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Dove sono finite le pari opportunità in Italia?

L’Italia è uno dei pochi paesi che nel governo non ha un referente per le pari opportunità. È anche un paese dove la partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimane bassa. Se i differenziali di genere sono ancora un elemento così critico, spetta al governo studiare soluzioni efficaci.

Il significato di una “casella bianca”

Secondo i dati dell’European Institute for Gender Equality (Eige), 25 paesi europei su 28 hanno un referente politico responsabile per le tematiche relative all’uguaglianza di genere, generalmente un ministro o, in casi più rari, un sottosegretario. Il ministro di riferimento può essere quello del Lavoro, della Giustizia, oppure quello degli Affari sociali, della Famiglia, dell’Istruzione, delle Politiche sociali o dell’Interno fino a un ministro specifico per l’Uguaglianza di genere (Danimarca, Lussemburgo), o per le Donne e l’uguaglianza (Regno Unito). Nella tabella 1, che riassume la situazione, salta all’occhio la presenza di tre paesi che hanno la “casella bianca”: Croazia, Polonia e la nostra Italia. Cosa significa? Semplicemente che questa responsabilità non è stata attribuita o delegata a nessuno, né a un ministro, né a un sottosegretario né ad altra figura politica assimilabile. In Italia non è sempre stato così. In passato c’è stato un ministero dedicato alle Pari opportunità e in seguito la delega è stata attribuita al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Il governo Renzi invece ha preferito tenere la “casella bianca”. C’è stata solo una breve parentesi, che ha visto la nomina di una consigliera del governo per le pari opportunità (non una delega), che peraltro si è dimessa da alcuni mesi e non è stata sostituita. Perché è importante interrogarci su chi, da un punto di vista di policy, dovrebbe occuparsi di pari opportunità? Secondo i dati sui differenziali di genere del 2015 del Global Gender Gap Index riportati dal World Economic Forum, l’Italia è migliorata nel campo della partecipazione femminile alla politica e nell’ambito dell‘istruzione, ma non ha fatto progressi nel campo della partecipazione al mercato del lavoro e nei differenziali salariali. Il nostro paese è restato al 111esimo posto su 145 nazioni. Nella classifica recentemente stilata dall’Economist sui paesi che offrono le condizioni migliori o peggiori per le donne che lavorano, l’Italia occupa il ventunesimo posto su ventinove paesi. L’esistenza di differenziali di genere è uno dei nodi principali del nostro mercato del lavoro. Basti pensare che il tasso di occupazione femminile è fermo da anni al 47 per cento, ultimo in Europa con Grecia e Malta. Eppure, da molto tempo studiosi e politici affermano il valore del lavoro femminile come potenziale di crescita del paese, un potenziale che l’Italia non ha mai saputo sfruttare e che potrebbe dare un contributo decisivo alla nostra economia. Come nota Linda Laura Sabbadini nel rapporto Istat “Come cambia la vita delle donne”, ci sono dimensioni importanti e molto contrastanti nell’evoluzione della partecipazione delle donne all’economia. Mentre le distanze di genere in termini di partecipazione al mercato del lavoro sono diminuite, le differenze tra le donne, come pure quelle tra gli uomini, sono aumentate. Se le donne più istruite vedono migliorare la loro opportunità di partecipazione e gestione dei board delle grandi imprese, per quelle meno istruite nulla cambia nelle prospettive occupazionali, di reddito e di indipendenza nella famiglia. Da molti anni l’occupazione femminile, soprattutto delle madri, non è una priorità del nostro paese. Perché quindi, lasciare la “casella bianca” per la responsabilità delle pari opportunità?

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Tema da rimettere al centro dell’agenda

I ministeri delle Pari opportunità (sebbene sistematicamente senza portafoglio) o i ministri con delega avevano potuto focalizzarsi sui temi di genere e hanno realizzato interventi significativi, dai voucher per la cura dei bambini, ai congedi di paternità, alle leggi contro lo stalking e la violenza di genere, all’estensione alle società a controllo pubblico della legge sulle quote di rappresentanza di genere nelle società quotate. Non rischiamo che, senza ministero e senza delega, il tema esca dall’agenda? Si potrebbe pensare che la “casella bianca” corrisponda, in realtà, all’intento di attribuire la responsabilità delle politiche per le pari opportunità, e in particolare per l’uguaglianza di genere, al più alto gradino di governo. Senza delega, è lo stesso presidente del Consiglio che se ne occupa. Quale segnale migliore del riconoscimento della centralità del tema e dell’influenza che ha per tutte le aree di decisione politica? Se è il premier in persona a occuparsene, il tema dovrebbe finire immediatamente in alto nell’agenda politica, e di conseguenza le azioni a favore della parità di genere potrebbero essere più efficaci, più ricche di risorse, meno soggette ai vincoli politici che da sempre ostacolano la loro affermazione. Siamo sicuri che l’assenza di delega garantisca questo risultato? La domanda è aperta. Ma restiamo con una convinzione: se i differenziali di genere sono ancora un elemento così critico nell’economia italiana, indipendentemente dai molteplici fattori che contribuiscono a determinarli, il governo ha il compito preciso di rimettere il tema al centro dell’agenda, di studiare e di proporre soluzioni efficaci. Questo governo che, per la prima volta in Italia, ha nominato tante ministre quanti ministri non dovrebbe neanche alimentare il dubbio che l’assenza di un referente preciso e rilevante per le pari opportunità sia segnale di abbandono del tema. È un dubbio che il paese non può permettersi.

Tabella 1

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Questo articolo esce in contemporanea sul Corriere.it – La ventisettesima ora

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  1. Lorenzo

    Sono finite nel gran calderone del cattolicesimo ipocrita (come d’altronde negli altri due paesi a “casella bianca”).

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