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Con la cultura si lavora

In Italia si legge poco. E ciò potrebbe contribuire a spiegare anche la bassa crescita. Come mostra una ricerca, indici di lettura più alti tendono ad associarsi a migliori capacità di apprendimento, con riflessi positivi sulla partecipazione al lavoro.

Cos’è il bonus cultura

Il bonus cultura è una iniziativa introdotta, a fine 2015, con l’obiettivo “di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale”. Nella forma attuale, ai diciottenni viene erogata una carta elettronica dall’importo di 500 euro, utilizzabile nell’anno “per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’acquisto di libri nonché per l’ingresso a «musei, mostre ed eventi culturali, (…)”. Sembra ora imminente una sua profonda revisione: un emendamento alla legge di bilancio, proposto dalla maggioranza di governo, ne limita l’erogazione in base alla soglia Isee del nucleo familiare, che non deve non superare i 35 mila euro.

Non è per ora disponibile una puntuale valutazione degli effetti fin qui registrati dal bonus cultura: Ma alcuni aspetti interessanti sono evidenziati dal ministero della Cultura nel dossier di dicembre 2021 sulla legge di bilancio 2022. Dai dati emerge che, nel periodo 2016-2021, circa 1,6 milioni di giovani hanno fruito del bonus: l’83per cento per l’acquisto di libri, il 14 per cento in musica, il 3 per cento per altre spese culturali.

L’iniziativa è stata dunque utilizzata in prevalenza per migliorare le opportunità di lettura ed è senza dubbio interessante indagare il complesso rapporto tra le abitudini alla lettura e lo sviluppo nel mercato del lavoro. Lo sviluppo economico richiede infatti che le forze di lavoro coinvolte nel processo abbiano un’adeguata dotazione di capitale umano – conoscenze ampie, condivise e in continua evoluzione. Peraltro, misurare lo stock di capitale umano è estremamente complesso. Spesso si sono utilizzate le competenze professionali delle forze di lavoro, approssimate dai titoli di studio conseguiti dalla popolazione o le competenze scolastiche acquisite, ma appare importante considerare soprattutto l’alfabetizzazione funzionale, vale dire l’uso dello stock “culturale” inteso in senso ampio, per il funzionamento del proprio gruppo e della società. In questa ottica, la capacità di leggere (e comprendere) ha un ruolo centrale. Gli effetti della literacy sulla sfera economica appaiono quindi profondi e persistenti.

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L’Italia ha indici di lettura molto bassi nel confronto con alcuni paesi dalle caratteristiche simili e contemporaneamente si caratterizza, tra le numerose peculiarità, anche per un’elevata disoccupazione e una bassa crescita.

La ricerca

Un nostro recente lavoro indaga il rapporto fra tasso di partecipazione al mercato del lavoro e propensione alla lettura di libri nelle regioni italiane. L’analisi, pur non offrendo alcuna interpretazione causale, mette in evidenza, anche rispetto a questa dimensione, l’esistenza del divario Nord-Sud. Infatti, come mostra la figura 1, le regioni settentrionali, caratterizzate da un più basso tasso di inattività, hanno in genere una maggiore propensione alla lettura.

Figura 1 – Tassi d’inattività e indici di lettura di libri nelle regioni italiane

Fonte: Elaborazioni su dati Istat. Valori medi 1995-2020. Per il 2004 non sono disponibili i dati relativi agli indici di lettura.

All’interno dei due cluster territoriali (regioni settentrionali e meridionali) emergono inoltre differenti dinamiche. Nel tempo, nelle regioni settentrionali si è avuta una progressiva riduzione del tasso di inattività e un aumento della propensione alla lettura di libri. Nel Meridione, invece, a livello di singola regione non emerge con chiarezza un’evoluzione temporale del legame tra le due variabili.

Il mercato del lavoro femminile in Italia, che in termini di tasso di inattività ha un gap con quello maschile tra i più elevati d’Europa, risulta particolarmente legato alle abitudini di lettura. Infatti, il grado di associazione tra il tasso di inattività femminile e l’indice di lettura è maggiore rispetto a quello riscontrato per il complesso delle forze di lavoro. Le donne più istruite hanno una minore probabilità di restare fuori dal mercato del lavoro e questa selezione positiva è più netta nelle regioni in cui si legge di più

In breve, con una marcata eterogeneità tra territori, abitudini di lettura più forti tendono a essere associate a maggiori capacità di apprendimento, con riflessi positivi sulla partecipazione al lavoro. In questo senso, l’intensità di lettura può forse contribuire a identificare una misura ragionevole del processo di accumulazione e di conservazione della conoscenza, intesa in un’accezione ampia.

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Volendo dare un’interpretazione forte di questi risultati, si potrebbe sottolineare che, come le manovre rivolte al miglioramento del percorso scolastico, le politiche pubbliche volte all’incentivazione della propensione alla lettura, rivolte prioritariamente, ma non esclusivamente, ai giovani, appaiono in linea con l’obiettivo di accrescere lo stock di capitale umano e, in via mediata, di aumentare il grado di occupabilità delle forze di lavoro.

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  1. alessandro casanova

    Per leggere cosa? La casta intellettuale è praticamente quasi tutta conformista ed al servizio delle elite!

  2. B&B

    Lo statalismo molto attivo in Italia e il reddito di cittdinnza, che è la stessa cosa, premiano proprio chi non legge e non leggerà mai niente.
    Nel meridione molti entravano in massoneria solo per esere assunti come bidelli nelle scuole.
    Che Miseria, meglio morire dissanguati.

  3. Francesco Grosso

    Salve agli autori,
    Grazie per l’articolo interessante.
    Tuttavia degli stimati accademici come voi, secondo me non dovrebbero mai inserire frasi :
    …L’Italia ha indici di lettura molto bassi nel confronto con alcuni paesi dalle caratteristiche simili e…
    SENZA ALCUN DATO NÉ RIASSUNTO NÉ INDICIZZAZIONE A VOCI O STUDI STATISTICAMENTE CORRETTI che possano sostanziare una frase come questa o come tutto il resto del trend dell’articolo del resto.

    Dovreste o eliminarla e con essa qualsiasi altro riferimento generico e fine a se stesso ad altri paesi o sostanziarla indicando condizioni, caratteristiche e risultati degli studi inseriti, altrimenti gli analfabeti funzionali siete voi e solo voi.
    Fate un paragone con qualcos’altro od altri paesi senza dati e solo per dimostrare che al Sud si legge meno rispetto al Nord. OK ma non accetto di sentirmi dire in alcuna maniera che in Italia si legge meno rispetto al Regno Unito o alla Francia o al Giappone o al Canada o all’Australia sulla base di un sentito dire trito e ritrito per cui l’Italia a priori è solo male è tutto male da sempre ecc…
    Litania che mi ha stancato e di cui speravo in un cambio di gestione e cultura in lavoce.info. Constato tuttavia il perdurare del buon adagio che in accademia italiana paga:

    1 Italia pessima a priori e sempre comunque per ipse dixit
    2 Sud … puntini per non mettere altro di bannabile

    Attendo correzione al testo in uno dei due sensi richiesti.

    Saluti
    Francesco Grosso

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