Nel corso della pandemia, le regioni hanno deciso periodi più o meno lunghi di didattica a distanza. Le più penalizzate sono proprio le aree più deboli. Si accentuano così le già forti disparità territoriali nei livelli di apprendimento degli studenti.

A ogni regione la sua Dad

Il settore dell’istruzione è stato uno dei più colpiti dalla pandemia. È stato anche terreno di confronto tra competenze esclusive del livello centrale e ruolo delle autonomie regionali.

Durante la prima ondata di Covid-19 il governo ha infatti optato per la chiusura delle strutture scolastiche di ogni ordine e grado su tutto il territorio nazionale. Al contrario, dopo la pausa estiva 2020 ha cercato di tutelare maggiormente la didattica in presenza, almeno per gli alunni della scuola primaria e del primo anno di frequenza della scuola secondaria di I grado, quando la diffusione del contagio del virus Sars-CoV-2 non era critica. Coerentemente con l’adozione del metodo dei “colori” finalizzato a calibrare le misure di rigore alle criticità dei territori, è stata prevista una diversa applicazione delle modalità di insegnamento (in presenza o a distanza) a seconda del livello di rischio pandemico nei territori. Il succedersi di diversi decreti del presidente del Consiglio ha regolamentato lo schema, adattandolo alla situazione del momento.

È nelle maglie di questa misura che trova spazio l’intervento delle regioni. In particolare, l’autonomia regionale si è espressa in tutti e tre i livelli scolastici, nel periodo tra novembre 2020 e aprile 2021, per ridursi diffusamente dopo questa data, anche in concomitanza con l’insediamento di un nuovo governo espressione di una più larga rappresentanza politica.

Misure restrittive rispetto a quelle definite a livello centrale sono state applicate solo da alcune regioni per la scuola primaria, mentre la scuola superiore è stata la più colpita dalla chiusura per volontà sia del governo che delle varie regioni. Se il Mezzogiorno ha mostrato una tendenza a ricorrere alla Dad indipendentemente dal grado di istruzione, le regioni del Centro-Nord hanno orientato la chiusura soprattutto sulla scuola secondaria di II grado, coerentemente con il principio di salvaguardare la presenza scolastica dei più giovani.

Dove si è rinunciato alla funzione educativa della scuola

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Su quali criteri si è basata la scelta tra ricorso o meno alla Dad? Si potrebbe supporre, per esempio, che ordinanze di chiusura delle scuole siano state evitate in contesti caratterizzati da particolari carenze nei livelli di apprendimento scolastico. In altri termini, i bassi livelli di apprendimento in alcune realtà locali dovrebbero aver spinto le istituzioni a programmare un più esteso svolgimento in presenza delle lezioni. Invece, proprio le aree caratterizzate da peggiori performance scolastiche e più bassi livelli di apprendimento sono quelle che hanno più spesso rinunciato a svolgere le lezioni in presenza, arretrando per prime di fronte alla funzione educativa dell’istruzione. Ciò desta non poca preoccupazione, confermando peraltro quanto recentemente emerso a livello internazionale. Anche limitandosi alla sola scuola secondaria superiore, dove l’intervento delle regioni è stato meno differenziato tra aree del paese, esiste infatti una correlazione persino positiva, benché di entità moderata, tra la percentuale di studenti che prima della pandemia avevano un livello di competenze insufficienti in lettura (inferiori al Livello 3 della scala Invalsi) alla fine del percorso scolastico e le settimane di Dad decise con autonomia regionale (indice di correlazione del 25 per cento).

Le generazioni più giovani hanno subito in misura limitata gli effetti della pandemia dal punto di vista sanitario, ma non si può negare l’impatto che le chiusure scolastiche e il ricorso alla Dad hanno avuto e avranno nel medio periodo sulla formazione delle competenze e del capitale umano. Una semplice correlazione fornisce una prima evidenza di come nelle regioni che hanno avuto un maggior numero di settimane di Dad complessive sia stato maggiore l’incremento della quota di studenti con livelli di apprendimento critici alla fine della secondaria di secondo grado: il coefficiente di correlazione è pari a 0.64.

In attesa di poter analizzare i dati più approfonditamente, è già evidente che il periodo pandemico è destinato ad accentuare le disparità sociali tra aree del paese, a partire dall’istruzione. Le situazioni regionali che si caratterizzavano per livelli di apprendimento insufficienti si sono ulteriormente aggravate, anche in conseguenza dei lunghi periodi di didattica a distanza.

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