Una liberalizzazione completa dei taxi annullerebbe il valore alle licenze. Ed è un’eventualità a cui i tassisti si oppongono con forza. Ma una tassa sul servizio destinata a finanziare un indennizzo per chi possiede oggi una licenza potrebbe risolvere la questione. Con vantaggi per tutti.
Il nodo delle licenze
Il servizio taxi attraversa una crisi molto forte, stretto fra un’innovazione tecnologica dirompente e l’opposizione netta dei tassisti a qualunque provvedimento di liberalizzazione del settore. Emilio Calvano e Michele Polo hanno già ampiamente discusso l’argomento (1 e 2) su lavoce.info. I termini della questione sono chiari: liberalizzare l’entrata di nuovi operatori diminuisce il reddito dei tassisti e, di conseguenza, il valore della licenza, che, a Roma, supererebbe i 100mila euro.
La situazione attale nel mercato dei taxi è rappresentabile con il grafico sotto, dove D è la domanda di servizi taxi, C è il costo dei tassisti per fornire il servizio, Q è il numero di licenze e P è il prezzo. Oggi l’entrata è bloccata e il prezzo è ampiamente al di sopra del costo. La differenza fra prezzo e costo è la rendita dei tassisti, da cui il valore della licenza. Liberalizzare l’entrata implica che il prezzo si abbasserebbe fino a C, eliminando ogni rendita.
Per venire incontro alle istanze dei tassisti, si dovrebbe pensare a un meccanismo di compensazione. Una possibilità sarebbe usare la fiscalità generale per “ricomprare” le licenze dei tassisti. Per Roma, assumendo un valore (conservativo) della licenza di 100mila euro e 7.500 licenze, si tratterebbe di pagare 750 milioni di euro, circa 300 euro ad abitante. Molti e distribuiti anche su chi non utilizza i taxi. Un’altra possibilità è di liberalizzare l’entrata, ma imporre una tassa sul trasporto di taxi i cui proventi sarebbero utilizzati per indennizzare i tassisti. In questo caso il prezzo dei taxi non scenderebbe fino al livello del costo, ma a C+T, dove T è la tassa. Rispetto alla deregolamentazione completa, quindi, il prezzo sarebbe più alto e la quantità minore. Ma avrebbe il vantaggio che il costo dell’indennizzo ricadrebbe su chi si avvantaggia della liberalizzazione, cioè utenti e nuovi operatori.
Questo approccio può funzionare se l’eliminazione della rendita (il rettangolo A nel grafico) è compensata dai proventi della tassa (il rettangolo B). L’elemento fondamentale è l’elasticità della domanda, cioè di quanto il mercato si espande una volta che le tariffe si riducono. Se l’espansione è consistente, allora la “base imponibile” è grande e basta una tassa relativamente modesta. Viceversa, se l’utilizzo di servizi di taxi non cresce sensibilmente, il meccanismo non funziona.
I calcoli
Analizzare il problema in modo rigoroso richiede dati che non abbiamo a disposizione. Ma è possibile utilizzare i numeri per altre città – per esempio, Stoccolma – per provare a dare una prima approssimativa valutazione della sua fattibilità. I calcoli sono fatti sotto ipotesi molto forti: in particolare, che la domanda pro-capite di servizio di taxi sia la stessa fra Italia e Svezia e sia lineare. I risultati vanno presi quindi come un esercizio assolutamente preliminare.
Il numero di taxi per mille abitanti a Roma è 2,9 e il prezzo al chilometro è di 1,5 euro. Stoccolma ha 7,8 taxi per mille abitanti e il prezzo per chilometro di Uber X è 0,78 euro, che assumiamo sia pari al costo (che include ovviamente la remunerazione del guidatore). Secondo questi numeri, la domanda di taxi è elastica: a una diminuzione del prezzo del 48 per cento (da 1,5 a 0,78) corrisponde un aumento del 170 per cento, per un’elasticità di 3,5. Dati prezzi e quantità nelle due città è possibile ottenere la curva di domanda, pari a Q=13.1-6.8*P. Possiamo ora calcolare una tassa al chilometro che fornisca un gettito uguale a quello della rendita. La tassa è di 0,43 euro al chilometro e verrebbe completamente riflessa nel prezzo che sarebbe pari a 0,78+0,43=1,21. Il corrispondente numero di taxi per abitanti sarebbe 4,9: ancora lontani dai livelli di Stoccolma, ma quasi il doppio di quello attuale. Il risultato dipende completamente da quanto aumenta la domanda di taxi alla diminuzione del prezzo. Ad esempio, se a 0.78 euro al chilometro la domanda crescesse solo a metà del valore di Stoccolma, cioè a 3.9 taxi per mille abitanti, allora lo schema non funzionerebbe: nessuna tassa sarebbe in grado di compensare i tassisti. Se invece crescesse al livello di Londra, pari a 10.6, allora la tassa necessaria a indennizzare i tassisti sarebbe di 22 centesimi al chilometro, e il numero di taxi salirebbe a 9.4.
Un effetto ulteriore è che la liberalizzazione porterebbe a un aumento di efficienza dei taxi. Una delle rendite principali dei monopolisti è la “vita tranquilla”. La concorrenza imporrebbe l’utilizzo della tecnologica in modo massiccio, che potrebbe portare a un abbassamento considerevole dei costi, aumentando sia i profitti che i proventi della tassa.
Per realizzare il meccanismo si potrebbe emettere debito per indennizzare i tassisti, usando i proventi della tassa per ripagarlo. Si potrebbe prevedere che la tassa duri per un certo numero di anni, procedendo poi a una graduale riduzione fino a eliminarla del tutto. Uno schema di questo tipo potrebbe essere un ragionevole compromesso fra le istanze dei tassisti e i grandi benefici che deriverebbero alle città da un sistema di trasporto meno costoso e più efficiente.
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