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Quando la tassazione ambientale non tutela l’ambiente

In Italia solo l’1 per cento della tassazione ambientale viene speso in protezione dell’ambiente. Serve una riforma generale. A partire dall’ecotassa sul conferimento dei rifiuti in discarica, che va destinata alla costruzione degli impianti già previsti.

Già nel lontano 2010 su lavoce.info Antonio Massarutto auspicava una “green tax reform”: usare gli strumenti economici per ridurre gli impatti sull’ambiente causati dalle esternalità negative (inquinamento). Dieci anni dopo, a che punto siamo?

Partiamo dai fatti. Nel 2018, le imposte ambientali in Italia hanno garantito un gettito complessivo di 57,8 miliardi di euro: 46,3 miliardi dall’energia (oli minerali e derivati, energia elettrica e oneri di sistema delle fonti rinnovabili), 10,9 miliardi dai trasporti (proprietà e utilizzo dei veicoli automobilistici) e i rimanenti 0,6 miliardi da imposte sull’inquinamento (emissioni atmosferiche o sui reflui e gestione dei rifiuti).

Complessivamente, la tassazione ambientale in Italia non è bassa. Anzi, l’incidenza sul totale di imposte e contributi sociali, pari al 7,8 per cento, è superiore alla media Ue (6 per cento) e a quelle delle maggiori economie europee, come Regno Unito (7 per cento), Spagna (5,3 per cento), Francia (5,1 per cento) e Germania (4,5 per cento).

Anche l’incidenza sul Pil conferma le relatività: 3,3 per cento in Italia, superiore alla media Ue (2 per cento) e ai principali paesi europei, come Francia (2,4 per cento), Regno Unito (2,3 per cento), Spagna e Germania (1,8 per cento).

In termini di destinazione del gettito, il dato italiano è piuttosto peculiare: solo l’1 per cento delle imposte ambientali è nel nostro paese una imposta di scopo, cioè spesa per la protezione dell’ambiente. Ben 57.214 milioni di euro raccolti “in nome” dell’ambiente sono destinati altrove.

A ben vedere esiste dunque un ampio bacino di risorse a cui attingere per finanziare la transizione ecologica nel nostro paese, come delineato dal green deal europeo, anche in virtù della ritrovata sensibilità ambientale dei cittadini.

Se si potesse assicurare a scopi di prevenzione e tutela dell’ambiente solo il 5 per cento del totale (sarebbe comunque un valore di circa cinque volte superiore a quello attuale), le imposte ambientali potrebbero garantire ben 2,9 miliardi di euro per il miglioramento o la mitigazione dell’impatto ambientale, ad esempio sostenendo gli investimenti in direzioni alternative coerenti.

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Il caso dell’ecotassa: pensata bene, realizzata male

Nella componente “rifiuti” delle imposte ambientali vi è un esempio di come la tassazione ambientale, se pensata come imposta “di scopo”, potrebbe indirizzare verso comportamenti più virtuosi. Almeno nella teoria.

Voluto dal legislatore con la legge n. 549 del 28 dicembre 1995 e sostenuto dalle regioni, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti, noto più semplicemente come “ecotassa”, è stato pensato per scoraggiare il ricorso alla discarica, sostenere la riduzione dei rifiuti prodotti e finanziare impianti preferibili da un punto di vista ambientale, come quelli per il riciclo e il recupero di energia da rifiuti. Con un’aliquota massima fissata in 50mila lire per tonnellata smaltita, l’ecotassa era nata con un’impostazione moderna e lungimirante, a maggior ragione tale a metà degli anni Novanta.

A distanza di 25 anni l’Italia smaltisce in discarica ancora il 22 per cento dei rifiuti urbani e con il gettito dell’ecotassa non è stato finanziato nessun impianto di riciclaggio o di recupero di energia dai rifiuti.

Il paradosso è che se guardiamo alle aliquote medie pagate sui rifiuti smaltiti in discarica nelle regioni scopriamo che in media i rifiuti a smaltimento pagano meno di 5 euro a tonnellata: 1,1 euro in Molise, 1,3 euro nel Lazio. La discarica rimane la tecnologia di gestione dei rifiuti di gran lunga più dannosa per l’ambiente e al contempo più economica. Le regioni hanno concesso ovunque riduzioni e abbattimenti della tassa tali da neutralizzarne ogni effetto: non si può dire neanche che abbiano fatto cassa giacché il gettito complessivo, circa 100 milioni di euro, è una voce trascurabile del bilancio regionale. Semplicemente l’hanno depotenziata e abrogata.

Dal raffronto con i principali paesi europei, si ha un’ulteriore conferma dell’inefficacia dell’ecotassa rispetto agli obiettivi per cui è stata istituita. Osservando i limiti massimi di legge del tributo speciale sullo smaltimento in discarica, l’Italia si trova nelle ultime posizioni, nettamente al di sotto di paesi come Austria e Belgio, che hanno quasi azzerato il conferimento in discarica.

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Non deve stupire che nell’elenco non compaia la Germania, così come non compaiono altri paesi: vige in quegli stati il divieto di conferimento in discarica, eccezion fatta per alcune tipologie di rifiuto.

È evidente che occorre un ripensamento dell’ecotassa. È necessario un progressivo innalzamento del tributo che porti le aliquote minime a quello che è oggi il valore massimo di 25,82 euro/tonnellata, a crescere per le regioni i cui rifiuti di origine urbana vengono smaltiti in altre regioni o all’estero, e modulata comune per comune in base della produzione di rifiuto secco indifferenziato (in aderenza al principio “chi inquina paga”).

Una siffatta politica consentirebbe destinare più di 500 milioni di euro a sostegno degli investimenti negli impianti di riciclaggio e recupero di energia dai rifiuti di cui il paese ha bisogno, mentre oggi gli investimenti pubblici nel settore dei rifiuti si fermano a 131 milioni di euro.

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Il Punto

  1. Paolo

    Non contesto le conclusioni, ma il dato dell’1% è sensazionalistico. Ad esempio è palese che gli 11-13 miliardi di € (il dato oscilla in base al prezzo di borsa) di “gettito” dagli oneri di sistema sulle bollette è utilizzato a fini ambientali in stragrande maggiranza (la componente Asos che finanzia gli incentivi alle fonti rinnovabili è circa il 90% degli oneri di sistema). Già solo con questa correzione si passa da 1% a quasi il 20%.
    Peraltro a rigore gli oneri di sistema non sono tasse (non sono versati alla pubblica amministrazione), sarebbe da chiarire se in altri paesi europei vengano considerati come tali (e quindi inclusi nelle % del primo grafico) oppure no.

    • Donato Berardi

      Paolo buona sera. Grazie del commento. La sua osservazione è pertinente. Ma come si riferisce anche nel commento di Andrea Fatti Istat non conteggia l’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili come spesa per la protezione dell’ambiente. Credo che ciò si riferisca alla differenza tra spesa e incentivo. Ad ogni modo il dato da noi riportato è una statistica ufficiale e come tale armonizzata nelle definizioni tra Paesi. Poi posso convenire con lei è assolutamente preferibile destinare un euro ad incentivo energetico piuttosto che a spesa corrente. Saluti. Gli autori

    • Donato Berardi

      Gentile Andrea Zatti. Grazie per il commento anche a lei. A quando precisato con riferimento al commento di Paolo aggiungiamo due parole sul perché differenziare sulla base del rifiuto indifferenziato residuo. Lei ha ragione quando dice che esistono già delle agevolazioni che si applicano in ragione della % di Raccolta Differenziata raggiunta dai Comuni. Non entro nel merito del senso economico di abbattere un tributo che è già risibile. Il senso della proposta, che si lega comunque all’aumento sensibile delle aliquote, è che due Comuni con la stessa %RD posso avere valori di residuo indifferenziato pro capite molto diversi. Perché può essere molto diverso il denominatore di quella % e cioè il rifiuto prodotto. L’idea di graduare la tassazione sul rifiuto residuo vuole premiare non tanto o non solo la nostra capacità di differenziare i rifiuti ma soprattutto l’impegno dei cittadini nella prevenzione della produzione di rifiuto. Produrre meno rifiuti è la vera politica ambientale del XXI secolo. In questo lo strumento proposto si differenzia da quello previsto per legge. Saluti. Gli autori

  2. Andrea Zatti

    Corretto quanto affermato dal commento di Paolo, non è chiaro come mai l’Istat non consideri gli oneri di sitema come ‘earmarked’ a fini ambientali.
    La componente Asos va comunque ad un ente che entra nel perimetro della PA ed è quindi assimilabile ad un tributo da questo punto di vista.
    Un tema chiave dei tributi ambientali è la dinamica nel tempo delle aliquote che vede per lo meno coprire l’inflazione. I range dell’ecotassa sono fermi da 25 anni e questo ha fatto completamente perdere di valore reale lo strumento. La tassa automobilistica in Lombardia è ferma dal 2006 e ha perso il 20% in termini reali. Non mi è chiaro infine perchè proponiate un’aliquota ‘modulata comune per comune in base della produzione di rifiuto secco indifferenziato’. E’ il tributo in sè che penalizza chi produce più secco indifferenziato, perchè introdurre un’ulteriore modulazione (che peraltro è già prevista dal Collegato del 2015)?

  3. Giorgio Gallina

    Il gettito ecotassa è vincolato a finalità ambientali, che possono essere diverse dalla realizzazione di impianti: non si sarà speso per fare nuovi impianti (al nord gli impianti li fanno già gli imprenditori e sarebbe assurdo pagarli con fondi pubblici), ma, ad esempio, per fare bonifiche che altrimenti nessuno avrebbe pagato

  4. Giorgio Gallina

    Sull’aliquota media, pesa la tipologia di rifiuti conferiti: l’aliquota per rifiuti inerti é ovviamente, e di legge, più bassa di quella per gli urbani: é ovvio che chi conferisce pochi o nulli urbani avrà una aliquota media bassa, ma per motivi diversi da quelli detti nell’articolo. Dovete guardare le aliquote stabilite con lr per i rifiuti urbani, se il focus è quello.

    • Donato Berardi

      L’articolo vuole evidenziare il fatto che l’ecotassa non ha ne scoraggiato lo smaltimento in discarica ne sostenuto iniziative a beneficio dell’ambiente. Sul primo punto parlano le aliquote medie. Gli inerti ad avviso di chi scrive presentano comunque chiare potenzialità di recupero. Se li mandiamo in discarica stiamo comunque agendo in contrasto con la gerarchia dei rifiuti e una ecotassa adeguata e congrua sosterrebbe l’incentivo a recuperarli anziché smaltirli. Sul secondo punto delle bonifiche, forse non stiamo spendendo abbastanza. Abbiamo una lunga lista di siti contaminati (SIN) in attesa di intervento… Saluti. Donato Berardi

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