Pur restando in attesa della norma definitiva, la legge di bilancio sembra voler abolire un apprezzato sistema di tassazione delle imprese coerente, neutrale e favorevole alla crescita. A sostituirlo sarà una detassazione degli utili macchinosa e complessa.
Così aumenta l’imposizione sulle imprese
La riforma nella tassazione di impresa che si sta delineando nel disegno di legge di bilancio suscita perplessità, soprattutto come strumento per stimolare la crescita, obiettivo prioritario del governo. In attesa del testo definitivo e della relazione tecnica, per ora è possibile evidenziare alcune criticità.
Innanzitutto, si modifica, a distanza di poco tempo e in modo sostanziale, il sistema di tassazione delle imprese. Già questo, di per sé, non aiuterà la crescita: è noto che per gli investitori la stabilità e la certezza del quadro normativo è molto importante (“an old tax is a good tax”).
Vi sono poi una serie di aumenti e riduzioni di imposizione il cui effetto netto è ancora poco chiaro.
Viene abolito l’aiuto per la crescita economica (Ace), introdotto nel 2011 e vengono ridotti gli incentivi agli investimenti in ricerca e sviluppo. Ciò sorprende, in quanto la combinazione di un sistema impositivo tipo Ace e di incentivi agli investimenti in ricerca e sviluppo è considerata, rispetto ad altri strumenti, la ricetta migliore per stimolare la crescita (si veda, in proposito, anche la proposta di direttiva europea per la base imponibile comune, la cosiddetta Ccctb).
L’Ace è un sistema impositivo con importanti caratteristiche di neutralità rispetto alle scelte di investimento, di finanziamento e organizzative delle imprese. Il sistema era ormai consolidato e apprezzato e ha contribuito a rafforzare la struttura patrimoniale delle imprese. La sua abolizione riguarda centinaia di migliaia di imprese: gli ultimi dati disponibili delle dichiarazioni dei redditi Ires (2016) e Irpef (2017) indicano che hanno usufruito della deduzione Ace più di 450 mila imprese, per un ammontare complessivo pari a quasi 20 miliardi di euro di minor imponibile. Successivamente è stato ridotto il tasso in base a cui si calcola la deduzione Ace, ma i risparmi di imposta continuano a essere significativi per una considerevole platea di contribuenti.
In violazione dello statuto del contribuente per il secondo anno consecutivo, il disegno di legge abolisce l’imposta sul reddito dell’imprenditore (Iri), che avrebbe consentito alle imprese individuali e alle società di persone di essere tassate in modo uniforme rispetto alle società di capitali, potendo usufruire di una tassazione flat al 24 per cento, invece delle attuali aliquote progressive Irpef (dal 23 al 43 per cento), su tutti gli utili trattenuti in azienda. Ciò avrebbe aumentato non solo la solidità patrimoniale, ma anche la capacità di investimento delle imprese beneficiarie.
Non viene rifinanziato il cosiddetto superammortamento fiscale per i beni strumentali e viene ridotto l’iperammortamento per i “beni digitali” di Industria 4.0, con benefici che diminuiranno al crescere dell’investimento e con un tetto di 20 milioni. Si tratta, anche in questo caso, di due strumenti utili alla crescita.
Ultimo, ma non meno importante, viene significativamente aumentata, sia direttamente sia con l’abrogazione dell’Ace, la tassazione degli intermediari finanziari (e assicurativi), il cui ruolo è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di crescita.
Le riduzioni di imposta
In cambio di tutto ciò, le imprese potranno beneficiare di una tassazione agevolata (del 15 per cento invece del 24 per cento) degli utili destinati a finanziare nuovi investimenti e nuovi dipendenti, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.
Inoltre, per le persone fisiche esercenti attività di impresa, viene esteso fino a 65 mila euro di fatturato il regime forfettario che consente una tassazione del 15 per cento, sostitutiva di Irpef e di Irap. Dal 2020 dovrebbe essere prevista una tassazione sostituiva del 20 per cento, per fasce di ricavo comprese tra 65 mila e 100 mila euro.
Gli effetti degli interventi
Per un giudizio definitivo, così come per capire l’effetto netto di tutti questi interventi, occorrerà attendere i dettagli della norma definitiva.
L’impressione, per il momento, è che si abolisca un sistema di tassazione (Ace-Iri) coerente, neutrale e favorevole alla crescita, per sostituirlo con uno di detassazione degli utili che appare macchinoso e complesso, sia per la serie di riporti che garantiscono il mantenimento dell’agevolazione nel tempo, sia per l’individuazione della tipologia di investimenti e incrementi occupazionali meritevoli di agevolazione. Il nuovo sistema sarà inoltre più distorsivo e “dirigista” (per le numerose condizioni poste) rispetto a quello vigente.
Vi saranno anche importanti effetti redistributivi nell’onere del prelievo, con imprese che beneficeranno di riduzioni e altre che potranno subire aumenti di tassazione, anche consistenti, in funzione delle loro scelte non solo future, ma anche passate.
Oltre ai maggiori oneri sulle banche, rischiano di essere penalizzate le imprese più solide e dinamiche, che perderanno l’Ace e, se organizzate nella veste di società di persone, anche l’Iri. Viceversa, saranno favorite le piccole imprese, spesso marginali e a carattere individuale, che avranno tutti gli incentivi a rimanere tali, proprio per non perdere le numerose agevolazioni fiscali concesse.
L’unico aspetto positivo dell’insieme delle modifiche è la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, ma lo strumento utilizzato è limitato (ai nuovi occupati) e improprio, in quanto agisce tramite la detassazione degli utili reinvestiti, invece che operare direttamente sulle sue componenti.
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