Il Pnrr coglie alcuni nodi centrali dell’istruzione universitaria. Ma gli interventi indicati per scioglierli non sono lineari. Perché possano dare risultati è importante prevedere un coordinamento stretto fra tutti i soggetti chiamati a realizzarli.

Il diritto allo studio

La Missione 4 del Piano nazionale di ripresa e resilienza copre l’intero percorso educativo, dagli asili nido all’università. In un precedente articolo ci siamo occupati degli Istituti tecnici superiori. Qui ci concentreremo sugli investimenti per l’insegnamento universitario (la ricerca è, invece, trattata nella seconda componente della missione).

Il Pnrr prevede diverse misure che possono essere raggruppate in tre ambiti: studentati e diritto allo studio, ammodernamento della didattica e dottorati.

L’ambito del diritto allo studio prevede 960 milioni di euro nella costruzione di alloggi per gli studenti, con l’obiettivo di portare da 40 mila a 100 mila il numero di posti fuori sede. Oggi, sommando i posti letto gestiti dagli organismi regionali per il diritto allo studio e quelli degli atenei, in Italia sono disponibili 51.700 alloggi, contro i 175 mila francesi e i 192 mila tedeschi; rispetto alla popolazione studentesca, la quota di coloro che dimorano in studentati (3 per cento) è di gran lunga inferiore alla media europea (18 per cento).

Nonostante un incremento delle abitazioni del 50 per cento nell’ultimo decennio, a seguito della legge 388 del 2000, il ritardo italiano rimane assai consistente: l’intervento ha quindi il merito di favorire la mobilità studentesca e l’autonomia degli studenti.

Inoltre, in materia di diritto allo studio si prevedono:
250 milioni di euro per migliorare la transizione scuola-università, prevedendo di erogare 50 mila corsi di orientamento nella scuola secondaria, con l’obiettivo di interessare 1 milione di studenti;
500 milioni per incrementare di 700 euro l’ammontare medio delle borse di studio (fino a portarle a 4 mila euro ognuna) e per estenderle a più studenti.

Si tratta di interventi significativi. Le misure sugli alloggi e sulle borse sono due cardini del diritto allo studio, il cui elemento più importante è oggi la no-tax area per gli studenti con un Isee fino a 20 mila euro. Anche se il Pnrr non fornisce indicazioni precise in merito, è indispensabile allargare la platea di coloro che percepiscono borse di studio a copertura del costo della mancata attività lavorativa: oggi solo il 12 per cento degli universitari riceve un sostegno, contro il 22 per cento dei tedeschi e il 33 per cento dei francesi. Inoltre, in Italia, i tempi di erogazione sono molto lenti e le procedure di assegnazione estremamente frammentate a livello regionale. L’esperienza degli ultimi anni suggerisce che il livello regionale non è necessariamente il più indicato per la gestione del diritto allo studio: si potrebbe pensare, in alternativa, a un’agenzia nazionale oppure alla gestione diretta da parte degli atenei.

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Gli interventi per la didattica

Dispersivi appaiono, invece, gli interventi per l’ammodernamento della didattica, che hanno una copertura finanziaria di 430 milioni:
un incremento della flessibilità delle classi di laurea rafforzando le competenze multidisciplinari, l’attenzione alle tecnologie digitali e ai temi ambientali e la costruzione di soft skills;
l’ampliamento delle classi di laurea professionalizzanti (attualmente sono solo tre);
sulla base di quanto sperimentato durante la pandemia per l’ambito medico-sanitario, la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato;
la creazione di tre non meglio precisati hub “per migliorare la capacità del sistema di offrire istruzione digitale a studenti e lavoratori universitari” e di tre teaching and learning centres per la formazione didattica dei docenti (peraltro, ormai già presenti in molti atenei).

Stupisce che siano così timidi i riferimenti alla didattica a distanza che, pur tra le mille difficoltà dell’emergenza, rappresenta ormai un patrimonio di pratiche, abilità e infrastrutture che sarebbe un errore non capitalizzare, ad esempio, per favorire studenti lavoratori o attività integrative.

I dottorati di ricerca

Il terzo ambito preso in considerazione dal Pnrr è quello del dottorato di ricerca con uno stanziamento di 1,04 miliardi di euro. Si prevede di rafforzare gli sbocchi lavorativi dei dottorandi nell’industria. Le misure previste dispongono lo stanziamento di 3 mila borse in tre anni nelle discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics); 3.600 per le competenze delle pubbliche amministrazioni e lo sviluppo del patrimonio culturale; 500 per la transizione digitale e ambientale.

Concludendo, il Pnrr ha colto alcuni dei nodi centrali dell’istruzione universitaria; gli interventi generati, probabilmente anche a causa della complessità e stratificazione del settore, sono tuttavia piuttosto frastagliati. Perché possano generare un impatto significativo è importante prevedere un coordinamento stretto fra tutti i soggetti chiamati a realizzarli, che dovrebbe essere centrato sul raggiungimento degli effetti prefissati più che sulla mera esecuzione dei provvedimenti disposti.

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La storia recente delle riforme universitarie ha messo in evidenza estesi fenomeni di realizzazioni parziali o prive di coerenza, con il risultato che sovente l’intento del legislatore è stato eluso o addirittura contraddetto.

Una proposta operativa potrebbe essere quella di vincolare l’erogazione di fondi agli atenei alla realizzazione al loro interno di interventi trasversali che rafforzino e sostengano l’impatto delle misure disposte dal Pnrr.

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