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Come sarà la recessione che ci aspetta

La recessione si è ormai estesa a un insieme ampio di settori. Eppure, se la politica italiana ed europea faranno la loro parte, contenendo il virus e aiutando la ripartenza dell’economia, alla brusca recessione potrebbe seguire una rapida ripresa.

Arriva la recessione con il crollo della domanda dei servizi turistici e dei beni durevoli

Con le iniziative di governi e banche centrali ancora in cantiere, ci sono pochi dubbi che, a causa della crisi del coronavirus, l’economia registrerà pesanti segni meno. Rimane però che la crisi per ora non cancella la voglia di ripartire di tante imprese e persone. Si possono usare due lettere dell’alfabeto per descrivere quello che sta accadendo e le attese su quello che accadrà: la V e la U.

Una possibilità è che la crisi economica da coronavirus descriva una V: un rapido calo e una rapida ripresa.

Il rapido calo c’è di sicuro ed era documentato nei numeri diffusi in questi giorni e relativi al crollo dell’attività economica, soprattutto nella domanda dei servizi turistici e di trasporto e nella domanda dei beni di consumo durevole, già dal mese di febbraio. In Cina nella prima metà di febbraio le immatricolazioni di auto sono scese del 92 per cento rispetto a un anno prima. Per l’Italia, Assoviaggi – l’associazione di categoria che raggruppa le agenzie di viaggio – aveva diffuso dati molto negativi: 50 mila viaggiatori che avevano cancellato il loro viaggio (per la metà circa da e verso la Cina e altri paesi asiatici), con perdite inferiori ai 5 mila euro per pratica per l’85 per cento dei casi e superiori a quella cifra per il restante 15 per cento dei casi. E la Iata (International Air Transport Association) ha rapidamente alzato da 29 a 113 miliardi di dollari la perdita di ricavi attesa (calcolata rispetto a un trend di traffico e ricavi attesi in aumento per il 4,1 per cento), solo un po’ compensata in termini di margini operativi dal crollo altrettanto verticale del prezzo del petrolio (che per ora ha perso il 50 per cento, con un calo del prezzo del Brent dai 70 dollari di inizio anno ai 35 registrati ora). La parte discendente della V c’è tutta.

Le V del passato …

In Italia ci sono già state due gravi recessioni descrivibili come una V e una U nel 2008-2009 e nel 2011-2013. Come si vede nella figura 1 – che rappresenta l’evoluzione del Pil trimestrale al netto dell’inflazione -, quella del 2008-2009 può essere descritta come una V (un po’asimmetrica nella parte crescente) perché la ripartenza dopo il crollo è stata rapida anche se non molto robusta. Il Pil scese del 7,3 per cento in cinque trimestri nel 2008 e nei primi mesi del 2009 e poi risalì del 3,3 per cento nei successivi sette trimestri. Fu una recessione di pochi perché a crollare furono soprattutto le esportazioni (-24 per cento) e gli investimenti (-15 per cento), dunque a essere coinvolte furono soprattutto le imprese, e in particolare quelle attive sui mercati esteri (pari solo l’8 per cento del totale), mentre la riduzione dei consumi delle famiglie (che sono tante) fu più contenuta (-2 per cento). Quando l’economia tornò a crescere, le imprese più dinamiche, che erano state le più colpite, ricominciarono però subito a macinare fatturato. Da qui la rapida ripartenza e dunque la V della figura.

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Figura 1 – La V del Pil italiano nel 2009-2011 (dati trimestrali al netto dell’inflazione)

Un simile andamento è visibile anche – non casualmente – nell’economia tedesca (figura 2). Stesse variabili coinvolte e stessa qualità della ripartenza. Con la rilevante differenza che in Germania la ripartenza del 2009 fu più rapida e dunque anche la V disegnata dal Pil meno asimmetrica di quella osservata in Italia. A metà 2011 il Pil tedesco aveva recuperato completamente le perdite della grande recessione, quello italiano era ancora a meno di metà del percorso di recupero.

Figura 2 – La V del Pil tedesco nel 2009-2011 (dati trimestrali al netto dell’inflazione)

… e le U del passato

A metà 2011 arriva la crisi dell’euro soprattutto nei paesi del Sud Europa. Ciò porta con sé l’interruzione della ripresa e l’inizio di una nuova grave recessione da cui l’Italia fa più fatica a riprendersi.

Figura 3 – La U del Pil italiano nel 2011-2018 (dati trimestrali al netto dell’inflazione)

Come si vede, nel 2011-2013 il calo del Pil durò sette trimestri, seguiti da otto trimestri di stagnazione e poi dalla ripresa iniziata nel 2015 e proseguita fino ai primi mesi del 2018. Per quanto anche in questo caso non completamente portato a termine nella sua parte ascendente, il grafico stavolta descrive una U, non una V. Nel 2011-13 il calo del Pil è meno intenso e quantitativamente meno rilevante di quello osservato nel 2008-2009 (-23 miliardi in sette trimestri contro i 33 miliardi in cinque trimestri del 2008-2009). Ma c’è la stagnazione e una lenta ripresa, che però guadagna consistenza con il passare dei trimestri fino a compensare quasi del tutto la perdita subita durante la recessione. A calare sono i consumi e il mercato interno: si trattò quindi di una recessione molto diffusa, sociale oltre che economica, che ha lasciato gravi segni nel tessuto economico del nostro paese con la scomparsa di tante imprese e il crollo – non ancora recuperato – dell’immobiliare e del settore delle costruzioni anche perché alla crisi di fiducia con aumento dello spread si sommò l’adozione di (necessarie) politiche di bilancio restrittive.

Un simile andamento a U è visibile anche in Spagna. Un calo grave ma graduale e una ripresa altrettanto graduale. Anche in questo caso con la (rilevante) differenza che in Spagna la ripartenza del 2014 fu più rapida e dunque anche la U disegnata dal Pil non è asimmetrica come quella dell’Italia. A metà 2015 il Pil spagnolo aveva completato il recupero delle perdite della crisi dell’euro. In Italia abbiamo dovuto aspettare fino al 2018 (e oltre).

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Figura 4 – La U del Pil spagnolo nel 2011-2015 (dati trimestrali al netto dell’inflazione)

Stavolta come andrà?

Visto come è andata in passato in Italia e in altri confrontabili paesi dell’Eurozona, ci si può chiedere come andrà stavolta.

Tra le cattive notizie di questi giorni c’è che la recessione italiana – cominciata come un crollo verticale dell’attività economica per la filiera del turismo e beni durevoli – si sta estendendo a un insieme molto più ampio di settori. La chiusura degli esercizi commerciali in tutta Italia si rifletterà in una flessione più generalizzata del mercato interno di quanto inizialmente ipotizzabile. Rispetto a dieci anni fa la diffusione dell’e-commerce – di cui beneficiano anche le piccole imprese – potrà parzialmente compensare il calo delle vendite nei negozi fisici. Nello stesso modo, come si è già visto nei dati di queste prime settimane, il calo dell’operatività del settore HoReCa (hotel, ristoranti e caffè) sarà parzialmente compensato dall’aumento delle vendite della grande distribuzione. Insomma, ci saranno imprese vincitrici e perdenti anche all’interno dei singoli settori, ma il segno meno arriverà.

A contribuire a portare un po’ di ottimismo per il futuro ci vuole la mano visibile della politica nazionale ed europea. Quella italiana ha saputo trovare un consenso unanime su un pacchetto di misure di emergenza per 15 miliardi di sgravi fiscali e aiuti alle famiglie che può dare una mano. Le difficoltà si riscontrano invece in Europa dove all’annuncio di un fondo da 25 miliardi (di briciole) per l’emergenza sanitaria e aiuti alle imprese si associa tra gli stati la ancora imperfetta consapevolezza della drammaticità della crisi da coronavirus e quindi una certa noncuranza di fatto nei confronti della situazione attuale. Almeno a parole, tuttavia, – se confrontata con gli orientamenti strettamente rigoristi prevalenti sia nel 2008-2009 che ai tempi della crisi dell’euro – qualcosa si muove. Se la politica – italiana ed europea – riuscirà a sfruttare i margini offerti dal Fiscal Compact per offrire la flessibilità di cui i bilanci nazionali avranno bisogno e a rafforzare con uno o due zeri finali il fondo per l’emergenza sanitaria, l’ipotesi di una crisi a V per l’economia italiana (composta di una brutta recessione seguita da una rapida ripresa) potrebbe non essere un semplice auspicio formulato per scaramanzia, ma un’aspettativa razionale di quello che ci aspetta.

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13 commenti

  1. Savino

    Tra 15/20 giorni la parola dei virologi non servirà più, poichè a qualcuno converrà persino mettere in conto il rischio virus, piuttosto che morire di fame. In Italia anche per l’economia e la politica, ogni appello al buon senso è cosa vana, occorrono implementazioni drastiche anche per le riforme strutturali, istituzionali, infrastrutturali, economiche e di welfare.

    • Luca Pesenti

      Lei trarrà sicuramente giovamento dalle riforme strutturali imposte con la violenza, facendo parte del novero degli eletti che pensano giusto. Perché è solo una questione di buon senso, i mali della storia sono accaduti solo per mancanza di buon senso, se non ci fossero i cattivi non ci sarebbero crisi economiche, tensioni geopolitiche, povertà e nemmeno virus.
      E gli Italiani stando a quello che dice lei sono geneticamente sprovvisti di buon senso.
      Il mondo non è complesso, è la gente che è stupida!
      Ma meno male che abbiamo uomini come lei, disposti a distruggere la società pur di salvarla, che sanno di sapere! I sopravvissuti (sempre che ce ne siano) saranno contenti.

      • Savino

        Il virus ha spazzato via le certezze di tanti professionisti, a partire dai medici, che, avendo un Ordine, hanno impedito a tanti ragazzi di approcciarsi a quelle libere professioni. Non è il mondo complesso, né la gente stupida, ma il modello degli affaristi e degli opportunisti da sopprimere.

  2. bob

    ” il calo dell’operatività del settore HoReCa (hotel, ristoranti e caffè) sarà parzialmente compensato dall’aumento delle vendite della grande distribuzione..” Come? Operatività a vantaggio di chi? Con tutto il rispetto per la sua cultura , ma faccio fatica a trasferire certi concetti nella realtà, che forse, temo, abbiamo perso di vista…

    • Francesco Daveri

      Non mi sembra una cosa complicata né la pensata di uno che sta nella torre d’avorio. Se non vado al ristorante devo comunque mangiare. Farò quindi la spesa al supermercato per mangiare a casa. Naturalmente il saldo netto è negativo perché la spesa fatta in casa costa meno che andare al ristorante ma comunque c’è una compensazione.

      • bob

        Mi perdoni professore. La compensazione che indica Lei in termini reali è ininfluente evidenziabile solo in termini di dati o percentuali. L’ operatività di un comparto così vasto come il settore HoReCa non potrà, proprio per la sua vastità, essere compensata da un kg di pasta o di riso in più. Inoltre credo che per operatività HoReCa si intende anche posti di lavoro, produttori, distributori azzerati. Nella realtà anche migliaia di quintali ipoteticamente venduti in più dai supermercati non compensano niente in termini reali, poiché il saldo è insignificante, sottolineo ancora, in termini reali.

  3. PURICELLI BRUNO

    Torno alla carica, testardamente, sottolineando che in natura ogni essere ha il diritto di sopravvivere e che nel lontano passato si sopravviveva a danno di altri per molte specie. Anche la nostra società è un essere ed ha il diritto di adoperarsi per sopravvivere. Resta inteso che lo si potrà fare quando non si arreca danno ad altri (partners). Ciò premesso, creiamo un sottostante da 400 mlds su un nostro bene (10% patrimonio immobiliare o evidenza fondi dei nostri c.c.). Noi italiani sottoscriveremmo il nostro impegno a pagare tra 30 anni in caso lo Stato fallisca (impossibile). Cominceremo a far circolare titoli ad hoc sul sottostante che rappresenta, per lo Stato, un suo credito nei nostri confronti. Ridurremo tasse, aumenteremo gli stipendi, R&S, scuola e sicurezza per le strade, opere pubbliche ecc. Ci affrancheremmo dallo spread per 50 mld/a per 8 anni; non appesantiremmo il debito, non sforeremmo il 3%. Dopo 8 anni il Pil aggiunto sarà di ca 400 mld, le entrate aggiuntive varranno ca 50 mld/a. Dopo 30 anni avremo risparmiato interessi passivi >1000 mlds (interesse composto). Dato che non è una moneta parallela per il prestatore di ultima istanza (noi cittadini) e c’è un bene reale e quotato… perché tanta reticenza da parte dei politici e non solo?

    • Charlotte

      Ma scusi, perché accontentarsi di un sottostante, ma soprattutto perché accontentarsi di un 10%.

      Confisca del 20% o più di tale patrimonio el il problema dello spread e del debito pubblico lo ha già risolto subito senza aspettare i 30 anni.

      Pensi che bellezza lo sventolio di bandiere rosse…

      • Bruno

        E stato dimostrato che la patrimoniale aggrava la recessione e allontana i capitali. In questo caso, l’attività ed i consumi sono incoraggiati senza pesare sul debito e, migliorando intessuto culturale, civile e produttivo raggiungeremmo il punto di auto sostentamento a partire dal quale non occorrerebbe altra iniezione di liquidità perché verrebbe fornita dalle maggiori entrate grazie al
        Pil aggiuntivo.

  4. oscar blauman

    L’economia, leggi i consumi, dovevano ristrutturarsi gia’ da un po per motivi ambientali, questo scossone indichera’ la strada. Non ostacoliamo i movimenti naturali con irrigidimenti del mercato.
    Chi ha fatto scelte di vita, leggi lavoro, sbagliate avra’ un adeguamento piu’ doloroso. L’opulenza generalizzata attuale fornira’ l’energia libera necessaria agli aggiustmenti.

    • Luca Pesenti

      sbagliate da che punto di vista?
      Le sue sono quelle giuste? Le auguro di circondarsi di persone che la pensano all’opposto, o rischia di finire vittima della sua stessa apocalisse.

  5. Nicola

    Buongiorno professore. In merito al suo articolo, volevo chiederle quali misure dovrebbe a suo parere mettere in campo l’Europa a sostegno degli stati in difficoltà (in particolare l’Italia) e quali metterà in atto secondo lei?

    Come giudica l’utilizzo dei fondi del MES a fondo perduto per il sostegno dell’economia reale al fine di evitare il collasso del tessuto economico, anche per effetto della mancanza di liquidità?

  6. bob

    se in questa “guerra” c’è un aspetto utile è l’aver messo in luce l’arretratezza di questo Paese. Se si sostiene che la finanza abbia soppiantato la politica non ha assolutamente scalfito la burocrazia. La follia regionalistica-localistica, lo smantellamento sistematico del sistema produttivo industriale, della scuola , della sanità . Questo era un Paese che doveva pullulare di centri di ricerca invece che di orrendi capannoni inutili. Ministro delle Riforme per 20 anni un perditempo del Bar dello Sport questi i risultati. La nostra non è crisi economica ma profonda e pericolosa crisi culturale.

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