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Cambiamento climatico: il ruolo delle donne

Le donne subiscono più degli uomini i cambiamenti climatici. Ma sono anche più sensibili alla necessità di modificare i comportamenti per la salvaguardia dell’ambiente. Il problema è che continuano a essere sottorappresentate negli organi decisionali.

Il lato negativo dell’intersezione tra genere e ambiente…

Nei giorni scorsi la Commissione Onu sullo status delle donne ha ribadito il ruolo cruciale che donne e ragazze ricoprono “come agenti di cambiamento per lo sviluppo sostenibile, in particolare salvaguardando l’ambiente e affrontando gli effetti negativi del cambiamento climatico”. Non è la prima volta che la lettura del cambiamento climatico in chiave di genere viene enfatizzata dalle istituzioni. Lo scorso 8 marzo, Giornata internazionale delle donne, il tema scelto dall’Onu era infatti “Gender equality today for a sustainable tomorrow”.

Nel maggio 2021, un report dell’Ocse ha indagato l’intersezione tra genere e ambiente, facendo luce sulla disparità creata, o meglio accentuata, dai cambiamenti climatici. Gli effetti negativi del riscaldamento globale, delle ondate di calore, della siccità, dell’aumento del livello del mare e di condizioni meteorologiche estreme sono infatti ancor più pronunciati per le donne, già a priori più vulnerabili. Secondo l’Ocse, nel mondo le morti premature dovute all’inquinamento dell’aria indoor, a fonti di acqua e servizi igienici non sicuri e alla mancanza di accesso all’igiene riguardano più donne che uomini. Un’analisi della letteratura fatta dalla Global gender and climate alliance ha evidenziato come, secondo il 68 per cento dei 130 studi sull’argomento esaminati, le donne subiscano impatti del cambiamento climatico maggiori degli uomini. Per esempio, per una donna, soprattutto se vive nei paesi in via di sviluppo, è più alta la probabilità di morire in seguito a un evento estremo, di soffrire peggioramenti più acuti della salute mentale, di essere soggetta a violenza domestica e avere minore sicurezza alimentare. Dato il diverso impatto per genere, è necessario raccogliere dati sull’effetto dei cambiamenti climatici che distinguano tra uomini e donne, e integrare una chiave di genere nelle policy ambientali. Un sondaggio dell’Ocse svolto nel 2019-2020 mostra come solo undici paesi membri raccolgono dati disaggregati per genere e diciassette hanno un’integrazione tra genere e politiche ambientali (di cui dieci in Europa, come mostra la figura 1).

…e il lato positivo

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Non solo le donne sono diverse dagli uomini in termini di impatto dei cambiamenti climatici, ma lo sono anche in termini di preferenze e comportamenti in relazione all’ambiente. Secondo un sondaggio svolto dal Women’s forum nel 2021 su quasi diecimila persone nei paesi del G20, le donne hanno cambiato le proprie abitudini più degli uomini per contrastare i cambiamenti climatici e più facilmente degli uomini sono motivabili a farlo (figura 2).

Sottorappresentate nei luoghi delle decisioni

Nonostante l’importante ruolo che potrebbero giocare nell’azione ambientale, le donne rimangono sottorappresentate negli organi decisionali. In tutti i parlamenti europei, sono meno del 50 per cento, con una media tra i paesi Ocse di poco superiore al 30 per cento (figura 3). Guardando solo ai ministeri nazionali che si occupano di ambiente e cambiamento climatico, nell’Unione Europea le donne sono in media il 32,2 per cento. Aumentare la rappresentanza politica femminile a livello nazionale potrebbe però facilitare l’adozione di politiche più severe in materia di cambiamento climatico, tradotte poi in minori emissioni di anidride carbonica. Anche a livello locale, un recente studio sui comuni italiani rivela che i sindaci donna destinano una quota di bilancio più elevata alle politiche legate all’ambiente, quando anche nel consiglio municipale ci sono più donne.

Simili considerazioni valgono anche per il settore privato. Diversi studi mostrano infatti come una più ampia presenza di donne nei consigli di amministrazione, che continuano a essere principalmente composti da uomini, potrebbe portare a una maggiore trasparenza sull’impatto ambientale delle aziende e a un maggior impiego di energie rinnovabili.

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Il Punto

  1. Alfredo

    Quindi anche nell’ambito dei cambiamenti climatici le donne sarebbero più svantaggiate. Mah…

  2. Paolo

    Mah.
    Nel commentare certi sondaggi andrebbe anche tenuta in considerazione l’attitudine di chi risponde al voler far bella figura con l’intervistatore.

    • Luca Neri

      SI chiama social desirability bias. Le evidenze convergono nell’indicare che le donne tendono a rispondere, anche nei survey anonimi, in maniera maggiormente conformistica. “Gender is one of the most frequently studied variables within the ethics literature. In prior studies that find gender differences, females consistently report more ethical responses than males. However, prior research also indicates that females are more prone to responding in a socially desirable fashion.” (1)

      Le differenze riscontrate in questo articolo (un’indagine campionaria cross-sectional, basata su questionari, ergo ad elevato rischio di non essere valida ne generalizzabile) sono così piccole da poter essere interamente spiegate da differenze in social desirability bias tra i generi.

      Io mi chiedo con quale serietà, sulla base di questi dati, si danno indicazioni di policy così generali.

      1. Dalton, D., Ortegren, M. Gender Differences in Ethics Research: The Importance of Controlling for the Social Desirability Response Bias. J Bus Ethics 103, 73–93 (2011). https://doi.org/10.1007/s10551-011-0843-8

      • Alessandra Casarico

        Grazie per i commenti. Direi che la prima parte del nostro pezzo non ha a che fare con il social desirability bias. La seconda parte riporta gli esiti di un sondaggio (che può essere soggetto a SDB) dal quale non si trae alcuna indicazione di policy. L’indicazione che più donne nelle istituzioni potrebbero fare la differenza nell’avanzare i temi/le spese legate al cambiamento climatico si fonda su alcuni contributi, citati, che raggiungono risultati in questo senso e che non usano sondaggi.

        • Luca Neri

          Gentile Professoressa Casarico, non sono d’accordo. La conclusione che “Non solo le donne sono diverse dagli uomini in termini di impatto dei cambiamenti climatici, ma lo sono anche in termini di preferenze e comportamenti in relazione all’ambiente” non è supportata dai dati (i.e. social desirability bias) ed è propedeutica, assieme ad altre “evidenze”, a dire il vero molto deboli, a sostenere che “aumentare la rappresentanza politica femminile a livello nazionale potrebbe però facilitare l’adozione di politiche più severe in materia di cambiamento climatico, tradotte poi in minori emissioni di anidride carbonica.”, affermazione che risulta quindi alquanto speculativa. Riguardo alla prima parte, lo stesso rapporto da lei citato afferma: “Overall, there has been little research into the gendered impacts of climate change – making it difficult to draw firm conclusions”, una prudenza che non sembra abbiate conservato nella vostra narrazione quando ad esempio affermate che, “Gli effetti negativi del riscaldamento globale, delle ondate di calore, della siccità, dell’aumento del livello del mare e di condizioni meteorologiche estreme sono infatti ancor più pronunciati per le donne, già a priori più vulnerabili.” Questi studi sono estremamente complessi e affetti da molteplici potenziali bias, non solo perchè sono necessariamente studi osservazionali, ma anche perchè sono condotti in condizioni contestuali difficili, per cui trarre conclusioni così nette come quelle riportate in questo articolo è un esercizio temerario.

        • Luca Neri

          Aggiungo che il report non riporta alcuna misura di effect size, né per i singoli studi, né pooled, per cui non ci è dato di sapere quanto significativa sia la differenze di genere osservata. Inoltre non riporta alcuna valutazione della qualità scientifica degli studi selezionati, ragione per cui l’effetto osservato potrebbe essere concentrato in studi di scarsa qualità, affetti da significativi bias metodologici. Sarebbe necessario analizzare gli studi raccolti nella rassegna con metodologie meta-analitiche appropriate.

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