Il Quantitative easing della Bce è ai blocchi di partenza. L’obiettivo finale è riaccendere il motore della crescita in Europa. Intanto, le borse festeggiano e gli spread calano. Eppure, ci sono anche rischi. Legati alla conclusione dell’operazione e alla bolla finanziaria che avrà generato.
IL QE E L’IMPATTO SUI CONSUMI
Inizia il Quantitative sasing della Banca centrale europea. Le borse sono sui massimi e abbiamo già un terzo dei titoli di Stato europei con un prezzo così elevato da implicare un rendimento a scadenza negativo. L’obiettivo finale è quello di riaccendere il motore della crescita in Europa. L’inevitabile bolla finanziaria è considerata una sorta di danno collaterale. Apparentemente, è una situazione dove tutti vincono per l’Eurozona, ma i rischi non mancano.
In linea teorica, tassi d’interesse negativi dovrebbero spingere da un lato a consumare di più e dall’altro a indirizzare gli investimenti verso attività più rischiose, presumibilmente più vicine alla economia “reale”.
Come funziona però, nella pratica, la cinghia di trasmissione tra tassi e consumi? Partiamo dai modelli micro di scelta intertemporale. Il tasso d’interesse determina la convenienza relativa tra il consumare oggi e il consumare domani. Un abbassamento del tasso d’interesse provoca un effetto sostituzione (positivo per i consumi oggi) e un effetto reddito (negativo). Quale dei due prevarrà? In genere, dovrebbe prevalere quello di sostituzione e si dovrebbe determinare un effetto positivo sui consumi. Tuttavia, in un contesto demografico come quello europeo, l’effetto reddito potrebbe essere potente e di fatto compensare – se non invertire – quello finale sui consumi.
Considerando anche le attività finanziarie, le cose però potrebbero cambiare in termini più favorevoli ai consumi, ma con un grosso caveat, che chiameremo il fattore “Piketty”. L’abbassamento dei tassi d’interesse porta con sé la rivalutazione delle obbligazioni a lungo termine, delle azioni e (se il fisco non è troppo penalizzante) degli immobili. Si genera cioè un effetto ricchezza positivo che potrebbe compensare l’effetto reddito negativo. Tuttavia, una distribuzione molto ineguale della ricchezza concentra tutti i benefici nelle mani del famoso 1 per cento della popolazione.
La bolla speculativa alimentata dal Qe potrebbe quindi risolversi solo in un aumento del grado di diseguaglianza, con un impatto minimo sui consumi.
INVESTIMENTI E BILANCIA DEI PAGAMENTI
Senza contare troppo sulla domanda interna, il Qe può quindi agire sugli investimenti attraverso due sole leve, il costo del finanziamento e la domanda estera. La prima leva in altri periodi sarebbe stata la più importante, ma è da parecchio tempo che nel “vecchio mondo” il problema non è certo quello del costo finanziario.
La leva più rilevante è, quindi, la seconda, quella “keynesiana”, che passa attraverso la svalutazione del cambio. Da quando, un anno fa, si era cominciato a capire che la Bce aveva aperto al Qe il dollaro da 1,39 si è gradualmente rafforzato fino all’1,1 di oggi. Questo si sta già traducendo in un aumento degli ordinativi esteri per i produttori europei. Se ci aggiungiamo che il prezzo del petrolio è crollato, non c’è nemmeno l’effetto negativo della svalutazione sul costo degli input e dei trasporti. A questo punto, gli imprenditori potrebbero riattivare la domanda di credito e per questa via riaccendere il motore dell’economia.
CREAZIONE DI MONETA E INFLAZIONE
Il Qe di per sé non è sufficiente a creare “moneta” e a generare inflazione. La Bce crea base monetaria ma sono le banche che, attraverso l’attività creditizia, la trasformano in “aggregati monetari” per l’economia. La liquidità creata dalla Bce può rimanere nel circuito finanziario e alimentare una pericolosa bolla speculativa oppure può iniziare a fluire nell’economia reale. Affinché la liquidità inizi a circolare è necessario che venga “spesa” e trasferita a qualcuno, impresa o commerciante, che è in grado di investirla in attività reali e in lavoro.
Come si convincono gli investitori a uscire dal circolo della bolla? La Bce dovrà far capire che la direzione per il prezzo delle obbligazioni, governative o corporate, non è sempre verso l’alto e che se si detengono obbligazioni quando i tassi sono a zero o negativi si corre un rischio enorme. E allora tanto vale lasciarli in deposito (dove non si guadagna, ma non si perde nulla se i tassi dovessero risalire) o spenderli.
Nel generare le scosse di avvertimento, un grande aiuto potrà venire dalla Fed, che entro l’anno dovrebbe iniziare a rialzare i tassi e così facendo dare il segnale che la festa per i bond non può durare all’infinito.
CHE COSA PUÒ ANDARE STORTO?
La parte più delicata di un Qe o di una parziale monetizzazione del debito non sta nelle fasi iniziali, ma nella sua conclusione. La conclusione di un programma di Qe è estremamente complessa anche quando il “malato” risponde positivamente alle cure. Le bolle speculative alimentate dal Qe devono essere sgonfiate lentamente per evitare che scoppino e travolgano l’economia reale. E dunque i fondamentali devono gradualmente sostituirsi alla droga monetaria per sostenere i mercati. Abbiamo visto che gli Stati Uniti hanno iniziato a parlare di “tapering” a maggio del 2013 con circa due anni di anticipo rispetto al probabile primo aumento dei tassi, previsto per l’estate-autunno del 2015.
Il problema potrebbe quindi sorgere se la Bce non avesse il tempo di aspettare i “fondamentali”, ad esempio perché l’inflazione riparte, ma l’economia reale no. Senza una legittimazione politica forte, la Bce potrebbe non rispettare il suo mandato e continuare a pompare liquidità per evitare lo scoppio delle bolle speculative che lei stessa ha generato? Se non potesse e fosse costretta a tirare il freno anzitempo, il rischio sarebbe quello di un atterraggio dolorosissimo, aggravato dalla perdita di credibilità della banca centrale. Quanto di peggio si possa immaginare nel contesto istituzionale e politico attuale, dove la fiducia dei cittadini europei nei confronti dell’euro e delle istituzioni comunitarie è ai minimi di sempre.
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