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Riforma dell’Irpef: come garantire l’equità

L’Irpef contribuisce in modo netto a ridurre la disuguaglianza dei redditi. Lo fa attraverso la struttura delle aliquote e, in parte, delle detrazioni. Ma la definizione della base imponibile ha un ruolo limitato: sotto accusa sono i regimi speciali.

La redistribuzione nell’Irpef di oggi

La riforma dell’imposizione fiscale sui redditi personali è tornata alla ribalta nel dibattito politico. Inquadrata in una generale ricomposizione del carico fiscale a favore dei fattori produttivi, potrebbe contribuire a rilanciare l’economia italiana dopo la crisi innescata dall’epidemia di Covid-19.

Come affermato da Massimo Baldini, Silvia Giannini, Simone Pellegrino e Leonzio Rizzo, per realizzare una buona riforma è però opportuno analizzare le caratteristiche dell’Irpef attuale. Un nostro recente lavoro fornisce alcune evidenze quantitative, con una attenzione particolare al ruolo dell’Irpef in termini di equità (cioè la capacità di rendere la distribuzione dei redditi disponibili meno diseguale di quella di partenza) e di efficienza (ossia delle possibili distorsioni che può generare rispetto alle scelte di lavoro degli individui). Pur focalizzandosi sulla principale imposta sui redditi, il nostro studio prende necessariamente in considerazione anche gli altri istituti del sistema fiscale e di assistenza sociale che, interagendo con l’Irpef, incidono sulle risorse disponibili per le famiglie italiane. Per cogliere in modo realistico la complessità delle interazioni facciamo ricorso a BIMic, il modello statico di microsimulazione del sistema tax and benefit sviluppato in Banca d’Italia.

Ci focalizziamo qui sugli aspetti redistributivi, rinviando a un altro contributo la questione dei disincentivi all’offerta di lavoro. Nella figura 1 mostriamo l’indice di Gini (un indice di disuguaglianza ampiamente utilizzato in letteratura, che assume valore 1 in caso di massima disuguaglianza e 0 in caso di perfetta uguaglianza) di diverse definizioni di reddito: (i) i redditi di mercato (ossia quelli ottenuti dall’impiego dei fattori produttivi, lavoro e capitale) e da pensioni, (ii) i redditi lordi (che ai redditi di mercato aggiungono i trasferimenti monetari), (iii) il reddito disponibile (che sottrae al reddito lordo l’Irpef, i contributi sociali e le altre imposte) e (iv) il reddito netto che al reddito disponibile sottrae anche l’Iva pagata (in modo da approssimare la capacità di spesa effettiva di una famiglia).

Secondo le nostre stime, il sistema tax and benefit riduce l’indice di Gini di oltre sei punti percentuali, da circa il 45 al 38 per cento, nei diversi passaggi dal reddito di mercato e da pensione al reddito netto. Il contributo più rilevante alla riduzione è fornito dall’Irpef, che ne garantisce circa 4 punti. L’Iva ha invece un effetto di segno opposto, facendo aumentare la disuguaglianza di oltre un punto e confermandosi come regressiva rispetto al reddito (il fenomeno riflette il fatto che, empiricamente, il consumo è una quota decrescente del reddito disponibile).

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In linea di principio, l’effetto redistributivo dell’Irpef dipende non solo dalla struttura di aliquote e scaglioni di reddito, ma anche dalla definizione della base imponibile e dal disegno delle detrazioni. In pratica, le nostre stime mostrano che quasi tutta la redistribuzione operata dall’imposta dipende dalla struttura di scaglioni e aliquote (per circa il 50 per cento) e dalle detrazioni (per quasi il 45 per cento), mentre il ruolo della base imponibile appare complessivamente modesto.

Detrazioni e base imponibile

Il peso della struttura di scaglioni e aliquote nel determinare l’effetto redistributivo non sorprende. Ci sembra invece utile discutere il ruolo delle detrazioni e della base imponibile.

L’effetto redistributivo complessivo delle detrazioni dipende essenzialmente da quelle per tipologia di reddito (circa il 28 per cento) e da quelle per familiari a carico (quasi il 18 per cento). Invece quelle legate a specifiche voci di spesa (tax expenditures) riducono, seppur leggermente, la capacità redistributiva del sistema, perché le spese che danno diritto alle detrazioni sono relativamente più concentrate tra i redditi più elevati. L’auspicabile razionalizzazione degli strumenti di sostegno alla famiglia (e quindi delle relative detrazioni) e delle tax expenditures dovrebbe tenere conto anche dei rispettivi contributi alla progressività.

Il ruolo nel complesso limitato della base imponibile nel determinare l’effetto redistributivo dell’Irpef dipende da due fattori contrapposti. Da un lato, l’esclusione di alcune voci del reddito lordo (molti redditi fondiari, le attività finanziarie e i redditi di imprenditori e lavoratori autonomi con bassi fatturati che rientrano nel “regime forfettario”) riduce l’effetto redistributivo dell’imposta. La figura 2 mostra infatti che l’incidenza di tali voci (denominate “regimi speciali”) è crescente all’aumentare del reddito complessivo. Dall’altro, l’esclusione dalla base imponibile di alcuni trasferimenti monetari (come, ad esempio, il reddito di cittadinanza, gli assegni al nucleo familiare, le pensioni di invalidità civile) aumenta l’effetto redistributivo dell’Irpef; il loro peso sul totale è infatti decrescente all’aumentare del reddito. Nel complesso, pertanto, la quota di redditi che entrano nella base imponibile dell’Irpef (sul totale del reddito lordo così come sopra definito) segue un andamento a “U” rovesciata. Da circa il 50 per cento del primo decimo della distribuzione dei redditi familiari, la quota raggiunge l’80 per cento nel settimo decimo, per poi scendere di nuovo nei decimi successivi.

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In un’ottica di revisione della struttura dell’imposta, l’ampliamento della base imponibile potrebbe accrescere la capacità redistributiva. In particolare, si può pensare a un ridimensionamento dei regimi speciali dato che alcune forme di reddito – come quelle da capitale, i fitti imputati e trasferimenti monetari – sono per valide ragioni escluse dalla base imponibile. Nello specifico, una revisione del “regime forfettario”, la cui incidenza cresce al crescere dei decimi di reddito, andrebbe in questa direzione. L’effetto dell’operazione sulla progressività rimarrebbe contenuto. Non si può quindi prescindere da una profonda revisione della struttura delle aliquote e delle detrazioni.

Figura 1 – Evoluzione dell’indice di Gini nelle diverse definizioni di reddito (punti percentuali)

Fonte: BIMic.

Nota: il reddito di mercato è dato dalla somma del reddito da lavoro e da capitale (inclusi i fitti imputati relativi agli immobili tenuti in disponibilità). Le definizioni di reddito lordo, disponibile e netto sono ottenute così come indicate nel grafico. I redditi da pensione sono al lordo dell’Irpef. I redditi qui considerati sono resi equivalenti attraverso la scala “Ocse modificata”, per tener conto della diversa numerosità dei nuclei familiari.

Figura 2 – Quote di reddito lordo soggette a Irpef ed escluse per decili di reddito lordo

Fonte: BIMic.

Nota: i redditi soggetti a regimi speciali sono quelli derivanti dalle attività finanziarie, i fitti soggetti a cedolare secca, i redditi soggetti al regime forfettario e i redditi dell’imprenditore agricolo; i redditi da fitti imputati sono al netto delle rendite catastali in quanto queste sono soggette a Irpef.

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  1. Roberto Coiutti

    Finalmente uno studio che documento che l’Irpef e L’iva hanno effetti divergenti sulla disuguaglianza per cui lo scambio meno Irpef e più Iva la fa aumentare.
    Sul perché l’Iva fa aumentare la disuguaglianza, io indicherei altri due motivi:
    a) i più istruiti e quindi tendenzialmente con redditi maggiori spendono di più in libri (iva al 4%) o in spese sanitarie (0%) oppure sfruttano meglio le esenzioni iva: io laureato per lavori edili ho fatto scegliere a mio padre un geometra in regime forfetario;
    b) Le aliquote sono maggiori (22%) su beni essenziali come l’acqua minerale o i saponi rispetto a beni di lusso come i ristoranti e gli integratori alimentari.
    Sulla diseguaglianza andrebbe indagato il ruolo dell’Imu: le famiglie più ricche sono proprietarie della prima casa e quindi esenti mentre molte a basso reddito vivono in affitto e quindi sono soggette al rischio che il proprietario trasli l’Imu sul canone di affitto.
    Infine il forfetario fa perdere parecchi soldi oltre all’Iva:
    a) il predetto geometra ha aperto la p.iva nel 2018 e quindi è soggetto all’aliquota del 5% per cui su € 1.000 paga € 34 mentre mio padre in 10 anni recupera € 500 di detrazioni di spese di ristrutturazione;
    b) un familiare ha acquistato la prima casa per cui ha diritto ad € 190 di detrazione sulla provvigione del mediatore il quale è forfetario e quindi paga € 245 di irpef essendo la fattura di € 2.100.

    • Robert

      Ci sarebbero molte considerazioni da fare sull’ introduzione di questi regimi, prima fra tutte quella di aumentare l’ occupazione. Ma sull’ IVA non le deve sfuggire che e’ una imposta nata per i beni consumati ; nel rispetto dell’ intenzione del legislatore, e nella fattispecie, non dovrebbe colpire il mero lavoro che si vuole in qualche modo incentivare.

  2. Enrico D'Elia

    La figura 1 offre un immagine immediata degli effetti redistributivi delle diverse imposte e dei sussidi (seppure a costo di qualche inevitabile approssimazione nella “scomposizione” dell’indice di Gini). Sarebbe interessante capire il ruolo svolto dal sistema previdenziale, il cui contributo è incomprensibilmente associato al reddito “di mercato”. In realtà è presumibile che i contributi sociali e le pensioni tendano a perequare i redditi primari (da lavoro e capitale) almeno quanto le imposte progressive sui redditi. I contributi, infatti, prevedono sgravi territoriali e per le categorie di lavoratori più deboli e le pensioni pubbliche riflettono integrazioni e penalizzazioni rispetto alla pura equità attuariale. Se questo è vero, sarebbe rischioso (e iniquo) riformare il sistema di tax benefit senza mettere mano anche al sistema previdenziale (e particolarmente alla sua tassazione).

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