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Una vittoria per l’Ue sullo Stato di diritto

La Corte di giustizia Ue ha confermato le sanzioni contro Polonia e Ungheria per le violazioni dello Stato di diritto. Per garantire il rispetto dei principi democratici, la Commissione ha puntato sul danneggiare gli interessi economici dei due paesi.

Il 16 febbraio 2022, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha pronunciato due sentenze “gemelle” con le quali ha rigettato i ricorsi di Ungheria e Polonia avverso il regolamento n. 2020/2092, che stabilisce un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione europea. Si tratta probabilmente del finale di una vicenda che sta mettendo ai margini dell’Unione due dei più importanti stati divenuti membri con il grande “Allargamento ad Est” del 2004-2005. Non è una vicenda edificante, ma potrebbe insegnare qualcosa per quanto riguarda future improvvide accoglienze nella casa europea di stati nazionalisti e contrari a qualsiasi condivisione della sovranità.

Come viene difeso lo Stato di diritto dai trattati

Ai non giuristi l’oggetto del contendere potrebbe sembrare astratto e artificioso, dato che si tratta del problema della tutela dello Stato di diritto in questi paesi. Ma nessun problema potrebbe essere più concreto e cruciale in Europa, perché la nozione di Stato di diritto, o rule of law, rappresenta il pilastro centrale della democrazia liberale. Esprime l’idea che il governo di un paese non deve essere nelle mani di un principe, e dunque soggetto al suo arbitrio, ma deve essere retto dalla legge, cioè da regole predeterminate e chiare. Esprime l’idea che i poteri dello Stato devono essere separati e ben bilanciati in modo che nessuno di essi possa sopraffare gli altri. La preservazione dello Stato di diritto distingue la democrazia dal totalitarismo. L’Ungheria e la Polonia hanno ratificato il trattato UE dove la centralità dello Stato di diritto è esplicita. L’art. 2 di tale trattato stabilisce che l’Unione si fonda sul rispetto “della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”. L’art. 49, che prevede la procedura di adesione, recita: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’art.2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione (…)”.

Ma i trattati è bello e facile ratificarli in posa per le foto di rito; più complicato rispettarli, quando ciò non coincide con un’agenda politica interna di carattere nazionalistico. Da qualche anno, i Governi di Ungheria e Polonia hanno cominciato a limitare fortemente l’indipendenza dei loro giudici nazionali, violando, secondo le valutazioni della Commissione, lo Stato di diritto. Per reagire a questo tipo di violazioni, il trattato Ue prevede un’arma spuntata. L’art. 7 stabilisce infatti a carico dello Stato trasgressore la possibile sospensione dell’applicazione di alcuni diritti derivanti dai trattati, incluso il diritto di voto in seno al Consiglio; ma per giungere a tanto occorre un voto unanime degli altri Stati membri e, dunque, basta un solo “alleato” per rendere inoffensiva la norma. La Commissione allora ha azionato la procedura classica di infrazione dei trattati, lamentando la violazione dell’art. 19 del Tue, ove si prevede che gli Stati membri devono stabilire rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto Ue.  Se i giudici non sono indipendenti dall’esecutivo, ha ragionato la Commissione, non si può essere certi che esista una tutela giurisdizionale effettiva.  La Corte ha accolto l’argomento  in numerose sentenze, fino a condannare la Polonia, con ordinanza del 27 ottobre 2021, a pagare una penalità di un milione di euro al giorno per non essersi conformata agli obblighi derivanti da un precedente giudizio. Ma nessuna penalità è stata sinora pagata e le norme che restringono l’autonomia dei giudici polacchi non sono state ritirate.

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Colpire gli interessi economici per difendere i principi democratici

Per cercare di difendere lo Stato di diritto, non restava che immaginare un’arma ad hoc che colpisse le ragioni principali per le quali  i governi dei paesi in questione ignorano i patti sottoscritti, ossia i loro interessi economici. Problema non facile, oltre che per le immaginabili riluttanze diplomatiche degli altri stati, anche per le molte strettoie giuridiche. Per esempio, riscrivere una norma simile all’art. 7, ma governata dalla maggioranza qualificata invece che dall’unanimità, sarebbe stato illecito perché elusivo dei paletti procedurali stabiliti da quest’ultimo articolo. Né si poteva pensare a delle sanzioni, perché queste non sono previste dal Trattato e sarebbe paradossale cercare di difendere lo Stato di diritto violandolo.  La soluzione adottata nel regolamento n. 2020/2092 è stata quella di collegare l’esecuzione del bilancio europeo al rispetto del valore di cui parliamo.  Il considerando 13 del regolamento afferma che c’è una chiara correlazione tra il rispetto dello Stato di diritto e l’esecuzione efficiente del bilancio dell’Unione in conformità dei principi di sana gestione finanziaria.

Preservare l’indipendenza degli organi giurisdizionali è di primaria importanza per il controllo della regolarità degli atti, dei contratti o di altri strumenti che generano spese o debiti pubblici, in particolare nell’ambito di procedure di appalto. Il regolamento prevede che, a seguito di una procedura in contraddittorio con lo Stato interessato, la Commissione possa concludere che in un determinato paese sussistono violazioni dello Stato di diritto che compromettono o rischiano di compromettere la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela dei suoi interessi finanziari. In tal caso, la Commissione può prendere misure come sospensione dei pagamenti, il divieto di assumere nuovi impegni giuridici o di concludere nuovi accordi su prestiti o altri strumenti garantiti dal bilancio dell’Unione. Dunque, non si tratta di sanzioni, ma di sospensioni di pagamenti che possono eventualmente essere revocate.

Il regolamento è stato impugnato da Ungheria e Polonia, ma le due sentenze del 16 febbraio 2022 hanno rigettato i ricorsi e confermato la legittimità dello stesso. Ora nessun altro mezzo giurisdizionale è a disposizione di questi due Stati e la Commissione può iniziare la sua attività di controllo. Ma forse Polonia e Ungheria qualche dubbio sul loro rifiuto dei valori europei potrebbero farselo venire ora, dando uno sguardo ad Est, verso le fredde colline del Donbass.

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  1. Giacomo

    A proposito di indipendenza della magistratura in Italia stiamo sicuramente molto meglio ma forse non sufficientemente bene. Il nostro nuovo presidente della corte costituzionale è un ex presidente del consiglio e varie volte ministro che poi poteva diventare presidente della repubblica. Un ex presidente della stessa corte costituzionale è attualmente ministro. Moltissimi magistrati scendono in politica e poi tornano a fare il magistrato. A Bruxelles come vedono queste cose?

    • Henri Schmit

      Spetta davvero a Bruxelles valutare? La CGUE poi sarebbe a Lussemburgo. E la CEDU è la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa stanno a Strasburgo. Ma non dovremmo provare noi a farci un’idea razionale, coerente ed equilibrata noi stessi (tenendo conto delle migliori soluzioni degli altri)? Forse è proprio quello il salto che l’Italia da tempo non è più in grado di fare. Non solo in campo di indipendenza della giustizia. Penso alla L elettorale forse ancora più fondamentale in democrazia.

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