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Un sistema insostenibile

Ringraziamo lavoce.info e tutti i commentatori per le osservazioni molto utili al nostro articolo “Lo squilibrio nelle pensioni di anzianità“. Ci soffermeremo solo sulle principali osservazioni critiche, poiché l’articolo riferisce sinteticamente di un lavoro più ampio di chi scrive, in corso di pubblicazione, sul sistema pensionistico al quale si rimanda, come si rimanda alla lettura dei dati  contenuti nel Bilancio Sociale Inps 2012.
Non sappiamo se è vero che gli economisti, come spesso si dice, dicano “cose giuste ma che non servono assolutamente a niente”, oppure che gli statistici applichino teorie da pollo di Trilussa. Tuttavia sostenere (come Francesco Papa) che confrontare prestazioni retributive e contributive sia una operazione ideologica sa un po’ di processo a Galileo. Si tratta invece semplicemente di un’analisi del rapporto tra due sistemi: quello in vigore per i fortunati che, sulla base di quel “muro di Berlino” sbagliato, avendo più di diciotto anni di contributi al tempo della prima riforma hanno conservato in toto o in buona parte il sistema retributivo e sono andati in pensione prima dei sessant’anni (perché di questi parliamo nei dati presentati), e quello in vigore per tutti gli altri più giovani capitati in una notte al di là del muro. Calcolare lo squilibrio e vedere dove è più forte,  non significa di per sé proporre di “ridurre le pensioni del 30 per cento”. Il tentativo è di capire se questo c’è e dove è collocato. Occorre certo analizzare i casi individuali (le sole pensioni di anzianità in essere sono più di 4 milioni), ma un’attività di questo tipo, su micro dati individuali  ha un carattere istituzionale trattandosi di informazioni personali. E a proposito di trasparenza sarebbe molto utile la proposta del commentatore R52. Le nostre sono simulazioni che valgono in media, e le medie sono sempre indici parziali,: non dicono tutto, ma non sono neanche mute. Peraltro (come molto giustamente sottolinea Di Porto) la variabilità aumenta proprio nell’area delle pensioni basse e medie dove è possibile che le valutazioni da noi presentate possano sovrastimare lo squilibrio (a tal proposto non comprendiamo le obiezioni di Salari, e  quelle che capiamo non hanno riscontri).
Quanto alla sostenibilità del sistema contributivo, se correttamente applicato, essa è garantita come piace dire a noi economisti “nel lungo periodo”, cioè quando, citando un altro economista molto famoso ma purtroppo sempre meno in voga, “saremo tutti morti”. Non esiste un sistema che “di per sé“ tuteli la stabilità finanziaria a fronte delle grandi trasformazioni demografiche o dalle crisi violente o di cambiamenti rilevanti del mercato del lavoro. Tuttavia l’esistenza di uno squilibrio non trascurabile per il peso delle prestazioni retributive potrebbe equivalere a un’insostenibilità sia “statica” che “sociale” di tale sistema. I temi sollevati sopra riguardano, infatti, l’equità in senso “astratto” e dinamico che è la vera garanzia della stabilità finanziaria del sistema.
Il primo concetto di equità riguarda il rapporto tra contributi pagati e pensione percepita. Ma i contributi nessuno li ha tenuti in una cassaforte, sono serviti a pagare le pensioni dei nostri predecessori. Quindi vi è un altro concetto di squilibrio e cioè quanta parte delle pensioni attuali è coperta dai contributi attualmente versati e quanta parte è coperta dallo stato. E questa parte è per lo meno il 25 per cento circa (non considerando le pensioni sociali, le invalidità civili e le indennità di accompagnamento che complessivamente sono solo il 9 per cento di tutta la spesa per pensioni). Non è sbagliato il trasferimento per via fiscale come sostegno alle condizioni di vita degli anziani specie di quelli che hanno le storie lavorative o di salute più deboli. Ma osservando i risultati si scopre che questo “sostegno” va principalmente alle pensioni più alte e in particolare di chi è andato in pensione a basse età rispetto alla vecchiaia (tra i 117 miliardi di contributi vi sono anche quelli di chi paga ma non prenderà la pensione previdenziale perché non raggiunge i 20 anni di contributi). Sappiamo che anche il contributivo non è “di per sé” un sistema ottimale, ancorché molto più equo del retributivo senza tetto. E certamente difetta di equità l’ultima riforma che nel sistema contributivo obbliga chi matura una pensione più bassa di 750 euro circa (e costa di meno al sistema) ad andare in pensione non prima di 70-71 anni e invece consente il pensionamento  a 63 anni (con gli stessi anni di contributi) o anche ad età più basse a chi ha pensioni da 1400 euro in su. Oltre il danno la beffa. E invece pensiamo che togliere le pensioni di anzianità sia stato un atto di equità, come lo è stato nel 1995 introdurre il sistema contributivo che redistribuisce in modo più equo, e che non è vero che non garantisce pensioni adeguate,  e ha pur sempre un tasso di sostituzione che in media è superiore a quello che garantisce ogni altro paese europeo.
patriarca
La tabella riporta alcuni esempi sui tassi di sostituzione netti che sono nella maggior parte dei casi “adeguati”. I dati, ottenuti con il nostro modello, sono molto vicini a quelli della Ragioneria Generale dello Stato contenuti nell’ottimo lavoro annuale sulla spesa sociale in Italia. Essi evidenziano peraltro come la seconda gamba privata integrativa (la cui convenienza è esclusivamente legata agli incentivi fiscali rilevantissimi), per la quale occorrerebbe ridurre i consumi e aumentare i risparmi, non è poi così indispensabile per tutti come si vuole far credere.
Anche qui è ovvio che queste sono medie: chi avesse retribuzioni basse per tutta la vita, non avrebbe una pensione ricca (ma questo non succedeva neanche con il retributivo). E andrebbe riparato l’errore fatto nel ’95 di non prevedere anche nel contributivo la permanenza di una forma di integrazione per le pensioni previdenziali più basse che non raggiungono un certo minimo proporzionale agli anni lavorati. Non è vero che è un problema del passato (Vianello), riguarda l’oggi (lo stock  delle prestazioni liquidate più alte in senso assoluto e in senso relativo, rispetto al Pil pro capite, è molto alto), e il futuro  perché per chi ha carriere continuative e lunghe è ancora possibile accedere al pensionamento ad età inferiori ai 63 anni, cosa non consentita a chi nel contributivo matura pensioni inferiori a 750 euro circa. Il punto è che il dibattito sulle pensioni è colmo di luoghi comuni indimostrabili se non con molta fantasia (Salari e Carpentieri). Per anni ci si è cullati in questi stereotipi: dottori e interessati hanno nascosto per anni la verità amara al paziente, che poi è stato costretto a sottoporsi all’operazione.
Non ci convince il ragionamento di chi dice il problema è ben altro, perché se non è equo in sé un sistema di welfare che è elemento essenziale per la vita di milioni di persone, non c’è altro che possa riparare guasti e sofferenze sociali. Perché un sistema non equo alla lunga perde il consenso, e se non ha  il consenso prima o poi crolla, e come sul Titanic vanno a fondo prima quelli della terza classe, ma poi anche quelli della prima con tutta la nave. E non siamo d’accordo con la litania sui diritti acquisiti. In fondo anche i possessori di licenze nei mercati oggetto di liberalizzazione vedono improvvisamente disattesi i propri piani per il futuro. Le cadute nel tenore di vita stanno già riguardando milioni di persone: la cautela è d’obbligo, ma il benaltrismo unilaterale è dannoso.
Quindi non vogliamo sollevare nessun senso di colpa, e sarebbe sbagliato pensare a milioni di nonni egoisti. Ma è opportuno riflettere sul fatto che forse nessuno consapevolmente ha o avrebbe stipulato esplicitamente un patto scellerato con i cittadini di questo paese venti anni fa del tipo: più pensioni ricche a 57 anni e meno occupazione e reddito per i nipoti; ma una società che lo ha nei fatti collettivamente costruito potrebbe cominciare a smontarlo, smettendo di raccontarsi favole.

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  1. Mario

    Se ho ben capito, ritenete che non sia giusto che uno che ha lavorato 42 anni e 6 mesi (questo è il minimo richiesto attualmente), iniziando a 18 anni, vada in pensione a 63 anni?
    A parte che aver lavorato in fonderia non è le stessa cosa che fare l’impiegato comunale o il banchiere, ma come si fa a pretendere cose del genere senza prima aver tolto le vergognose iniquità che ancora permangono? Pensioni d’oro, vitalizi per i politici, Enti pevidenziali con voragini nei conti accorpati all’Inps chiamando impiegati e operai a risanare. Ma qualcuno di voi ha solo lontanamente l’idea di cosa voglia dire per oltre 42 anni lavorare al freddo in inverno e al caldo in estate, respirare fumi e vapori, fare sforzi fisici…

    • Lorenzo

      Le pensioni devono essere giuste, ossia proporzionali a quanto contribuito per il paese. Io do x e prendo y, funziona cosi dappertutto, solo noi siamo il paese delle banana (che ovivamente punisce i giovani grazie ad una generazione di nonni egoisti)

  2. Piero Atzori

    Vorrei sperare che gli economisti,anche Fabrizio e Stefano Patriarca, oltre a dare supporto a politiche di risparmio sulla povera gente, ci aiutino ad individuare meglio l’entità dei privilegi, chiamati “diritti acquisiti”, che si annidano in vari settori istituzionali e
    che presumibilmente sono andati aumentando dal dopoguerra ad oggi.
    Roberto Perotti, che Dio lo sostenga, queste analisi le sta conducendo, ma mi pare piuttosto soletto.

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