I punti principali sollevati nei commenti al mio articolo sono due: il rapporto tra split payment ed evasione dell’Iva e il tipo di controfattuale utilizzato.

Sul primo punto, come affermato dal lettore Asterix, la prova dell’efficacia dello split payment si ha se si dimostra che “al netto dei maggiori crediti Iva sorti, ha comportato un effettivo recupero di gettito”. È infatti esattamente questo il tipo di ragionamento che porta alla stima di maggiore gettito per 3,5 miliardi citata nell’articolo e ripresa dallo studio europeo. Più precisamente, come si legge nella Tabella 4 a pagina 36, i 3,5 miliardi sono calcolati come differenza tra 10,6 miliardi – ossia i versamenti effettuati in regime di split payment, che come tali sono tracciati a sistema- e i 7,1 miliardi dovuti ai minori incassi. A loro volta, questi 7,1 miliardi sono la somma di tre componenti principali: a) minore iva versata dai fornitori; b) minori crediti usati in compensazione e c) minori crediti chiesti a rimborso. Mentre i punti b) e c) sono certi, il punto a) va stimato utilizzato un controfattuale, ossia chiedendosi quanta Iva sarebbe stata versata dai fornitori della Pa se non ci fosse stato lo split payment.

E veniamo così al punto 2) sollevato dal lettore arthemis. La stima riportata nello studio europeo sul punto a) viene da uno studio dell’ufficio studi dell’Agenzia delle entrate. In sintesi, il controfattuale consiste nella variazione dei versamenti Iva effettuati da contribuenti appartenenti agli stessi settori (vengono considerate le 85 divisioni Istat) osservate nello stesso periodo di applicazione dello split payment.  Si tratta evidentemente di una scelta che appare, peraltro, ragionevole. Eventualmente, si potrebbe verificare l’utilizzo di modelli econometrici diversi (gli autori utilizzano un modello panel ad effetti fissi) ma non credo che gli ordini di grandezza cambierebbero molto.

Mi pare quindi che il legame tra adozione dello split payment ed evasione dell’Iva appaia con chiarezza.

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