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Per chi aumentano (di poco) i licenziamenti

Sono aumentati i licenziamenti con il Jobs act? C’è un lieve incremento da marzo 2016, benché prevalgano ancora nettamente le dimissioni volontarie per il tempo indeterminato. Il caso del Veneto sembra mostrare che si tratta soprattutto di lavoratori stranieri dipendenti da imprese straniere.

Fine di un rapporto di lavoro

Con l’edizione di ottobre, l’Inps ha arricchito i dati statistici sulle cessazioni dei rapporti di lavoro mettendo a disposizione anche la loro motivazione, oltre che la disaggregazione per tipologia contrattuale. In tal modo si hanno informazioni inedite relative a un evento importante, com’è la conclusione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

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Fonte: Inps, Osservatorio precariato

Sotto il profilo strutturale, le dimissioni spiegano la maggioranza delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato e di apprendistato. I rapporti a termine e i rapporti stagionali. Invece, si concludono in circa l’80 per cento dei casi per “fine naturale” mentre il restante 20 per cento si divide tra licenziamenti, dimissioni e altre motivazioni (un aggregato, quest’ultimo, di una certa consistenza, che riduce la leggibilità dei dati). Comparando il 2016 con il 2015 emerge uno scambio tra licenziamenti e dimissioni: per i contratti a tempo indeterminato i licenziamenti sono cresciuti in termini relativi di quattro punti e le dimissioni sono diminuite di altrettanto. Alla crescita dei licenziamenti – in termini assoluti molto limitata e nettamente inferiore alla diminuzione delle cessazioni – è stata dedicata, da molti osservatori, un’enorme attenzione, inferendone spesso il “fallimento del Jobs act”.

I lavoratori stranieri

In realtà, pur senza presentare la disaggregazione per tipologia contrattuale, la crescita dei licenziamenti era stata già segnalata dal ministero del Lavoro nell’ultimo report trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie, relativo al secondo trimestre 2016. Più analiticamente, anche diversi osservatori regionali avevano evidenziato la medesima tendenza. Utilizzando dati veneti ampiamente disaggregati e già resi noti (vedi la Bussola del settembre scorso), possiamo precisare due elementi di rilievo (vedi grafico 1):

  1. il trade-off tra licenziamenti e dimissioni è scattato a marzo;
  2. la crescita dei licenziamenti ha riguardato esclusivamente la componente straniera (cinese in particolare).
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Grafico 1

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La crescita relativa dei licenziamenti è dunque da mettere in stretta relazione con l’introduzione delle dimissioni on line, le quali hanno determinato una sorta di “effetto di sostituzione”. Esso può avere due spiegazioni: da un lato emersione di veri licenziamenti, dall’altro preferenza per la soluzione burocraticamente più agile per rescindere il rapporto di lavoro. Il diverso andamento relativo alla manodopera straniera, attribuibile essenzialmente ai comportamenti attivati in imprese straniere anche dal lato imprenditoriale, induce a ritenere rilevante soprattutto la seconda spiegazione.

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Il Punto

  1. Credo che le dimissioni volontaria sono, nella stragrande maggioranza, dei licenziamenti.
    Spesso le aziende lanciano la campagna dei licenziamenti, durante le trattazioni con il sindacato si spuntano delle mensilità per le dimissioni volontarie e, a chi prima era tra i “papabili”, non resta che accettare la “mancia” per il licenziamento.
    Questo le multinazionali lo fanno da parecchio tempo in Italia.

    • Massimo GIANNINI

      L’autore cerca di trovare una nota non troppo negativa negli ultimi dati. Al solito cerca di far dire ai dati quello che non dicono. Sembra Poletti intervistato subito dopo i dati dell’INPS. In realtà si dimostra come la politica economica e del lavoro del governo non abbia sortito nessun effetto positivo ma è costata un sacco di soldi. Gli scenari e ipotesi descritti dall’autore già nel articolo di febbraio 2016 http://www.lavoce.info/archives/39805/quattro-scenari-per-loccupazione/ semplicemente non si stanno avverando.

      • luca_ba

        Che la politica economica del governo non abbia portato grossi risultati è palese. Che sia costata tanti soldi non so come fa a dirlo visto che di soldi se ne sono visti veramente pochi in ogni settore ed è proprio quello che a mio avviso ha fatto fallire molti dei programmi.

      • Massimo Baldini

        Si tratta di dati molto complessi, che non si prestano a letture semplicistiche e univoche, come mostrano non solo questo ma diversi altri interventi di studiosi accreditati (vedi ad esempio Linda Laura Sabbadini sulla Stampa http://www.lastampa.it/2016/10/20/cultura/opinioni/editoriali/il-contraddittorio-balletto-sulle-cifre-dei-disoccupati-ZNve4XE5JMx5n65XIf96vL/pagina.html). Condizionato dalle sue vicende personali, però, Massimo Giannini interviene ormai dovunque e comunque contro il governo. Speravamo che lavoce.info restasse uno spazio di dibattito ponderato, pluralista e non partigiano (vedi, sul tema, Pietro Garibaldi che appena un mese fa segnalava luci e ombre: http://www.lavoce.info/archives/42767/occupazione-un-inaspettato-sole-di-fine-estate). Invece qui, individuato in Bruno Anastasia il “nemico” di turno perché dissente dal proprio pensiero unico, si brandisce l’accetta: al solito… sembra Poletti… si dimostra… nessun effetto positivo. La sindrome di Napalm51 non risparmia proprio nessuno!

        • Massimo GIANNINI

          Non so a quali vicende personali lei si riferisca, caro Bandini, e forse mi confonde con un mio più famoso omonimo. Questo mi fa pensare che i suoi argomenti siano invece che analisi dei dati solo ad hominem. I dati sull’occupazione e mercati del lavoro mostrano chiaramente che la politica economica intrapresa dal governo non dà risultati (macro) tangibili, anzi ha peggiorato le cose. Ad esempio qualcuno dovrà pur dire dove son finiti (giusto per rispondere anche a luca_ba) i 20-25 mld di sgravi fiscali e dove siano finiti i 20-25 miliardi annuali di minori interessi pagati sul debito. La spesa pubblica è rimasta la solita, la pressione fiscale idem e invece il debito è aumentato.

    • diana

      a mio parere sarebbe utile avere anche la suddivisione di licenziamenti e dimissioni per grandezza dell’impresa (quelle piccole non hanno comunque l’art.18, confermo l’impressione che in quelle grandi si tratta spesso di dimissioni ‘spintanee’) e di durata del rapporto prima della conclusione (per capire se si tratta di contratti con nuove regole o vecchie).

  2. Mario Rossi

    Io rimango trasecolato!!!! Come si può pensare che aumenti il lavoro quando non è più possibile investire nemmeno per comprare un furgone? Non si sa nemmeno quanto si dovrà pagare di tasse il prossimo anno e intanto per questo anno la mia piccola impresa ha versato il 50% della sua liquidità in tasse ed anticipi di tasse. Non c’è un quadro normativo stabile, non esiste la possibilità di sapere nemmeno se si è in regola o no, i nostri parlamentari invece di stare a casa e non toccare più nulla continuano a fare casini giorno per giorno. Ma cosa volete che le imprese assumano? per poi trovarsi in fallimento il giorno dopo perchè ti sei dovuto sorbire una marea di cartelle da pagare tutte e subito? Se lavori per lo stato poi non ne parliamo!!!! prendi i soldi a babbo morto e devi denunciare i ricavi per pagarci anche in anticipo le tasse. Voi non sapete nemmeno di cosa parlate state uccidendo l’impresa e senza di questa gli unici posti di lavoro che vedo sono negli uffici pubblici a fare fotocopie o in qualche coperativa rossa a dare da mangiare agli immigrati.

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