Nella crisi da pandemia, molti governi, compreso il nostro, hanno varato misure per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese. Nei piani per la ripresa, invece, le risorse per le Pmi sono ridotte e sono assegnate in modo selettivo.

Nel 2020, in piena crisi pandemica, i prestiti alle piccole e medie imprese nell’Unione europea e nei paesi Ocse sono aumentati notevolmente. Secondo i dati del Survey on the Access to Finance of Enterprises (Safe) della Commissione europea, le Pmi dell’Unione hanno visto un miglioramento netto dell’accesso ai prestiti bancari (ossia la differenza tra le aziende per cui la disponibilità è aumentata e quelle per cui è diminuita) del 4 per cento. In Italia, il dato si attesta più in alto, al 15 per cento. Inoltre, le Pmi hanno sperimentato un calo dei tassi d’interesse (del 12 per cento in Italia) e un aumento dell’ammontare dei prestiti disponibili (del 10 per cento nel nostro paese).

Un rapporto dell’Ocse su 38 paesi rivela anch’esso un aumento del credito alle Pmi, seppure non in tutti i paesi considerati. Anche dove non si è avuta un’espansione dei nuovi prestiti, i governi hanno introdotto alcune misure, come differimenti dei pagamenti e moratorie sul debito per ridurre i vincoli di liquidità, con il risultato di aumentare generalmente lo stock di prestiti alle Pmi (figura 1).

La maggior parte delle misure di sostegno durante la crisi era rivolta a tutte le Pmi, consentendo così alla quasi totalità delle imprese di evitare le conseguenze più pesanti della pandemia. Nei paesi considerati dal rapporto Ocse, perciò, i fallimenti di Pmi hanno visto una riduzione mediana dell’11,7 per cento nel 2020 rispetto al 2019. In Italia, il calo è ancora più marcato, attestandosi al 31,08 per cento.

Naturalmente, misure così ampie hanno avuto un costo rilevante e probabilmente hanno finanziato anche chi non necessitava di sostegno. Questo fattore, considerato solo da alcuni paesi nel contesto delle disposizioni emergenziali, è però stato più rilevante nella definizione delle successive misure per la ripresa.

Aumento del credito e riduzione dei fallimenti sono legati a un forte intervento pubblico. Nel 2020, le garanzie pubbliche sui prestiti sono aumentate del 110,1 per cento nei paesi considerati dall’Ocse. Non tutti i paesi sono stati in grado di agire così massicciamente. Come prevedibile, i paesi Ue e, in generale, quelli ad alto reddito hanno concesso maggiori garanzie rispetto ai paesi emergenti (figura 3a).

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In Italia, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 23 febbraio 2022 sono state presentate richieste di garanzie per micro, piccole e medie imprese per oltre 227,6 miliardi di euro, quasi tutte accolte. La quasi totalità delle garanzie in questione (per 225,9 miliardi) è legata alle misure emergenziali introdotte con i decreti “Cura Italia” e “Liquidità”. Tra i paesi considerati dall’Ocse, l’Italia è quello in cui le garanzie hanno inciso di più: nel 2020, il 73,8 per cento dell’ammontare dei prestiti in essere era coperto da garanzie pubbliche, molto più che altrove (figura 3b).

Le Pmi nei piani di emergenza e in quelli di ripresa

Nei paesi considerati dall’Ocse, le Pmi hanno ricevuto il 25,5 per cento dei finanziamenti allocati dalle misure emergenziali durante la pandemia. I piani per la ripresa, invece, assegnano alle Pmi una quantità residuale di risorse: il 2,21 per cento del totale. Le misure di sostegno alla liquidità sono fortemente ridotte rispetto ai piani di emergenza e mirate al sostegno di aziende in grado di risollevarsi o particolarmente vulnerabili.

I piani di ripresa condividono generalmente quattro pilastri in termini di obiettivi: transizione ecologica (49,3 per cento delle risorse), digitalizzazione (22,7 per cento), competenze (11,1 per cento) e innovazione (16,8 per cento). È destinato alle Pmi l’8,9 per cento delle risorse allocate nella categoria “innovazione”, mentre negli altri ambiti l’ammontare è notevolmente inferiore: per transizione ecologica, digitalizzazione e competenze le piccole e medie imprese riceveranno rispettivamente l’1,77 per cento, il 7,7 per cento e il 4,2 per cento delle risorse (figura 4).

È evidente che i finanziamenti destinati alle Pmi nei piani di ripresa sono estremamente limitati se paragonati a quanto speso per le misure emergenziali. Ciò è legittimo, se ora le priorità sono altre. L’Ocse avverte però che le piccole e medie imprese avranno bisogno di ulteriore sostegno, in particolare per affrontare efficacemente la sfida di transizione ecologica e sostenibilità. E resta la mina del debito accumulato durante la pandemia, per cui potrebbero essere necessari futuri interventi.

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