Lavoce.info

I numeri dicono che la flat tax non si finanzia da sola*

I promotori descrivono la flat tax come un mezzo per rilanciare l’economia, grazie al sostegno fiscale. Ma i risultati di una stima degli effetti macroeconomici mostrano che la riforma non si autofinanzia. È quindi necessario trovare le coperture.

Riforma fiscale e crescita economica

La proposta di “quasi flat tax” (con due aliquote e un solo tipo di deduzione), inclusa nel “contratto” di governo, ha riacceso il dibattito sugli effetti di una riforma dell’Irpef che riduca la pressione fiscale e al tempo stesso semplifichi il sistema. Le analisi si sono finora concentrate sulla quantificazione della perdita di gettito e sugli aspetti distributivi (qui; qui e qui). Eppure, si afferma spesso che una riforma di questo tipo promuoverebbe la crescita, generando così maggiore base imponibile e un potenziale recupero di gettito.

Sono molteplici i canali attraverso cui l’introduzione di una (quasi) flat tax, associata a una riduzione del carico fiscale, può aiutare la crescita economica. Nel caso dell’imposta sui redditi personali, quello principale è l’aumento dei consumi conseguente al maggior reddito disponibile. I consumi rispondono in modo molto più forte a variazioni delle imposte percepite come permanenti, quindi è importante che obiettivi e tempi di una riforma siano definiti in modo chiaro, cosicché le modifiche siano considerate credibili e strutturali. Per un impatto maggiore, il risparmio fiscale dovrebbe essere soprattutto per le classi di reddito più basse, con propensioni al consumo più elevate.

Gli effetti sull’offerta di lavoro sono incerti e dipendono dal se e quanto una riduzione delle aliquote marginali induca gli individui a lavorare di più (“effetto sostituzione”), nonostante un “effetto reddito” di segno opposto, che deriva dalla riduzione delle aliquote medie.

Data la complessità dell’attuale sistema italiano, i benefici economici dovuti alla semplificazione potrebbero essere ampi: dal lato della pubblica amministrazione, meno costi amministrativi; dal lato dei contribuenti, meno costi per rispettare le norme. Maggiore trasparenza e minore complessità possono inoltre aumentare l’osservanza della legge, migliorando l’efficienza del sistema e determinando un recupero di gettito.

Due simulazioni per l’Italia

Come documentato nel dettaglio in un recente rapporto del Centro studi Confindustria, abbiamo simulato gli effetti macroeconomici di due schemi alternativi di quasi flat tax. Il primo ricalca la proposta contenuta nel contratto di governo, mentre il secondo, a parità di perdita di gettito, e sempre con un unico tipo di deduzione al posto dell’attuale sistema di agevolazioni, deduzioni e detrazioni, è costruito in modo da ottenere un risparmio fiscale maggiore per le classi di reddito più basse. Per ciascuno schema si considera l’attuazione immediata (dall’anno successivo) oppure graduale (a regime al quarto anno):

La simulazione 1 prevede due scaglioni (fino a 80 mila euro con aliquota del 15 per cento, oltre con aliquota del 20 per cento); base imponibile costituita dal reddito familiare; deduzione di 3 mila euro, moltiplicata per il numero dei componenti della famiglia se il reddito è inferiore a 35 mila euro, per quelli a carico se è tra 35 e 50 mila euro, zero oltre questa cifra; rimane il bonus “80 euro”; clausola di salvaguardia. La riduzione di gettito stimata è di quasi 52 miliardi di euro, in linea con precedenti stime di Massimo Baldini e Leonzio Rizzo e di Prometeia.

Leggi anche:  Contratto fiscale tradito

La simulazione 2 prevede sempre due scaglioni (fino a 100mila euro con aliquota del 20 per cento, oltre con aliquota del 40 per cento); deduzione di 10 mila euro, moltiplicata per il numero dei componenti della famiglia se il reddito è inferiore a 40 mila euro, per quelli a carico se è tra 40 e 60 mila euro, zero oltre questa cifra; rimane il bonus “80 euro”.

Dato l’aumento stimato (su dati It-Silc) del reddito disponibile per decili, si assume che le famiglie modifichino il consumo in proporzione alle propensioni medie, calcolate utilizzando i dati dell’indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane. L’impatto macroeconomico è poi stimato utilizzando il modello di previsione del Centro studi Confindustria.

I risultati si possono così riassumere:

Nella simulazione 1, con attuazione nel primo anno, i consumi aumenterebbero di circa 35 miliardi rispetto a uno scenario base senza la riforma. Del risparmio fiscale non consumato, si assume che una quota, equivalente a 5 miliardi, finanzi nuovi investimenti. Ne deriverebbe una crescita del Pil dello 0,7 per cento più alta nel primo anno, ma la spinta si affievolirebbe negli anni successivi. Il maggior gettito fiscale derivante dalla spinta al Pil (pur assumendo un recupero dell’evasione pari a 5 miliardi) non compenserebbe l’effetto delle minori entrate dovuto alla riforma, portando il deficit in rapporto al Pil sopra i valori dello scenario base di quasi 2,5 punti percentuali nel primo anno e di poco meno di 2 al quarto. Il rapporto debito/Pil si attesterebbe al quarto anno su un valore di circa 7 punti più alto (tabella 1). La riforma, oltre che essere lontana dall’autofinanziarsi, non semplificherebbe il sistema, in quanto necessiterebbe di una clausola di salvaguardia, senza la quale le famiglie nei primi tre decili di reddito equivalente subirebbero un incremento dell’incidenza media della tassazione (grafico 1).

Nella simulazione 2, con attuazione nel primo anno, l’innalzamento sia della deduzione familiare sia dell’aliquota più alta determina un incremento del reddito disponibile tra il 7-8,5 per cento per i decili dal terzo al sesto, rispetto all’1-3 per cento della prima simulazione. Aumenta anche il risparmio fiscale per il settimo decile, mentre diminuisce nei tre più elevati, restando comunque ampio in valore assoluto (per il decile più alto il risparmio si dimezza ma rimane di 5.300 euro annui). Per le famiglie nel primo decile, che col sistema attuale nell’89 per cento dei casi non pagano imposte, la variazione percentuale del reddito disponibile ha un limite massimo poco sopra all’1 per cento. Un vantaggio fiscale maggiore si potrebbe ottenere solo introducendo un trasferimento netto positivo più ampio di quello previsto dal bonus “80 euro” (grafico 2).

Leggi anche:  Federalismo fiscale negletto nella delega fiscale

Una riforma di questo tipo eserciterebbe un maggior impulso sui consumi (+39 miliardi), ma l’impatto sul Pil sarebbe simile a quello del primo schema, così come l’innalzamento del rapporto debito/Pil. Avrebbe il netto vantaggio di non richiedere una clausola di salvaguardia, dato che in media vi è un abbassamento dell’incidenza fiscale in tutte le classi di reddito.

Spending review necessaria

I risultati indicano che è molto improbabile che il passaggio a una (quasi) flat tax si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta, anche nel caso in cui il risparmio fiscale sia più a favore delle classi con maggior propensione al consumo. Tuttavia, le simulazioni non tengono conto i) della possibile riduzione dei disincentivi al lavoro associati ad aliquote marginali più basse, ma gli effetti attesi sono modesti, specie in un paese dove sono ancora numerose le barriere a una maggiore partecipazione delle donne al lavoro; ii) dell’effetto positivo derivante da una semplificazione del sistema, come quella realizzata nella simulazione 2.

D’altronde, non si considerano neanche gli effetti negativi sulla crescita derivanti da un potenziale aumento dei rendimenti sui titoli di stato a seguito del peggioramento dei conti pubblici.

In sostanza, per finanziare una riduzione del carico fiscale dell’ampiezza considerata è necessario recuperare risorse da una seria spending review e da un significativo recupero di evasione.

In più, la riforma, pur dovendo essere ben definita e annunciata fin dall’inizio, dovrebbe essere attuata con gradualità. L’attuazione graduale ha il vantaggio di smorzare nei primi anni il balzo del rapporto deficit/Pil, con conseguente minor crescita del rapporto debito/Pil alla fine del periodo.

*Le opinioni espresse nell’articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell’organizzazione di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Contratto fiscale tradito

Precedente

Il Punto

Successivo

Ma la mensa a scuola è parte dell’educazione

  1. Maurizio Sbrana

    E … tutto ciò non avendo a mente l’art.53 della Costituzione…!!!!!

    • Matteo Barbieri

      Una flat rate tax con deduzione che si riduce in ammontare al crescere del reddito imponibile (fino a scomparire) È “informata a criteri di progressività”, dunque perfettamente compatibile con l’articolo 53.

  2. Paolo Palazzi

    Propongo una flat tax con aliquota unica pari al 100%, ma con una deduzione variabile legata alla classe di reddito. Qui riporto solo per i redditi superiori ai 200.000 € (ma si può farne analoghe per altri redditi), chi è favorevole? 🙂
    Deduzione= Reddito nominale (>200.000)*0,43-6.830

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén