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Italiani, i più furbi d’Europa nell’evasione dell’Iva

L’Italia ha il triste primato di evasione dell’Iva nella Ue: è tricolore un quarto del totale evaso. Nel complesso del sistema fiscale, è l’imposta più sottratta al fisco, anche perché è la più facile da evitare. Cosa è stato fatto finora per contrastare il fenomeno?

Quindici modi per evadere la tassa

Evadere le imposte è una pessima abitudine che costa allo stato miliardi di euro. In Italia, si tratta in media di 98,3 miliardi l’anno. Ma una su tutte è la tassa che si presta a non essere pagata: l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto che grava sui consumi. Da sola rappresenta oltre un terzo del totale delle imposte evase, per un valore medio di quasi 36 miliardi all’anno, seguita da Irpef (33 miliardi) e da Ires (8 miliardi).

Figura 1

Fonte: Relazione sull’evasione fiscale e contributiva 2019

Nota: il valore del 2017 è ancora provvisorio

Com’è possibile che lo stato possa perdere tutti questi soldi? Perché l’Iva è tra le imposte più facili da evadere. L’associazione Nens stima che esistono almeno 15 modalità con cui si può fregare il fisco. Basta infatti non fatturare quanto si è venduto e non lasciare traccia di quanto si è ricavato. Un gioco da ragazzi se poi i pagamenti sono fatti in contanti. Anche i liberi professionisti con regolare partita Iva possono evadere, semplicemente non emettendo la fattura per la prestazione fornita ai clienti.

L’evasione in Europa

Secondo le ultime stime della Commissione europea, nel 2017 la Ue ha perso 137,5 miliardi di gettito Iva, circa 8 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. L’Italia è il primo paese per valore nominale evaso, secondo queste stime pari a quasi 33 miliardi, circa un quarto di tutta l’evasione europea dell’imposta. Il podio è poi completato da Germania (25 miliardi) e Regno Unito (19 miliardi). I paesi in cui invece si evade di meno sono Lussemburgo (23 milioni), Malta (13) e Cipro (11).

Figura 2 – Valore nominale dell’Iva evasa nei paesi Ue

L’Italia è invece terza per il maggior divario tra gettito previsto e riscosso con il 29 per cento, dietro solo a Romania (35) e Grecia (33).

Una misura originale in Portogallo

Contro l’evasione dell’Iva, in Portogallo è stato introdotto nel 2013 e-fatura, un programma per la fatturazione elettronica e la registrazione di tutte le spese detraibili e deducibili direttamente sul portale personale, che tiene traccia di ogni spesa fatta. Tutti i registratori di cassa del paese sono stati collegati alla locale Agenzia delle entrate, così da ricordare ogni fattura o scontrino emesso.

I vantaggi del sistema sono sostanzialmente tre:

  • non c’è più bisogno di accumulare scontrini o ricevute, perché a ogni transazione è abbinato il codice fiscale dell’acquirente;
  • il portale calcola in automatico le tasse dovute all’erario e le deduzioni/detrazioni a cui si ha diritto;
  • ogni dieci euro di spesa, lo scontrino riporta un codice che permette la partecipazione a una lotteria con premio massimo di 50 mila euro.

Il sistema automatizzato permette una più facile compilazione della dichiarazione dei redditi e incentiva i portoghesi a richiedere sempre lo scontrino. Per questo motivo, secondo i dati dell’istituto di statistica portoghese, il meccanismo ha permesso di aumentare del 12,5 per cento il gettito Iva rispetto al 2012. È un meccanismo che presenta comunque varie criticità, ma da cui potremmo avere qualcosa da imparare.

Cosa è stato fatto finora in Italia

In Italia nel 2017 l’evasione dell’Iva è stata più alta rispetto agli anni precedenti e il confronto con l’Europa resta piuttosto allarmante.

Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi strumenti contro l’evasione dell’imposta, come lo split payment e la fatturazione elettronica, che nel complesso hanno prodotto buoni risultati.

Lo split payment prevede il pagamento dell’Iva direttamente da parte della pubblica amministrazione per i beni e servizi da essa acquistati al posto del fornitore, ritenuto sostanzialmente “meno affidabile” dal punto di vista dell’adempimento fiscale. Secondo il ministero dell’Economia lo strumento ha consentito un recupero di gettito per circa 3,5 miliardi di euro nei flussi di cassa del 2015 e 2016. Alla luce di questi risultati positivi, a partire da metà 2017 lo split payment è stato esteso anche alle società controllate, direttamente o indirettamente, dalla Pa e alle società quotate. Per questa estensione, però, non è ancora disponibile una valutazione completa. La relazione del Mef del 2019 rileva tuttavia che, nonostante nel 2017 si sia evaso di più in termini di competenza, la misura ha indotto un miglioramento dell’adempimento in termini di cassa: il gettito effettivo, al netto della variazione dello stock dei crediti, è cresciuto del 4,1 per cento.

Infine, l’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica dal gennaio 2019 ha consentito all’amministrazione di acquisire in tempo reale le informazioni contenute nelle fatture emesse e ricevute dagli operatori, offrendo così la possibilità di effettuare un controllo tempestivo e automatico della corrispondenza tra l’Iva dichiarata e pagata e le fatture emesse e ricevute. È molto buono il bilancio dei primi mesi: secondo il bollettino mensile del ministero dell’Economia sulle entrate tributarie, da gennaio a luglio sono stati incassati oltre 2 miliardi in più di Iva rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Sicuramente rimane ancora molto da fare. L’ultima idea sul piatto è stata lanciata da Confindustria, che propone alcuni incentivi per stimolare l’uso dei pagamenti elettronici, tracciabili e quindi difficilmente occultabili al fisco: da una parte un credito d’imposta del 2 per cento per i pagamenti elettronici e dall’altra una commissione del 2 per cento sui prelievi bancomat sopra i 1.500 euro, con un gettito stimato di 3,4 miliardi l’anno. Una proposta controversa ma in linea con l’idea del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che propone il “cashback”, una sorta di sconto sugli acquisti di cui si può beneficiare in sede di dichiarazione dei redditi.

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  1. LUCIANO PONTIROLI

    Si continua ad imputare l’evasione i.v.a. ai liberi professionisti in maniera indiscriminata, dimenticando che quelli che assistono altri liberi professionisti o, soprattutto, imprese di qualsiasi genere ed altri enti emettono regolarmente fattura perché i loro clienti altrimenti non pagherebbero le loro prestazioni. Solo per quelle rese a persone fisiche non esercenti attività d’impresa è possibile non emettere la fattura, assumendo il rischio di una verifica fiscale.

    • Marco

      A meno che non si aderisca alla flat tax al 15%, dove le fatture da scaricare non servono più e quindi vai di nero

  2. Gerardo

    Ceteris paribus per quanto riguarda il restante livello di imposizione tributaria, portiamo l’aliquota massima Iva diciamo al 7 per cento e suppongo che non sentiremo sostanzialmente più parlare di evasione dell’Iva. Lo Stato così dovrà rinunciare a del gettito e fare minore spesa pubblica? Tanto di guadagnato, visto che quello che sta strangolando il nostro paese è un’espansione indiscriminata di spesa pubblica inseguita da tassazione.
    Per quanto riguarda la proposta di Confindustria di tassare i prelievi denaro contante, cioè di moneta legale, stenderei un velo pietoso: una tipica proposta che al massimo può servire gli esclusivi interessi dei governanti e dei gruppi ad essi contigui.

    • Maurizio Bertini

      Tassare i prelievi di contanti, cioè dei NOSTRI soldi, è un modo per indurci a metterli sotto il materasso (tanto, con gli interessi attuali sul c/c, …) o per regalare i nostri dati ai gestori di carte di credito e bancomat quando le usiamo per fare acquisti evitando quel balzello. Le banche, Visa, Mastercard ecc. ringraziano sentitamente i politici che dovessero votare questa proposta demenziale.
      Anche quella di ridurre l’aliquota IVA al 7%, però, non scherza. L’evasione non dipende tanto dall’aliquota o dall’importo evaso, quanto dalla probabilità di non essere beccati.

  3. umberto marchesi

    Sarebbe forse corretto integrare con un rapporto fra importo evaso e popolazione ovvero evasione pro.capite

    • Maurizio Bertini

      Certo: sarebbe corretto. Mi limito ai quattro paesi con il maggiore importo evaso, che per una “strana” coincidenza sono quelli col maggior numero di abitanti. Dati da Wikipedia italiana:
      Italia: 60.359.546 abitanti
      Germania: 82.366.300
      Francia: 68.303.234
      Regno Unito: 67.545.757
      Pertanto l’Italia, fra questi quattro paesi, dovrebbe essere al quarto posto come importo evaso totale e a maggior ragione pro capite. Invece siete ampiamente al primo. Lei come lo spiega a un libero professionista che vive in Germania e che, come nota giustamente un altro commentatore, emette regolarmente fattura, non perché io sia un santo onestissimo, ma perché se non emetto fattura i miei clienti non mi pagano?

  4. Henri Schmit

    Potrebbe far sorridere il fatto riportato nell’articolo che il Lussemburgo figura fra i paesi dove si evade meno. Ma non è uno scherzo, corrisponde al vero. Bisognerebbe però calcolare le differenze non in valore valori assoluti, ma in % del tax gap. Limitando il confronto all’IVA di nuovo il Lussemburgo (IVA al 17%) è con la Svezia (con un IVA standard al 25%) fra i paesi dove si evade meno, il Regno Unito lontano dopo l’Italia uno dei paesi dove si evade di più. Non bisogna pensare che il VAT gap sia dovuto solo alle partite IVA furbe (idraulici, dentisti, etc). L’importo immenso evaso in Italia (e in Regno unito) si spiega solo riconoscendo l’importanza dei montaggi fraudolenti, dolosi, dovuti a 1. una regolamentazione bizantina, incomprensibile; 2. un’amministrazione che non riesce a gestire la propria (pubblica) complessità; 3. un sistema giudiziario formalistico che distrugge gli onesti sfortunati o truffati e salva i veri criminali fiscali; 4. una mancanza di studio da parte dell’accademia (non dico da parte degli esperti perché loro sono i consulenti più pagati nel paese che mai uccideranno la gallina alle uova d’oro); 5. un’opinione pubblica deviata da declami demagogici che abilmente occultano la realtà.

  5. Henri Schmit

    Dimenticavo: il divario fra VAT-gap italiano e quello D-F-UK è correlato al divario fra gli stessi paesi circa i NPL. Ma come mai? qualcuno chiederà. Il nesso sono i fallimenti; una legislazione bizantina ed inefficace con procedure per le imprese insolventi troppo complesse, lunghe ed incerte è il vizio strutturale dove si annidano i trucchi e trucchetti per arricchirsi fallendo. E a tutti va bene così, nessuno ne parla, si preferiscono le statistiche internazionali che ovviamente fanno fatica a integrare questi elementi.

  6. Henri Schmit

    Terzo: bisognerebbe aggiungere i dati sui contributi sociali “evasi”, o diciamo semplicemente “non pagati” (social security contributions gap). Di nuovo ci sarà una correlazione fra paesi del SSC-gap con i NPL perché in Italia le imprese falliscono dopo anni di inadempienza nei confronti delle casse sociali – loro stesse inadempienti (quindi colpevoli!) nei confronti dei loro debitori, sfortunati o furbi. Non conosco i dati statistici che però devono esistere.

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