La Commissione propone di introdurre una assicurazione europea dei depositi. È una buona iniziativa, ma rischia di scontrarsi con la rigidità tedesca nella applicazione del bail-in. Compiti simili per il fondo di assicurazione dei depositi e per quello di risoluzione delle crisi bancarie.
Ostacoli politici per l’assicurazione europea
In questi giorni, le cronache bancarie si sono concentrate sul salvataggio nostrano delle quattro banche (Banca Marche, Popolare Etruria, Cari Ferrara e Cari Chieti) oggetto del decreto governativo di domenica 22 novembre, di cui anche noi abbiamo dato conto. Tuttavia, un evento non meno rilevante è la presentazione della proposta della Commissione europea, volta a introdurre una assicurazione europea dei depositi.
È il terzo tassello dell’unione bancaria europea. Il primo è stato l’attribuzione della vigilanza bancaria alla Bce. Il secondo è stato la creazione del meccanismo europeo di gestione delle crisi bancarie: per intenderci, quello che ha introdotto il “bail-in”, termine che comincia a farsi strada nel nostro vocabolario, e che allude al fatto che d’ora in poi i salvataggi bancari saranno a carico dei creditori delle banche (depositanti compresi, per i depositi sopra i 100mila euro) anziché delle casse statali.
La proposta della Commissione arriva nel mezzo di un serrato dibattito politico. Introdurre una assicurazione europea dei depositi significa mutualizzare i rischi: i sistemi bancari europei dovrebbero mettere in comune le risorse necessarie a finanziare il fondo di assicurazione. Per fare un esempio, ciò vuol dire che se una banca italiana fallisce, i soldi necessari per rimborsare i suoi depositanti vengono presi dai contributi versati dalle banche di tutti gli altri paesi dell’area euro.
Il principio di mutua assicurazione tra i paesi rende il sistema più solido, perché aumenta considerevolmente le risorse del fondo di assicurazione rispetto al caso in cui ogni paese ne abbia uno suo separato dagli altri. Tuttavia, comporta trasferimenti tra un paese e l’altro. Per questo motivo, l’assicurazione europea dei depositi incontra forti resistenze da parte della Germania, che teme (come al solito) di pagare per tutti. Il ministro delle Finanze tedesco e il presidente della Bundesbank hanno già tuonato contro la proposta della Commissione. In particolare, Wolfgang Schäuble ha ribadito che, prima di accettare la mutualizzazione dei rischi tra i paesi europei, il suo governo vuole essere sicuro che le crisi bancarie vengano gestite applicando le nuove regole sul bail-in.
La corsa per evitare il bail-in
Quello che sta succedendo, però, è esattamente il contrario. L’Italia ha fatto di tutto per risolvere le difficoltà delle sue quattro banche senza applicare il bail-in, attraverso un intervento coordinato dal neonato fondo di risoluzione gestito dalla Banca d’Italia. Le altre banche sono state chiamate a versare contributi straordinari, in modo da arrecare perdite solo agli azionisti e ai detentori di obbligazioni subordinate emesse dagli istituti salvati. Il bail-in è stato evitato anche ai depositanti della Cassa di risparmio di Teramo (Tercas), il cui salvataggio è stato coordinato dal fondo interbancario di tutela dei depositi. La Grecia ha concordato con i partner europei (Germania compresa) un piano di salvataggio delle maggiori banche del paese, con il contributo europeo, che esclude l’applicazione del bail-in ai depositanti. La stessa Germania ha in questi giorni concordato con la Commissione europea un piano di assistenza finanziaria (acquisto di attività e garanzia pubblica) per la HSH Nordbank, già salvata negli anni scorsi dai governi locali di Amburgo e Schleswig Holstein.
Tutto questo in gran fretta, prima che la scure del bail-in si abbatta sui depositanti europei a partire dal 1° gennaio 2016, quando la direttiva che lo impone (Brrd) sarà pienamente operativa.
La morale è che il bail-in è destinato a diventare come il fiscal compact: una regola che tutti hanno firmato, ma che nessuno vuole applicare. La Germania ne sta facendo una bandiera, salvo poi aggirarla quando le fa comodo. L’insistenza del governo tedesco sulla sua applicazione rigida potrebbe diventare il nuovo terreno di scontro con gli altri governi europei e costituire l’ostacolo fondamentale che impedirà alla assicurazione europea dei depositi di diventare realtà.
Le caratteristiche tecniche
La proposta della Commissione è prudente, proprio per le ragioni che abbiamo appena visto. Prevede un lungo periodo di transizione, che terminerà nel 2024: solo allora il sistema europeo di assicurazione sostituirà quelli nazionali. Prima di quella data, i sistemi nazionali continueranno a operare. Quello europeo sarà solo un sistema di ri-assicurazione fino al luglio 2020: nel caso avesse finito i soldi, un sistema nazionale potrà ricevere assistenza da quello europeo. Poi, per i successivi quattro anni, sarà un sistema di co-assicurazione: contribuirà, per una quota crescente nel tempo, con quelli nazionali al rimborso dei depositanti.
In realtà, i sistemi di assicurazione dei depositi servono sempre meno a rimborsare i depositanti delle banche in crisi. Infatti, queste ultime vengono gestite attraverso la cosiddetta “risoluzione”: la banca viene ristrutturata, il capitale viene ricostituito, le perdite vengono coperte dagli azionisti, dai creditori, dal fondo di assicurazione e, in ultima istanza, dal settore pubblico.
Questo modo di risolvere la crisi evita la liquidazione della banca, quindi il fondo non deve rimborsare i depositanti. Di fatto, il compito di un fondo di assicurazione dei depositi è diventato molto simile a quello di un fondo di risoluzione delle crisi bancarie. Opportunamente, la Commissione propone che il futuro fondo europeo di assicurazione dei depositi venga gestito dalla stessa autorità che gestisce il fondo europeo di risoluzione: il Single Resolution Board. I due fondi verranno in larga misura utilizzati allo stesso scopo. Ci si chiede anzi se in prospettiva si possa andare verso una fusione dei due fondi.
Una versione di questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it

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