L’Italia ha un tasso di abbandono scolastico più alto della media Ue. Tra i motivi, percorsi scolastici e professionali che, anche se terminati, garantiscono minori vantaggi sul lavoro rispetto al resto d’Europa.

Il fenomeno della dispersione scolastica è complesso e può manifestarsi a età diverse e in modi differenti, tra cui l’assenteismo, la frequenza passiva o l’abbandono della scuola. A livello internazionale, l’indicatore che viene maggiormente utilizzato per misurare la dispersione scolastica è l’ultimo citato, ossia l’abbandono precoce degli studi.

Vengono chiamati Elet (early leavers from education) tutti quei giovani nella fascia d’età 18-24 che hanno ottenuto al massimo la licenza media, decidendo di non frequentare, o di smettere di frequentare, la scuola superiore o alternativi corsi di formazione. La riduzione della quota di Elet al di sotto del 9 per cento entro il 2030 è uno degli obiettivi chiave nel nuovo quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’educazione e della formazione. Nel 2021, in Italia si è registrata una percentuale di giovani (con o senza cittadinanza) che hanno lasciato precocemente gli studi del 12,7 per cento, ben tre punti percentuali in più rispetto alla media europea (9,7 per cento). In particolare, gli uomini registrano un tasso di abbandono del 14,8 per cento e le donne del 10,5 per cento (Figura 1). Il numero di Elet in Italia (517 mila ragazzi), molto più alto rispetto alla media Ue e alla selezione dei paesi scelti, segnala la necessità di intervento per ridurre le forme di abbandono scolastico, che può avere gravi conseguenze sulla vita dei giovani e sulla società.

Come accade per molti altri indicatori, non si notano solo divari di genere ma anche a livello territoriale e di cittadinanza. A non finire le superiori sono il 16,6 per cento dei ragazzi del Sud e delle Isole, il 10,7 per cento dei ragazzi del Nord e il 9,8 per cento di quelli del Centro. Inoltre, i ragazzi con cittadinanza italiana complessivamente hanno un tasso di abbandono scolastico del 10,9 per cento, mentre per gli studenti stranieri è quasi il triplo (32,5 per cento), con il dato che aumenta all’aumentare dell’età di arrivo in Italia dall’estero.

Quanto incide l’abbandono scolastico sulla possibilità di trovare lavoro?

Istat introduce l’indicatore “quota di Elet che vorrebbero lavorare” come la misura della volontà di lavorare, indipendentemente dalla ricerca o meno di lavoro e dalla immediata disponibilità. Ciò che mostrano i dati è che, sebbene il desiderio di lavorare degli Elet italiani sia ben più alto del resto d’Europa (46,5 per cento a fronte di una media europea del 34), le possibilità sono scarse e solo un ragazzo Elet su tre riesce effettivamente a trovare un’occupazione (Figura 2).

Il divario con chi consegue almeno il diploma è molto alto: i diplomati occupati sono quasi la metà (49,5 per cento).  Sulle differenze tra Elet e diplomati non influisce particolarmente il territorio di residenza o il possesso o meno della cittadinanza (Figura 3).

Da Elet a Neet

I Neet (neither in employment nor in education and training) sono tutti coloro che non studiano né lavorano di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Nonostante i dati Istat segnalino un leggero calo rispetto alle rilevazioni degli scorsi anni, la quota di Neet in Italia (23,1 per cento) è molto più alta rispetto alla media Ue (13,1 per cento).

La quota di Neet aumenta al diminuire del titolo di studio (Figura 4): tra coloro con licenza media il 63,9 per cento è Neet, tra i diplomati il 42,4 per cento e tra i laureati il 32,4 per cento. Questi dati suggeriscono un miglior inserimento lavorativo per chi ha titoli di studio più alti e una maggiore difficoltà nel trovare lavoro per chi abbandona gli studi prima della maturità o per chi ha solo il diploma.

Transizione scuola – lavoro

Infine, per monitorare la transizione scuola–lavoro, Istat prende in considerazione i tassi di occupazione, disoccupazione e mancata partecipazione di chi si è diplomato o laureato da minimo uno a massimo tre anni all’interno della fascia d’età 20–34 anni. Sulla base delle analisi di Istat, l’occupazione di chi si trova nella transizione scuola–lavoro è del 49,9 per cento per i diplomati e del 67,5 per cento dei laureati, confermando che è più semplice trovare un’occupazione per chi ha livelli di istruzione più elevati, anche se nel complesso più difficile che in altri paesi europei. Anche in questo caso, le statistiche segnalano la necessità di intervento.

In conclusione, in Italia abbiamo un livello di abbandono degli studi molto alto, soprattutto per gli uomini, e, nonostante i ragazzi siano tendenzialmente più desiderosi di trovare un lavoro rispetto ai coetanei europei, faticano a trovarlo. Anche i diplomati affrontano non poche difficoltà nel riuscire a trovare un’occupazione dopo le scuole superiori o dopo i corsi di formazione, mentre chi ha conseguito una laurea ha un processo di transizione al lavoro a grandi linee più semplice, ma il “premio occupazionale” per i laureati è più basso rispetto al resto dell’Ue.

Il nuovo governo vorrebbe risolvere questo problema con percorsi scolastici più professionalizzanti. Come ha affermato la neopresidente Meloni nel discorso di insediamento: “Serve colmare il grande divario esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro con percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una formazione scolastica e universitaria più attente alle dinamiche del mercato del lavoro”.

La Premier ha proposto di rilanciare la correlazione tra istruzione e merito, per garantire il più possibile pari opportunità. Visti i problemi strutturali del sistema scolastico e universitario italiani, non sarà semplice.

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