Perché serve una strategia nazionale

Il mio articolo “Educazione finanziaria: ci vuole una strategia nazionale” ha suscitato diversi commenti dei lettori.
Quando si discute di educazione finanziaria occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci.
Primo: il fine ultimo non è fare degli italiani degli esperti di finanza bensì quello di dare loro i riferimenti essenziali per un corretto processo decisionale in ambito economico e finanziario. Non sarebbe male partire dall’alfabetizzazione finanziaria, per trasmettere alcune nozioni semplici e di base (nell’ambito degli investimenti, ad esempio, i concetti di relazione rischio-rendimento e di diversificazione). Non è necessario essere un meccanico o un ingegnere per guidare una macchina, ma è fondamentale saper leggere i segnali stradali.
Secondo: l’educazione finanziaria è complementare, mai sostitutiva, rispetto agli altri strumenti di tutela dell’investitore, ossia regole di trasparenza e di correttezza. E per continuare con le metafore: quando si decide di acquistare un’abitazione, pur non essendo un avvocato, torna indubbiamente utile saper leggere e scrivere e sapere a chi rivolgersi in caso di controversie.
Terzo: la scuola deve poter giocare un ruolo fondamentale nell’alfabetizzazione economico-finanziaria dei giovani, ma cosa fare con gli adulti? Non è semplice rispondere a questa domanda. Si può tuttavia pensare di coinvolgere anche i media e di identificare moduli formativi mirati a soddisfare le esigenze conoscitive associate a momenti precisi e ben individuati, che possono spaziare dall’apertura di un conto corrente alla stipula di un mutuo ipotecario fino ad arrivare a più articolate scelte di investimento del risparmio disponibile.
La strategia nazionale di educazione finanziaria consentirà, auspicabilmente, di affrontare anche questi profili attraverso la definizione di programmi mirati per specifici segmenti della popolazione e il coinvolgimento dei soggetti che possono svolgere un ruolo attivo nel processo di alfabetizzazione degli italiani. “Non è mai troppo tardi”, come ci ricordava il maestro Manzi.

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