Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, i divari di genere sul mercato del lavoro continuano a essere pronunciati, specialmente in Italia. In occasione della giornata internazionale delle donne, facciamo il punto sui numeri del lavoro femminile.
Donne e mercato del lavoro
Come ogni anno, in occasione del Women’s day, l’Eurostat aggiorna i dati sulla disuguaglianza di genere, prendendo in considerazione sette macro-aree: potere, salute, tempo, conoscenza, violenza, denaro e lavoro. L’opinione pubblica è diventata più sensibile nei confronti di queste disuguaglianze e diversi governi hanno iniziato a prendere misure per contrastarle. Qui facciamo il punto sulla disuguaglianza di genere sul mercato del lavoro.
Il tasso di occupazione
Una prima misura della disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro è il tasso di occupazione.
I dati più recenti ci dicono che l’occupazione femminile a livello europeo (nella classe 20-64) è al 67,3 per cento, in aumento di circa 5 punti rispetto a 10 anni fa, ma nettamente inferiore al dato maschile pari al 79 per cento. Fra gli stati dell’Ue, il paese con il più alto numero di donne occupate è la Svezia, mentre quello con il numero più basso è la Grecia. In questa classifica, l’Italia si colloca al penultimo posto, con un tasso di occupazione femminile pari al 53,1 per cento: ben 13,8 punti percentuali in meno rispetto alla media europea.
La scarsa partecipazione femminile nei paesi mediterranei può essere ricondotta, da un lato, a un contesto socioculturale nel quale la donna continua a svolgere la maggior parte delle attività legate alla cura della casa e dei bambini e, dall’altro, a politiche per la famiglia poco efficaci.
In Italia il valore medio maschera, però, importanti differenze:
- territoriali: la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è maggiore al Nord rispetto al Sud. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione femminile non supera il 33 per cento, mentre al Nord raggiunge il 60 per cento;
- per età: l’occupazione femminile nella classe di età 45-54 è pari al 62 per cento, con un gap rispetto all’occupazione maschile di 23 punti percentuali, che si riduce a 17 nella classe 25-34;
- per livello di istruzione: fra coloro che hanno una laurea o un titolo superiore, il tasso di occupazione sale al 74 per cento per le donne e all’83 per cento per gli uomini. In questo caso la differenza di genere nei tassi di occupazione risulta quasi dimezzata rispetto ai valori aggregati: si passa da un differenziale di circa 20 punti percentuali, a uno di “soli” 9 punti. Con livelli di istruzione inferiori, l’occupazione femminile si riduce drasticamente e il divario con gli uomini aumenta: in caso di diploma il tasso di occupazione delle donne è del 55 per cento e in caso di licenza media del 33 per cento, contro un tasso maschile rispettivamente del 74 per cento e del 59 per cento;
- per presenza di carichi familiari: il gap occupazionale risulta molto marcato quando ci sono figli. Fra le madri di 25-54 anni il tasso di occupazione è del 57 per cento, contro un valore medio fra i padri dell’89,3per cento. Inoltre, ben l’11,1 per cento delle donne non ha mai lavorato per dedicarsi ai figli, contro una media europea del 3,7per cento. Per avere un’idea delle differenze nella divisione del lavoro di cura, la responsabilità̀ di assistere regolarmente figli o altri parenti (malati, disabili o anziani) grava sul 9,4 per cento delle donne di 18-64 anni e sul 5,9 per cento degli uomini della stessa fascia di età.
Il differenziale salariale
Una seconda misura della disuguaglianza di genere è il differenziale salariale.
Il divario retributivo fra uomini e donne viene misurato dall’unadjusted gender pay gap, ossia dalla differenza fra le retribuzioni lorde orarie degli uomini e delle donne, espressa in percentuale degli stipendi medi lordi degli uomini.
Nell’Unione Europea il salario medio orario delle donne nel 2018 è risultato del 14,8 per cento più basso di quello degli uomini, in diminuzione di 1,2 punti rispetto all’anno precedente. Ciò significa che, posto pari a 1 euro il salario medio orario di un uomo, una donna guadagna circa 85 centesimi. Il differenziale salariale varia da un minimo del 3 per cento in Romania a un massimo del 22,7 per cento in Estonia. In questa classifica, il nostro paese ottiene il secondo valore più basso (5 per cento), decisamente inferiore sia alla media europea, sia ai livelli registrati in Francia e Germania.
Il risultato si spiega con la presenza di elevate barriere all’entrata nel mercato del lavoro per le donne, che permette solo a quelle più istruite, con salari potenzialmente più elevati, di partecipare.
Per quanto riguarda la dicotomia pubblico-privato, il divario salariale di genere è generalmente inferiore nel primo rispetto al secondo, grazie alla maggiore uniformità che caratterizza i contratti pubblici.
C’è qualche segnale positivo?
Negli ultimi anni il numero di donne con un ruolo di responsabilità in istituzioni pubbliche e private è significativamente aumentato.
A titolo di esempio: nei parlamenti dei paesi dell’Ue il numero di rappresentanti donne è cresciuto in dieci anni di 8 punti percentuali – dal 24 per cento a poco più del 32 per cento; il numero dei giudici donne è passato nello stesso periodo dal 32 al 42,6 per cento; la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione ha raggiunto la quota del 28,8 per cento in Europa, un deciso passo avanti rispetto al valore del 2015, che era pari al 22,2 per cento.
Questi dati, uniti alle nomine di Ursula Von Der Leyen come presidente della Commissione Europea, di Christine Lagarde a capo della Banca centrale europea, di Kristalina Georgieva al Fondo monetario internazionale e, nel nostro paese, di Marta Cartabia alla presidenza della Corte costituzionale, sono segnali di un cambiamento lento, ma inarrestabile. Qualche “soffitto di cristallo” è stato infranto. Anche questo 8 marzo c’è motivo per vedere il bicchiere mezzo pieno.
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