Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca allo scambio a distanza tra Mario Monti e Matteo Renzi. Il tema è su quale governo debba ricadere la responsabilità politica dell’introduzione del bail-in.
La dichiarazione di Renzi e la replica di Monti
Quando soldi pubblici vengono utilizzati per il salvataggio di un istituto bancario si solleva sempre un gran polverone, tra chi contesta la decisione del governo e chi la sostiene. La normativa sulla risoluzione degli istituti di credito è stata modificata nel 2014 dalla direttiva europea Bank recovery and resolution directive (Brrd). Non tutti i partiti sono soddisfatti delle decisioni prese allora e si continua a discutere di chi sia la responsabilità politica di aver accettato e firmato la direttiva. È quanto accaduto nel corso della puntata del 23 novembre di Coffee Break, durante la quale Mario Monti ha risposto alla dichiarazione rilasciata da Matteo Renzi a Otto e Mezzo.
Renzi aveva infatti affermato: “Mario Monti si è molto ingegnato nello spremere gli italiani mettendo molte nuove tasse […], ma quando si è trattato di combattere in Europa per le nuove regole bancarie non ha avuto la stessa tenacia con cui invece ha tassato gli italiani. Se le regole sulle banche fossero state cambiate quando si potevano cambiare, quando la Germania dopo aver messo 247 miliardi per salvare le banche ha deciso di cambiarle […] oggi non avremmo avuto problemi.” Interrogato dal conduttore Andrea Pancani, il senatore Monti ha risposto: “Le regole che in Europa hanno fatto passare il sistema di salvataggio delle banche dal bail-out cosiddetto al bail-in sono venute dopo il mio governo, sono venute tra il governo Letta e il governo Renzi.”
Seguendo le regole del fact-checking, non entreremo nel merito della direttiva – a proposito della quale lavoce.info si è più volte espressa – ma verificheremo la correttezza delle parole del segretario del Partito Democratico.
Cosa è la direttiva Brrd
Negli ultimi anni, estenuate dai bassi rendimenti e sommerse dai crediti deteriorati (i cosiddetti Npl), molte banche europee hanno attraversato una fase di grandi difficoltà, le quali spesso sono state superate solo grazie a un intervento pubblico. Secondo lo studio “State Aid Scoreboard 2016” della Commissione Europea, tra il 2008 e il 2015, i governi europei hanno sostenuto gli istituti di credito per un valore di 654,2 miliardi di euro, tra ricapitalizzazioni e interventi sulle attività deteriorate. Senza considerare il peso delle garanzie: nello stesso periodo la somma di tutte le garanzie fatte dai governi Ue verso gli istituti di credito ha raggiunto nel suo massimo quota 1188 miliardi. In cima alla lista dei più generosi c’è proprio la Germania, il cui debito pubblico è cresciuto solo a causa di questi interventi di 247 miliardi di euro (lo stesso ammontare citato da Renzi).
Ovviamente, al crescere del numero di episodi di intervento pubblico, saliva anche un certo sdegno nell’opinione pubblica di fronte a così tante risorse destinate a istituti di credito privati. La finalità della direttiva Brrd è proprio quello di interrompere il pernicioso circolo vizioso tra le crisi bancarie e l’utilizzo di fondi pubblici. In altre parole, gestire le crisi bancarie senza gravare sulle spalle dei contribuenti.
Nonostante lo strumento della liquidazione sia ancora una via percorribile, la direttiva introduce e disciplina un’altra procedura: la risoluzione. Questa, come sottolinea Bankitalia, ha l’obiettivo di “evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca” e “ripristinare le condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti”.
Il Meccanismo unico di risoluzione è l’autorità indipendente incaricata di gestire le procedure comprese nella direttiva. Tra gli strumenti che ha a disposizione c’è anche l’ormai celebre bail-in (o salvataggio interno), procedura che consente di ridurre il valore delle azioni e di convertire alcune categorie di obbligazioni in azioni al fine di assorbire le perdite accumulate nei bilanci della banca.
Sono escluse dall’applicazione del bail-in, tra le altre, le passività garantite, i debiti verso i dipendenti, quelli commerciali e quelli fiscali (se privilegiati dalla normativa fiscale) e i depositi d’importo fino a 100mila euro. Al contrario, gli strumenti aggredibili dalla procedura sono, in ordine gerarchico, le azioni e gli strumenti di capitale, i titoli subordinati, le obbligazioni ammissibili e i depositi maggiori di 100mila euro.
L’insieme di queste procedure limita di fatto l’uso di risorse pubbliche nel salvataggio di banche in difficoltà. Ed è proprio questo il punto centrale nella discussione a distanza tra Matteo Renzi e Mario Monti. Da una parte, l’ex sindaco di Firenze imputa al governo Monti la responsabilità politica di non aver combattuto a sufficienza per ottenere regole più favorevoli dall’altra, il professor Monti contesta a Renzi di non sapere che la stipula dell’accordo è avvenuta sotto i due governi successivi, ossia quelli presieduti da Enrico Letta e dallo stesso Matteo Renzi.
Il percorso del bail-in
Per le direttive europee, quale è la Brrd (n. 2014/59/UE), è disponibile sul sito EurLex l’intero percorso di elaborazione, approvazione e attuazione della normativa. La proposta è ovviamente stata discussa anche in altre occasioni, in riunioni dell’Ecofin e del Consiglio europeo; di seguito riassumiamo i soli punti di svolta. Vista la scarsità di fonti ufficiali a disposizione, non prendiamo inoltre in considerazione le posizioni che i governi italiani hanno assunto nel corso del negoziato.
La direttiva è partorita originariamente dalla Commissione europea nel giugno del 2012. Un mese più tardi il testo è discusso dal Consiglio dell’Unione Europea per gli affari economici e finanziari. Consiglio in cui è presente anche Mario Monti, in quanto ministro italiano dell’economia ad interim.
Il documento, dopo aver ricevuto il parere della Bce e del Comitato economico e sociale europeo, torna in Consiglio dei ministri dell’economia quasi un anno più tardi, il 14 maggio 2013, quando a Palazzo Chigi era da poco subentrato Enrico Letta (dal 27 aprile dello stesso anno). Sempre con Enrico Letta presidente è trovato l’accordo politico tra i capi di stato e di governo, il 27 e 28 giugno 2013. Un accordo che l’ex premier ha rivendicato come un successo sul suo sito e durante la conferenza stampa a Bruxelles.
Dopo un anno necessario a ricevere il parere del Parlamento europeo, la direttiva torna in Consiglio per la sua approvazione definitiva. Matteo Renzi è al governo da due mesi, quando il 6 maggio 2014 la direttiva viene approvata e sottoscritta nove giorni più tardi. Secondo l’ufficio stampa del Consiglio europeo, contattato direttamente, l’Italia votò a favore dell’adozione. La direttiva sul bail-in – dotata di efficacia vincolante – viene infine definitivamente recepita nell’ordinamento italiano tramite i decreti legislativi 180 e 181 del novembre 2015, come di consueto proposti dal presidente del Consiglio e dal ministero dell’economia. Rispettivamente Renzi e Padoan.
Verdetto
Dal percorso di approvazione della direttiva appare dunque chiaro che le responsabilità politiche siano state condivise da più esecutivi. Alla prima discussione dopo la proposta della Commissione ha partecipato il governo Monti, ma successivamente sono stati i governi dell’attuale legislatura a occuparsi delle fasi determinanti. Letta per l’accordo politico nel 2013, Renzi per l’approvazione definitiva e il conseguente recepimento nel 2014. La dichiarazione del segretario del Pd è dunque imprecisa: la responsabilità politica più importante sulle nuove regole bancarie appartiene ai governi guidati dal suo stesso partito. È dunque FALSA.
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