La scuola riparte con due obiettivi fondamentali: rimanere in presenza per tutto l’anno scolastico e recuperare le perdite di apprendimenti dovute alla pandemia. Sul primo c’è forse troppo ottimismo. Il secondo chiama in causa la formazione dei docenti.

I due obiettivi della scuola

La scuola italiana, che in questi giorni riparte in presenza, ha numerosi obiettivi sia di breve sia di lungo periodo. Nell’immediato, due sono le esigenze fondamentali: rimanere in presenza per tutto l’anno scolastico, così da evitare nuovi stop e nuova didattica a distanza; avviare e dare continuità alle azioni di recupero delle drammatiche perdite di apprendimenti e socialità che la pandemia ha determinato, come testimoniato dalle rilevazioni dell’Invalsi.

Nel più lungo periodo, l’obiettivo non può che essere un deciso balzo in avanti nella qualità degli apprendimenti dei ragazzi, che già da molto prima della pandemia risultava del tutto insufficiente.

Il nesso concettuale fra il breve e il lungo periodo è evidente: avviare al più presto – e proseguire senza interruzioni – il recupero degli apprendimenti perduti per la pandemia altro non è che una tappa – imprevista e drammatica – del più lungo percorso per colmare ritardi formativi che vengono da lontano. Oggi, abbiamo un’occasione unica: mettere a frutto le risorse che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ci offre, realizzando le riforme che l’Italia si è impegnata con l’Unione europea a fare, così da ridurre significativamente i divari territoriali, sociali e di genere che penalizzano i nostri studenti.

Per quanto riguarda il primo e più immediato obiettivo – fare di tutto affinché la scuola quest’anno resti sempre in presenza – avvertiamo un eccesso di ottimismo, che ricorda da vicino quello dello scorso anno nello stesso periodo, purtroppo presto smentito. Percentuali di vaccinazioni elevate fra docenti e personale scolastico e in crescita fra i ragazzi forse rassicurano sul piano sanitario, ma di per sé non sono in grado di evitare che la variante Delta porti nuovi contagi nelle aule. Le regole in caso di contagio, salvo qualche dettaglio, sono le stesse dello scorso anno: scattano le quarantene dei docenti e degli studenti, di 7 giorni per i vaccinati e 10 per gli altri. Poiché molti docenti lavorano in più classi, l’effetto domino è sempre in agguato: il timore è che molti studenti, soprattutto alle superiori, siano costretti a tornare alle lezioni da casa. E, come sappiamo, la didattica a distanza è stata un surrogato molto povero di quella in presenza.

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Le misure per dare più continuità al lavoro in presenza vi sarebbero: classi meno affollate e spazi scolastici meglio utilizzati; “bolle” ridotte e stabili di allievi e insegnanti, specie nel primo ciclo; interventi per l’aerazione delle aule; soprattutto turnazioni più coraggiose, così da ridurre l’affollamento dentro le scuole, ma anche a bordo dei trasporti pubblici locali, a loro volta da rafforzare. Qualcuna è stata prevista, altre escluse o proposte timidamente. Tuttavia, a questo punto dell’anno è troppo tardi perché si realizzino con piena efficacia.

Insegnanti in cattedra

Va, invece, riconosciuto al ministero dell’Istruzione uno sforzo importante – e per il momento di successo – per iniziare l’anno scolastico con tutti i docenti già in cattedra, ridimensionando quello che è il grande problema di ogni ripresa autunnale. Quest’anno, poi, i canali di ingresso in ruolo erano molti più del solito, per il sovrapporsi di vecchi concorsi e degli esiti del negoziato recente fra ministero e sindacati. I posti di ruolo autorizzati dal governo per il nuovo anno scolastico sono 112.500, rispetto a un organico che l’anno scorso era composto da 695 mila stabilizzati e 213 mila supplenti (inclusi 25 mila docenti Covid). A oggi sono già stati assunti in ruolo quasi 59 mila insegnanti abilitati, il triplo dello scorso anno: oltre 20 mila provengono dai vecchi concorsi e dalle graduatorie provinciali a esaurimento; 23 mila dal concorso straordinario per chi ha insegnato per almeno 36 mesi nelle secondarie; 12 mila dall’analoga selezione straordinaria per la scuola dell’infanzia e primaria; 2mila dall’anticipo del concorso ordinario per le discipline Stem (Science, Technology, Engeneering, Mathematics) su 6 mila posti a disposizione. Inoltre, quasi 13 mila supplenti iscritti alla prima fascia (abilitati) delle graduatorie provinciali per le supplenze entreranno in ruolo dopo un esame e una valutazione del loro operato alla fine di questo anno scolastico (la cosiddetta mini-sanatoria). Anche il meccanismo di nomina dei supplenti ha funzionato meglio rispetto agli anni scorsi e al momento 113 mila, di cui 60 mila di sostegno, hanno già avuto l’incarico. Un’ottima notizia, perché quest’anno cominciare subito bene sarà ancora più decisivo.

La formazione dei docenti

La seconda urgenza è, infatti, il recupero delle competenze perdute durante l’anno e mezza di pandemia. Ci vorranno anni, ma è importante che si inizi dal primo giorno di scuola, dopo l’occasione mancata del piano estate.

Per non trasformare in permanenti le lacune accumulate dalla primavera 2020 bisognerà chiedere uno sforzo straordinario a studenti e docenti, adottando in ogni grado scolastico le strategie specifiche più adatte al recupero, senza escludere l’estensione del tempo scuola.  

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Su un orizzonte più lungo, il governo ha dato rilievo nel Pnrr a ben sette riforme (Its, filiera tecnica e professionale, orientamento, dimensionamento degli istituti e numerosità delle classi, formazione dei docenti, reclutamento, didattica). Senza entrare nei dettagli delle altre, vogliamo sottolineare l’importanza di agire radicalmente sulla formazione dei docenti e sul meccanismo del loro reclutamento.

La qualità degli insegnanti è, infatti, un fattore importante per i risultati degli studenti: per migliorarla occorre agire su più leve, partendo dalla formazione iniziale che – soprattutto per le scuole secondarie – è oggi sbilanciata sulle conoscenze disciplinari, nella noncuranza di quanto invece contino per un buon docente le capacità didattiche. Viene poi la formazione in servizio, che va resa obbligatoria per tutti, anche con incentivi, da accompagnarsi con una valutazione rigorosa e periodica degli standard professionali di ciascuno, con la sospensione dell’insegnamento in caso di insufficienza.

Se non cambia la formazione, anche la migliore riforma del reclutamento avrà esiti modesti. Ma certo anche quella va fatta: il ministro Bianchi l’ha annunciata per l’autunno. L’attuale sistema – iniquo e ingrippato – è ormai al capolinea. Iniquo, perché i concorsi sono sempre più faticosi e lenti, con esiti continuamente messi in discussione dai ricorsi, lasciando così spazio a sanatorie grandi e piccole. Ingrippato, perché è all’origine di quella discrepanza territoriale e disciplinare che da anni impedisce, ormai dappertutto nel Paese, di portare al posto e nel luogo giusti il docente con le qualità richieste. Infine, a poco serviranno una formazione più aggiornata e robusta sul piano didattico e un reclutamento più efficiente se non si sapranno trovare gli incentivi – retributivi, reputazionali e di carriera – per portare all’insegnamento i migliori giovani laureati, affinché questa scelta professionale non sia più, come spesso è oggi, un ripiego.

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