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Di inflazione non ce n’è una sola*

In quasi tutti i processi inflazionistici i prezzi dei singoli prodotti variano a ritmi molto differenti tra loro, con effetti sull’economia reale. Non è possibile agire utilizzando un unico strumento di politica economica, come i tassi di interesse.

Un processo che modifica i rapporti di scambio

Nel mondo reale, l’inflazione non è generalmente un fenomeno puramente monetario, che lascia inalterati i rapporti di scambio tra i diversi beni e servizi e può essere affrontato semplicemente regolando la liquidità in circolazione. Quasi sempre, l’inflazione comporta variazioni dei prezzi relativi (compreso il potere d’acquisto dei salari) che lasciano sul campo vincitori e vinti, incidendo sulla distribuzione dei redditi e sulla crescita.

La forte eterogeneità degli aumenti settoriali in tutta Europa è documentata anche dall’andamento degli indici dei prezzi al consumo armonizzati (Hicp) disaggregati su circa 40 gruppi di prodotti. Come si vede dalla Tabella 1, nei paesi esaminati il tasso di inflazione dal 1997 in poi non ha superato il campo di variazione dei tassi settoriali (misurata dalla loro deviazione standard). Una dispersione così accentuata dei prezzi riduce fortemente il valore informativo e segnaletico del tasso di inflazione generale, perché è elevatissima la probabilità che il costo di un particolare paniere di prodotti abbia una dinamica molto diversa dalla media. Pertanto, ha poco senso fissare un target solo per l’inflazione media, trascurando la dinamica degli altri prezzi.

Aumenti dell’indice generale dei prezzi anche molto contenuti sono stati accompagnati da variazioni significative dei rapporti di scambio tra i vari prodotti, di natura presumibilmente strutturale, che hanno quasi certamente influito sui comportamenti dei consumatori. Come si vede dalla Figura 1, sull’arco di quasi un quarto di secolo, i prezzi di alcuni beni e servizi hanno guadagnato sistematicamente rispetto all’inflazione media (da 3,1 a 0,8 punti percentuali l’anno). Tra questi si segnalano alcuni tipici prezzi amministrati, come i tabacchi (fortemente condizionati dalle imposte), i servizi postali, l’energia (su cui pesano anche vari shock esterni), l’acqua, i servizi ospedalieri, le assicurazioni e i trasporti (trascinati dal costo dell’energia). Al contrario, hanno perso posizioni (da 0,8 a 7,5 punti l’anno) molti prodotti importati, che hanno beneficiato della concorrenza internazionale e della forza dell’euro, come l’audio-video e gli elettrodomestici (a causa della rapida obsolescenza tecnologica), l’abbigliamento e calzature, gli articoli sportivi e giocattoli, auto e moto, medicine e articoli sanitari, mobili e articoli per la casa. Alcune delle voci più dinamiche, come l’energia, l’acqua, i servizi ospedalieri e i trasporti, pesano relativamente di più sul bilancio delle famiglie meno abbienti, mentre molti dei prodotti che hanno perso posizioni sembrano tipici consumi delle famiglie più agiate, come audio-video, elettrodomestici, auto e moto e mobili.

Gli strumenti in campo

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Le politiche monetarie della Bce, molto restrittive almeno fino al 2013, hanno mantenuto l’inflazione generale ben al di sotto della soglia psicologica del 2 per cento, ma non sono riuscite ad influire sulle dinamiche settoriali, ammesso che ne avessero l’intenzione. Se i prezzi non sono abbastanza solidali tra loro, infatti, la regola di Tinbergen mostra che non è possibile perseguire contemporaneamente obiettivi multipli e indipendenti tra loro utilizzando un solo strumento. Questo significa che, per combattere l’inflazione, è necessario mettere in campo diversi mezzi, dalle misure di sostegno mirate (come quelle previste recentemente dal governo), fino alla politica dei prezzi amministrati, quella dei redditi e della concorrenza. In caso contrario, si rischia danneggiare le fasce più deboli e di innescare una spirale tra prezzi e salari o tra costi di produzione e margini di ricarico che può prolungare e amplificare gli impulsi iniziali.

Per esempio, alcune elaborazioni sulla matrice input-output dell’economia italiana mostrano che un rincaro delle importazioni del 10 per cento (con la stessa composizione di quello che stiamo sperimentando) incide sui prezzi al consumo solo per 0,21 punti percentuali se imposte indirette, margini di ricarico e costo del lavoro restano costanti, ma l’impatto tocca 0,31 punti nel caso di un adeguamento completo dei margini di ricarico delle imprese e 0,61 punti se anche il costo del lavoro è totalmente indicizzato.

Una accorta politica dei prezzi amministrati potrebbe tutelare il potere d’acquisto delle famiglie senza alimentare le spinte salariali. L’onere per il bilancio pubblico potrebbe essere posto a carico della fiscalità generale, sfruttando anche l’effetto perequativo di una imposizione progressiva. Contro questa ipotesi si sono espressi recentemente alcuni economisti statunitensi, che però fanno riferimento a un contesto molto diverso da quello europeo e a un caso di inflazione spinta dalla domanda, in cui la variabilità dei prezzi è nettamente inferiore.

La maggior parte dei rincari si verifica in settori in cui il potere di mercato di alcune imprese e la rigidità della domanda consentono di praticare aumenti consistenti senza contraccolpi negativi sulla redditività. Ciò impedisce ai consueti meccanismi di mercato di raffreddare l’inflazione penalizzando i settori in cui ha origine. Per questo, gli aumenti potrebbero essere frenati, oltre che da provvedimenti antitrust, anche da campagne informative che spingano i consumatori a essere più selettivi negli acquisti, accentuando la concorrenza tra le imprese. Invece politiche monetarie e fiscali restrittive non possono essere altrettanto mirate e dunque rischiano di deprimere indiscriminatamente tutta la domanda senza colpire le cause degli aumenti dei prezzi.

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*Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono in alcun modo le istituzioni con cui collabora l’autore.

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Le crisi finanziarie come canale di diffusione del populismo*

  1. Savino

    C’è un problema trentennale di potere d’acquisto, di salari che non si possono tenere bassi riducendo, per via concertativa, il livello di produttività; poi c’è un problema di mercato e di prezzi con scarsi controlli e scarsa concorrenzialità e con una spirale di speculazione che nessuno si è mai azzardato a spezzare. Le politiche sbagliate sono sia quelle che non agiscono, sia quelle che alzano i tassi e i mutui, sia quelle che agiscono con una tantum di facciata, sia quelle che si ostinano a non voler liberalizzare. Il mercato lo fa la domanda, il potere d’acquisto va rafforzato strutturalmente, va tutelata la persona del consumatore, poche chiacchiere corporative per il resto.

  2. Firmin

    La BCE sta per prendere l’ennesima decisione sbagliata sui tassi e i governi europei tacciono, sperando che sia la banca centrale a togliere dal fuoco le castagne dei nodi strutturali non risolti che favoriscono questa ondata inflazionsitica: colli di bottiglia, oligopoli, eccessiva dipendenza dall’estero. Forse la buonanima di Tinbergen dovrebbe spiegare ai suoi “frugali” connazionali che delegare completamente la stabilità dei prezzi alla BCE è come affidare il volante di un’auto ad uno che non controlla acceleratore, cambio e freni. Un’ottimo modo per mandare tutta l’Europa fuori strada.

  3. L’inflazione attuale dipende principalmente dal costo dell’energia, quindi la BCE è inerme, anzi deve continuare con la politica monetaria espansiva per incrementare gli investimenti che potranno permettere l’autonomia energetica della UE

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