazione delle donne senza figli coabitanti del 72 per cento. Le differenze occupazionali, come già sottolineato in altri contributi su lavoce.info, sono più marcate nel Mezzogiorno, dove il divario occupazionale tra madri e donne senza figli raggiunge i 16 punti percentuali (contro i 10 del Nord).

È peraltro significativo che l’11 per cento delle madri dichiari di non aver mai lavorato per ottemperare alle responsabilità di cura dei figli, contro una media europea del 3,7 per cento. Nel Mezzogiorno, il dato sale al 20 per cento.

Quando occupati, i genitori hanno difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, in particolare in presenza di bambini con meno di 5 anni. Su questo punto, benché madri e padri riportino difficoltà di conciliazione in egual misura (circa un terzo in entrambi i gruppi), sono molte di più le madri che modificano il proprio orario di lavoro per prendersi cura dei figli: il 38 per cento, contro il 12 per cento dei padri.

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I passi da fare

Quali misure possono essere messe in atto per agevolare le famiglie e per favorire un riequilibrio dei compiti di cura? Le imprese possono offrire flessibilità sull’orario di lavoro: i lavoratori part-time hanno comprensibilmente meno difficoltà rispetto a quelli full-time. La possibilità di modificare l’orario di entrata o uscita dal lavoro è un’altra soluzione gradita ai lavoratori, come emerge dal Rapporto. Tuttavia, non sempre è possibile modificare il proprio orario di lavoro, soprattutto in determinati settori o occupazioni. Per esempio, il 47 per cento dei dipendenti della pubblica amministrazione dichiara di godere di flessibilità oraria contro il 24 per cento dei dipendenti delle costruzioni, per prendere i due estremi.

D’altro canto, la politica dovrebbe impegnarsi a offrire una diffusione più capillare e più omogenea sul territorio dei servizi di cura pubblici. Più della metà dei genitori con figli di età compresa tra zero e cinque anni usufruisce di servizi, pubblici o privati, ma le quote sono decisamente più alte al Nord (58 per cento) rispetto al Sud (44,5 per cento). Per i bambini tra zero e due anni, il tasso di copertura garantito dai servizi è pari al 24 per cento sul territorio italiano. La percentuale è prossima al 30 per cento al Centro-Nord e diminuisce drasticamente nel Mezzogiorno, dove si colloca in molte regioni al di sotto del 15 per cento. Sebbene l’offerta dei servizi sia cruciale in ogni fase di crescita del bambino, anche in un’ottica di acquisizione di capitale umano, i primi anni di vita sono quelli in cui il carico di cura è maggiore e in cui le famiglie (e le mamme) hanno bisogno di maggiori supporti, affinché un’uscita temporanea dal mercato del lavoro non si trasformi in definitiva. Offrire il bonus nido è utile se si accompagna a un rafforzamento dell’offerta, specialmente nelle aree dove è più carente.

L’emendamento alla legge di bilancio che intende aumentare a dieci i giorni di congedo obbligatorio per i padri, ossia al livello stabilito dalla direttiva comunitaria dello scorso gennaio, va invece nella direzione corretta. Alla luce delle differenze nelle percentuali di madri e padri che modificano la propria offerta di lavoro in seguito alla nascita del primo figlio, un riequilibrio dei compiti di cura attraverso un maggior coinvolgimento dei padri è sicuramente necessario. Dieci giorni di congedo non avranno l’effetto della bacchetta magica per risolvere i problemi dell’equilibrio tra famiglia e lavoro nel nostro paese, ma sono un seme che può dare frutti, come accaduto altrove.

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