La Corte costituzionale ha cancellato la Robin Tax di Tremonti, una extra-imposta sulle imprese energetiche. Mancherà qualche soldo al bilancio pubblico dei prossimi anni, ma almeno termina una farsa. Probabilmente resteranno le conseguenze sui prezzi. Una sentenza curiosa in alcuni aspetti.
L’ANALISI ECONOMICA E LE RAGIONI DELLA CORTE
Addio Robin Hood. L’idea di battezzare una legge con il nome di un fuorilegge non poteva portare bene, e infatti finalmente la Corte costituzionale – evidentemente poco commossa dal romantico richiamo all’eroe di Sherwood – l’ha impallinata. La Corte dice in buona sostanza che la norma poteva anche andare bene quanto a target e motivazioni; a certe condizioni si ritiene sia giusto introdurre imposte aggiuntive a certi settori. La critica principale è che tale norma è stata strutturata male, non essendo rivolta ai soli “extra profitti”, ma a tutti i profitti. Infatti, è una semplice addizionale rispetto alla normale aliquota sulla quale si paga l’Ires.
Secondo la Corte servirebbe invece “un meccanismo che consenta di tassare separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla posizione privilegiata”. Si tratterebbe quindi di individuare il livello “normale” di utile per queste imprese e di applicare una tassazione aggiuntiva solo alla quota eccedentaria legata al “privilegio”.
In bocca al lupo a chi provi a dare applicazione pratica a questo principio…
Il fatto che l’analisi economica non sia il punto forte della Corte non scandalizza. Ma lo stesso problema emerge anche per l’aspetto soggettivo della questione, ovvero per la determinazione dei soggetti in capo ai quali grava l’imposta, che forse dal punto di vista economico è invece il problema maggiore della norma.
È infatti curioso che la Corte affermi che il tributo sia in linea di massima accettabile perché mira “all’industria petrolifera” – ed è quindi legato a posizioni di rendita (quali? Il dibattito è aperto) – assimilando il settore petrolifero a quello dell’energia (inclusa energia elettrica e gas). Soprattutto, la Corte non distingue tra chi ha una posizione di mercato che consente effettivamente di manipolare i prezzi e chi invece è soggetto a una regolazione stringente (e magari deve sottostare a gare per l’aggiudicazione delle concessioni) e quindi non ha alcun controllo sui prezzi che deve praticare.
Questo spiace, non per l’immediato, ma per il futuro. Nell’immediato, la norma è stata abolita per tutti, il che può andare bene. Ma la Corte – facendo di tutte le erbe un fascio – afferma che è legittimo sottoporre alla tassazione “extra” anche imprese che non hanno alcun potere di mercato, per il solo fatto che operano nel settore energetico; questo potrebbe esporre le stesse imprese a futuri revival della stessa imposta, che provino a correggere il problema di struttura lamentato dalla Corte. Ironico poi che si affermi che “nel settore petrolifero ed energetico, le ordinarie dinamiche di mercato faticano ad esplicarsi, anche perché l’aumento dei prezzi difficilmente può essere contrastato da una corrispondente contrazione della domanda” in un periodo nel quale il prezzo del petrolio è ai livelli minimi da anni, e lo stesso vale per i prezzi dell’elettricità e del gas, tutti sofferenti proprio a causa della carenza di domanda – che la Corte afferma essere ininfluente. Ultimo aspetto da sottolineare, il fatto che la norma sia stata cancellata solo “pro futuro”, ovvero senza prevedere la restituzione da parte dello Stato delle imposte impropriamente riscosse. La Corte ricorda come la retroattività delle pronunce di illegittimità rappresenti un principio generale, ma che debba essere temperato dalla necessità di tutelare un altro principio costituzionale, quale quello dell’equilibrio di bilancio (l’articolo 81 della Costituzione). Lascio ai giuristi commentare questo passaggio, ragionevole in termini pratici, ma non certo ovvio.
MA L’EFFETTO SUI PREZZI RESTA
La restituzione innescherebbe un meccanismo che difficilmente condurrebbe a un risultato finale ragionevole. Infatti, come la Corte riconosce (ed era ampiamente prevedibile dall’inizio, 1 e 2), l’imposta era stata traslata sui consumatori finali, che mai avrebbero modo di rivalersi sulle imprese.
In altri termini, se l’imposta ha aumentato i prezzi, imporne la restituzione avrebbe consentito alle imprese di guadagnare due volte, un risultato paradossale che la Corte ha voluto evitare.
Quanto al futuro, purtroppo, ormai i prezzi sono aumentati e fatico a pensare che scenderanno. L’imposta è saltata, e forse è giusto così. Ma le conseguenze perverse di questa imposta sballata restano: e a pagare saranno i consumatori. Grazie, Robin.
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