La Pa in sette anni ha quasi dimezzato l’ammontare dei debiti commerciali. Anche i tempi di pagamento si stanno riducendo, benché esistano ancora realtà poco virtuose. Aumenta quindi l’efficienza, ma il grosso del debito commerciale viene da lontano.
La situazione
Che la pubblica amministrazione sia un pessimo pagatore è una storia che viene raccontata da tempo. Il ritardo cronico dei pagamenti negli anni ha comportato la lievitazione dello stock complessivo dei debiti commerciali, un macigno che la Pa fa fatica a smaltire del tutto. Nel 2012 erano arrivati a quasi a sfiorare il 6 per cento del Pil, per un valore di circa 91 miliardi.
Grazie anche a vari interventi dei governi Monti e Letta, la situazione però è notevolmente migliorata e, secondo la Banca d’Italia, i debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche nel 2018 sono scesi al 3 per cento del Pil dal 3,2 per cento del 2017, attestandosi a circa 53 miliardi. Sulla base delle regole statistiche europee, una parte (circa 10 miliardi alla fine del 2018, pari allo 0,6 per cento del Pil) è già inclusa nel debito pubblico. Nonostante si sia dimezzata rispetto al picco del 2012, l’incidenza delle passività commerciali rimane comunque la più elevata in Europa, secondo le stime Eurostat.
Figura 1 – Passività commerciali delle amministrazioni pubbliche in percentuale del Pil
Fonte: Relazione annuale 2019, Banca d’Italia
Nota: la parte rossa indica la quota già incorporata nel debito pubblico.
Figura 2 – Crediti commerciali delle amministrazioni pubbliche nella UE, 2015-2018 in % del Pil
Fonte: Eurostat
Oggi si paga più velocemente, ma il debito viene da lontano
Sempre secondo Bankitalia, circa la metà del totale delle passività commerciali dipende dal ritardo accumulato nei pagamenti dalle amministrazioni pubbliche rispetto alle scadenze contrattualmente previste. Infatti, oltre al loro ammontare, un problema non da poco dei debiti commerciali della Pa è sempre stato il ritardo cronico con cui sono effettivamente pagati. Con conseguenze complicate sulla liquidità e la gestione finanziaria delle imprese creditrici.
Per questo l’Unione Europea, negli anni della crisi del debito sovrano, ha deciso di intervenire per porre dei limiti stringenti ai tempi di pagamento della Pa. Con la direttiva 2011/7, e con il suo recepimento tramite il decreto legislativo 192 del 2012, è stato quindi stabilito che i pagamenti della pubblica amministrazione dovessero avvenire entro un massimo di 30 giorni dal ricevimento della fattura e di 60 in caso di pagamenti del servizio sanitario nazionale, pena la sanzione di interessi di mora.
Come sull’ammontare complessivo del debito, sembra che la situazione stia comunque migliorando anche su questo fronte. Il “cruscotto” sui pagamenti della Pa gestito dal ministero dell’Economia ha da poco riportato risultati incoraggianti sui tempi di pagamento nel 2018.
Figura 3
Nell’ultimo anno sono state pagate circa 20 milioni di fatture con tempi di pagamento che mostrano in media un anticipo di un giorno rispetto ai termini legali. Ma il cruscotto prende in considerazione le sole fatture del 2018, senza includere quelle arretrate che la Pa si porta dietro da chissà quanto tempo. Infatti, facendo qualche conto si vede velocemente come buona parte dello stock di debito venga da lontano.
Dai conti annuali Istat delle amministrazioni pubbliche risulta che nel 2018 la spesa della Pa in consumi di beni e servizi e in investimenti fissi lordi sia stata poco più di 181 miliardi. Dai dati disaggregati pubblicati sul cruscotto del Mef si vede che il tempo medio di pagamento è pari a 53 giorni. Con un po’ di aritmetica, è facile intuire che dei 53 miliardi di debiti commerciali del 2018 solo poco più di 26 derivano dagli acquisti dello stesso anno. Questo vuol dire, come conferma anche la Banca d’Italia, che la metà dei debiti commerciali attualmente in essere derivano da incagli degli esercizi precedenti.
Non servono quindi i minibot per agevolare i pagamenti della Pa, che nella loro parte corrente sono già diventati più veloci. Servirebbe piuttosto capire come mai c’è una parte di debiti vecchia e non saldata.
I dati riportati sono medi e nascondono ovviamente sia realtà virtuose che non. Due esempi: il comune di Polpenazze del Garda ha pagato nel 2018 l’87 per cento delle sue fatture con un tempo medio di 7 giorni; all’estremo opposto c’è l’Unione dei comuni Alto Cilento, che ha pagato l’1,48 per cento di quello che doveva pagare in un tempo medio di 421 giorni.
Sebbene quindi in media la pubblica amministrazione abbia velocizzato notevolmente i tempi di pagamento, esistono ancora dei cigni neri. Che persistono nelle loro cattive abitudini anche dopo l’introduzione di strumenti che dovrebbero rendere più snelli e veloci i pagamenti. Come la fatturazione elettronica, la piattaforma per la gestione dei crediti commerciali (Pcc) e il sistema dello split payment.
Oltre a questi, dal 2012, c’è anche il sistema della certificazione dei crediti della Pa. Le imprese creditrici possono richiedere la certificazione del proprio credito, grazie alla quale è considerato affidabile dagli intermediari finanziari. I fornitori che vantano un credito certificato, che non abbiano ancora ricevuto il pagamento ma abbiano necessità di liquidità, possono quindi smobilizzarlo attraverso la cessione a un istituto di credito a condizioni più favorevoli rispetto all’anticipo dei normali crediti commerciali. Finora le quasi 35 mila imprese registrate ai fini della certificazione hanno presentato più di 180 mila richieste, per un controvalore di oltre 8,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi smobilizzati presso intermediari finanziari. Inoltre, la certificazione è stata introdotta anche per rispondere a esigenze di trasparenza e anticorruzione nelle transazioni della Pa.
La Commissione europea sta preparando una procedura di infrazione anche per i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Invece di parlare della grande arma di distrazione di massa dei minibot, sarebbe quindi più costruttivo capire come fare a smaltire lo stock di debito che arriva da lontano. Forse in questo modo riusciremmo a scansare almeno una procedura di infrazione.
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