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Se il debito pubblico pesa anche sugli stress test

Le banche europee dovranno presto affrontare nuovi stress test. L’Eba chiede di applicare perdite di valore alle posizioni in titoli di Stato, particolarmente penalizzanti per quelli italiani. Con conseguenze negative per l’economia italiana e per il nostro sistema bancario e industriale.

GLI HAIRCUT DELL’EBA

Lo scorso 29 aprile l’Autorità bancaria europea (Eba) ha pubblicato gli scenari che verranno utilizzati per gli stress test da effettuare sulle banche europee. È uno dei passaggi cruciali della verifica complessiva del sistema bancario europeo prima che le banche centrali nazionali (Banca d’Italia, Bundesbank e le altre) trasferiscano i loro poteri di vigilanza alla Bce. Al termine degli stress test e dell’asset quality review, infatti, si verificherà se la capitalizzazione dei singoli istituti creditizi è sufficiente o se sarà necessaria una ricapitalizzazione.
Criticare l’Eba sugli stress test è come sparare sulla Croce Rossa. Tutti ricordano che nei precedenti stress test, l’esame era stato brillantemente superato da banche (come Dexia e Sns, per esempio) che da lì a poco sarebbero fallite. Molti hanno già fatto notare che lo scenario più estremo non è poi in realtà così estremo. Ma la realtà è che gli stress test in Europa hanno un difetto strutturale: il trattamento del rischio sovrano. In nessun paese al mondo si può testare la resilienza di un sistema bancario rispetto al default delle proprie obbligazioni governative. (1)
Ma in Europa abbiamo avuto il caso della Grecia e in qualche modo le autorità di controllo ne devono tener conto.

Cattura

Quello che intendiamo qui analizzare è come l’Eba abbia trattato il rischio sovrano nel disegnare gli stress test, per verificare se ci sia stato un trattamento differenziale dei “paesi” membri rispetto a una variabile così cruciale non solo per il sistema finanziario, ma anche per le ricadute sull’economia reale.
La tabella illustra, per lo scenario avverso, le perdite di valore (haircut) che l’Eba chiede di applicare alle posizioni in titoli di Stato dei paesi dell’Unione sulle diverse scadenze temporali. Ad esempio, chiede che le banche che possiedono titoli di Stato italiani a dieci anni ne decurtino il valore del 15,7 per cento per verificare se il loro patrimonio è in grado di resistere nello scenario avverso. Nello stesso scenario, l’haircut applicato alle posizioni in Bund decennali è inferiore di un terzo e pari a 10,2 per cento. Sulla scadenza a un anno la penalizzazione è inferiore in termini assoluti (0,6 per cento), ma è quasi del 50 per cento in termini relativi.
È evidente che questo crea problemi: al Governo italiano, che dovrà pagare tassi d’interesse più alti per compensare le banche dalle penalizzazioni imposte dall’Eba; al sistema creditizio italiano che dovrà essere più patrimonializzato di quello tedesco, a parità di esposizione ai propri titoli di Stato; all’economia reale italiana che sarà costretta a sopportare o un maggior costo del credito o un suo maggiore razionamento a causa appunto dei maggiori costi a cui il sistema bancario è sottoposto.
Si tratta di un fenomeno circoscritto all’Italia? Nella tabella sono evidenziate in bianco le righe relative ai paesi che adottano l’euro e che sono considerati “core” dai mercati (Austria, Belgio, Germania, Francia, Olanda, Slovacchia, Finlandia), in rosso le righe dei paesi considerati “periferici” (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Slovenia). In arancione e in verde le righe dei paesi che hanno ancora le proprie valute nazionali, ma che sono considerati periferici (quelli dell’Europa dell’Est) o “core” (Regno Unito, Svezia, Danimarca) dal mercato. Nella parte bassa della tabella sono calcolati i valori medi degli haircut per le quattro categorie di paesi.

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ITALIA PENALIZZATA

La prima “stranezza”, se si tiene conto che proviene da una istituzione europea, è che l’euro non viene considerato un fattore di stabilità. Per i paesi core, euro e non-euro, gli haircut sono mediamente gli stessi. Ma i paesi periferici che hanno adottato l’euro subiscono haircut superiori a quelli dei paesi core e superiori anche a quelli dei paesi dell’Europa dell’Est sulle scadenze più lunghe (dieci e trenta anni).
Una seconda cosa che non torna, ed è molto più grave della prima, riguarda il trattamento “speciale” riservato all’Italia. Il nostro è uno dei pochi paesi che è fuori dalle procedure di infrazione per deficit o per debito eccessivo, non ha mai chiesto aiuti alla Comunità, eppure l’Eba ha applicato ai nostri Btp haircut superiori a quelli del Portogallo e dell’Irlanda, che invece hanno richiesto gli aiuti e ancora ne usufruiscono, e della Spagna, che ha dovuto farsi sostenere per le proprie banche.
Eba potrebbe aver deciso di non fidarsi delle procedure della Commissione europea e di affidarsi ai dati oggettivi di finanza pubblica. Dopo tutto, è vero che l’Italia è tra i paesi virtuosi per la Commissione, ma ha anche un debito pubblico molto elevato. Per verificare la correttezza della nostra congettura abbiamo effettuato, per i paesi dell’area euro, una regressione degli haircut sulla scadenza pivot del mercato, quella a dieci anni, rispetto a una variabile rappresentativa dello stato di salute delle finanze pubbliche, comprensiva di deficit e debito. Senza voler attribuire un peso eccessivo ai risultati quantitativi dell’esercizio, i Btp avrebbero dovuto subire un haircut del 14 per cento (al posto del 15,7 per cento) e i Bund del 12 per cento (al posto del 10,2 per cento). La penalizzazione per il sistema Italia rispetto al sistema Germania si sarebbe ridotta a un 2 per cento (al posto del 5,5 per cento), che in termini percentuali significa un più accettabile 15 per cento di differenza (rispetto al 33 per cento ).
In euro cosa vogliono dire questi numeri? In base ai dati Banca d’Italia, le banche italiane detengono 392 miliardi di titoli di Stato italiani. (2) Facendo una serie di ipotesi sulla distribuzione dei titoli per tipologia e per scadenza, possiamo calcolare l’haircut che si avrebbe se l’emittente dei titoli fosse il governo tedesco (haircut medio=5,1 per cento) al posto di quello italiano (haircut medio=8,2 per cento) e ottenere la penalizzazione incrementale che l’Eba impone al sistema bancario italiano per il fatto di detenere titoli di Stato italiani: + 11,9 miliardi di euro.
Quanta parte dell’extra-haircut si traduca in maggiore richiesta di patrimonializzazione (e quindi minore credito per l’economia) è difficile da stimare. Dipende tra le altre cose dalla classificazione contabile dei titoli di Stato effettuata dalle banche italiane, su cui non sono disponibili informazioni. (3) Ma la cifra non è trascurabile. Se pensiamo al credito che si può mobilizzare a fronte di 11,9 miliardi di maggior patrimonio, applicando il vecchio coefficiente di assorbimento dell’8 per cento, stiamo parlando di quasi 150 miliardi di euro, poco meno del 10 per cento del Pil italiano. Viste le cifre in gioco, anche solo dimezzare l’extra-haircut imposto ai titoli di Stato italiani, portandolo al livello fair suggerito dall’analisi di regressione, potrebbe avere un effetto rilevante sia per il sistema bancario italiano sia per la nostra economia reale.
Non si vuole con questo chiedere che l’Eba o la Bce non tengano conto della diversa robustezza dei paesi membri e del loro debito. Sarebbe contrario allo spirito dei Trattati, come ci ricorda spesso la Corte costituzionale di Karlsruhe. Però, una cosa è valutare oggettivamente le condizioni macroeconomiche di un paese e gli impegni che ha preso; un’altra cosa è farsi influenzare dal “mercato”. Il dubbio che l’Eba abbia guardato più allo spread storico che non ai parametri oggettivi è lecito, anche perché si tratta di una pratica comune nel risk management. Le conseguenze di questa scelta per l’economia italiana e per le condizioni competitive del nostro sistema bancario e industriale sono evidenti.

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(1) Negli Usa il Congresso ha specificato che “le banche del sistema Federal Reserve devono detenere un collaterale di valore pari alle banconote messe in circolazione dalla Federal Reserve. Questo collaterale è detenuto per lo più sotto forma di obbligazioni del Tesoro americano, delle agenzie federali o emesse da imprese sotto la garanzia governativa” (Federal Reserve Banksmust hold collateral equal in value to the Federal Reserve notes that the Federal Reserve Bank puts in to circulation. This collateral is chiefly held in the form of U.S. Treasury, federal agency, and government-sponsored enterprise securities”).
(2) Banca d’Italia, “Moneta e Banche- Supplementi al Bollettino Statistico”, 9 aprile 2014.
(3) Se qualche lettore volesse fornire queste informazioni, saremmo estremamente grati.

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  1. Tre considerazioni:
    – giusta la valutazione della rischiosità del debito italiano con questa politica monetaria, l’Italia è una bomba ad orologeria, si è vero che non abbiamo chiesto gli aiuti ma in cambio abbiamo un tessuto economico che sta muovendo tra un paio di anni torneremo tutti a fare gli agricoltori, la terra è l’unica cosa che la Merkel non potrà togliere agli italiani;
    quindi quando esploderà il debito italiano il taglio dovrà essere del 70% (naturale che questa non è il mio augurio).
    – l’unione bancaria così come concepita porterà ad una ulteriore restrizione creditizia pari a 150 miliardi ( stima in difetto), ciò aggraverà la situazione del credito per le pmi italiane, aumenterà il grado di mortalità delle pmi italiane, si fa saltare tutto, anche lo stato che al momento vive con le imposte pagate dai lavoratori dipendenti.
    – L’euro è un fattore di instabilità e non di stabilità, si è vero con la politica monetaria di Draghi, a nessuno fino ad oggi ha provveduto a fare uno scenario se la Bce di fosse comportata come la Fed fin dal caso della crisi Grecia, non sarebbe successo nulla, la ricchezza dei paesi nordici poteva essere erosa in termini di potere di acquisto dall’ingrazio e che a mio avviso non superava il. 2%, oggi abbiamo 0,4% di inflazione! si paventa la deflazione! Sarà per i paesi nordici il danno peggiore.

  2. dryocopus66

    Il problema potrebbe essere meno serio di quanto appaia basandosi sulla composizione media del debito pubblico italiano. Il bilancio di Intesa Sanpaolo al 31.12 (vedi le slides: http://www.group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/contentData/view/content-ref?id=CNT-04-00000001C90F4 p. 74), per esempio, riporta una durata media di soli 2 anni dei 61,5 mld di titoli di stato italiani classificati come pertinenti all’attività bancaria. Presumo che questo porterà ad un haircut medio applicabile ben sotto l’8,2% citato.

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