Cosa dicono i dati sugli sbarchi
Su lavoce.info, l’8 gennaio 2019 Francesco Daveri ha pubblicato un articolo dal titolo “L’effetto Salvini sugli sbarchi conta metà dell’effetto Minniti” nel quale, con una serie di dati, cerca di dimostrare come la politica del controllo dei flussi migratori attuata dal ministro dell’Interno Marco Minniti (dicembre 2016-maggio 2018) sarebbe stata più efficace, nel ridurre gli sbarchi, rispetto a quella del suo successore, Matteo Salvini (in carica da giugno 2018).
Parafrasando Carl Friedrich Gauss, “Manca di mentalità matematica tanto chi non si accorge di ciò che è evidente, quanto chi si attarda nei calcoli con precisione superiore alla necessità”: appare del tutto evidente che, se si considera come obiettivo solo la limitazione degli sbarchi (senza porsi problemi di opportunità politica o altro), la decisione di chiudere i porti deve per forza essere più efficace di qualsiasi altra misura (un fluido non riuscirà mai ad attraversare un condotto se questo è chiuso, mentre ci mette di più o di meno a seconda dell’ampiezza dell’apertura dell’imbocco se questo non lo è).
Ciononostante l’articolo è secondo noi interessante perché, indipendentemente dalla volontà dell’autore, la cui buona fede non è assolutamente messa in discussione, costituisce un esempio di come un’errata o parziale gestione dei dati possa condurre a esiti del tutto contrari all’evidenza.
Le conclusioni di Daveri sono basate sulla tabella seguente.
Tabella 1
Daveri nota che la riduzione di arrivi tra il 2016 (181.436 sbarchi) e il 2018 (23.371 sbarchi) è di 158.065 persone. Siccome la riduzione dovuta a Minniti ammonta a 62.067+46.798 = 108.865 persone (è stato in carica fino alla fine di maggio del 2018) e quella dovuta a Salvini (rispetto al periodo giugno-dicembre dell’anno precedente) ammonta a 49.200 persone, allora, visto che il rapporto 108.865/158.065 = 0,69 mentre il rapporto 49200/158065 = 0,31, la politica di riduzione degli sbarchi del primo risulterebbe più efficace di quella del secondo (“l’effetto Minniti vale due volte l’effetto Salvini”, scrive Daveri).
In realtà, mentre i dati mostrano un miglioramento rispetto a quanto fatto dal ministro Angelino Alfano, il loro uso per confrontare Minniti con Salvini è del tutto discutibile: se anche nel 2018 Salvini fosse riuscito ad azzerare del tutto gli sbarchi, la riduzione numerica rispetto al 2016 sarebbe stata di 181.486 persone (vedi tabella). Di questa riduzione, secondo Daveri, sarebbe stato responsabile Minniti per una frazione pari a 108.865/181.486 = 0,60, mentre a Salvini se ne sarebbe potuta imputare una pari a (49.200+23.371)/181.486 = 0,40. Paradossalmente neppure azzerando gli sbarchi (magari con gli stessi metodi usati da Minniti…), l’attuale ministro dell’Interno avrebbe potuto raggiungere l’efficienza della politica del suo predecessore.
I conti senza Alfano
Dal punto di vista puramente metodologico, il confronto tra le politiche di Minniti e di Salvini così come lo fa Daveri (a partire quindi dalla situazione degli sbarchi alla fine del mandato di Alfano) avrebbe avuto senso se i due avessero potuto misurarsi partendo dallo stesso punto: invece Salvini parte da Minniti e non da Alfano. Cosa sarebbe accaduto se ad Alfano fosse succeduto Salvini anziché Minniti non è ovviamente dato saperlo. Due cose però sono certe:
- Salvini segue temporalmente non Alfano, ma Minniti e con quest’ultimo può essere confrontato (non però rispetto alla situazione presente dopo Alfano);
- Salvini ha ulteriormente ridotto gli sbarchi rispetto a Minniti.
Per comparare i risultati ottenuti da Minniti con quelli ottenuti da Salvini appare molto più corretto (nonché più semplice e immediato) notare come la riduzione degli sbarchi durante i primi sette mesi del ministero Salvini sia pari all’83 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente (Minniti) (9.941 contro 59.141).
Dai dati presentati appare come persino rispetto al periodo gennaio-maggio 2018 (più corto, cinque mesi contro sette e più sfavorevole agli sbarchi a causa delle condizioni climatiche, cosa sulla quale Daveri concorda) Salvini sia riuscito a ridurre gli arrivi (del 26 per cento: 9.941 contro 13.430).
Se infine prendiamo per buoni i dati del 2016 (nei primi cinque mesi del 2017 c’è stato addirittura un incremento degli arrivi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), gli arrivi invernali rappresentano un 35 per cento circa di quelli estivi. Si potrebbe quindi ipotizzare, pur senza riscontri oggettivi, che la politica di Minniti avrebbe comportato, nel periodo giugno-dicembre 2018 un numero di sbarchi intorno alle 40.000 unità (~13.430/0,35), inferiore a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente (59.141), ma superiore (+75 per cento) a quelli effettivamente verificatisi grazie a Salvini (9941).
Limitandosi esclusivamente ai numeri presentati, appare chiaro come l’analisi di Daveri sia viziata da evidenti errori metodologici (Minniti e Salvini non partono dallo stesso punto, ad esempio) e come una disamina oggettiva dei numeri conduca a conclusioni diametralmente opposte a quelle da lui pubblicate.
La replica dell’autore
Francesco Daveri
Ringrazio Antonio Traino e Lapo Trapelicino per il loro dettagliato commento al mio pezzo. Come ho già avuto modo di rispondere ad altri lettori, si può confrontare in vari modi il risultato dei due ministri nel ridurre gli sbarchi. Il lettore Fabrizio Ferrari ha osservato correttamente come entrambi abbiano avuto la stessa “produttività mensile”.
Il punto di vista da me espresso nell’articolo – e che ribadisco – è il seguente. Se l’obiettivo è ridurre gli sbarchi totali, rimane che per ora Marco Minniti per ora ha fatto due volte di più di Matteo Salvini. Salvini ha ridotto percentualmente di più, ma se il problema iniziale dipendeva dal numero assoluto di sbarchi, Minniti li ha limitati più di quanto abbia fatto Salvini e forse si può anche dire che aveva da affrontare un problema più grande di quello che l’attuale ministro dell’Interno ha dipinto come un grande problema. C’è poi da ricordare – come hanno fatto alcuni lettori – che Minniti ha concluso un accordo di cui il suo successore ha beneficiato, il che porterebbe ad attribuirgli una quota anche maggiore del risultato rispetto a quella da me riportata.
Ricordo infine che il punto di partenza della mia analisi è il pezzo di Daniele Capezzone su La Verità. Un pezzo che ha omesso di considerare il ruolo di Minniti, oltre tutto nascondendosi dietro al Wall Street Journal – due scorrettezze in una. Nel mio pezzo ho cercato di valutare il ruolo di tutti e due i ministri, fornendone una quantificazione. Una volta che c’è la quantificazione di un fenomeno, si può criticarla e migliorarla, ci mancherebbe. E quindi sono ovviamente benvenuti i commenti di chi offre stime alternative o migliori della mia. La quale stima, ribadisco, data l’impostazione che ho dato al problema, rimane a mio avviso una plausibile prima approssimazione.
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