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Seggi elettorali? Fuori dalle scuole

Nelle consultazioni elettorali di settembre 2020 alcuni comuni hanno organizzato i seggi in edifici diversi dalle scuole. In questo modo si è evitato di interrompere di nuovo le lezioni dopo mesi di Dad. Ma è una scelta da allargare e rendere permanente.

La tradizione dei seggi nelle scuole

Di riforma della legge elettorale si discute molto e da molto tempo, ma l’attenzione è di norma focalizzata sul sistema di assegnazione dei seggi, molto meno sulla legislazione elettorale “di contorno”, se non per quanto riguarda la presentazione delle liste. Beninteso, il metodo con cui i voti sono trasformati in seggi è tutt’altro che irrilevante, ma anche il modo con cui si vota – compresi il giorno e la sede in cui ciò avviene – ha la sua importanza. E, invece, questo aspetto passa sotto silenzio, come se fosse un fatto naturale la perpetuazione di un rito codificato da una normativa divenuta, in alcuni punti, inesorabilmente anacronistica, perché pensata in relazione a una società (quella degli anni Cinquanta) che ben poco ha a che spartire con quella attuale.

Non mi riferisco all’introduzione del voto elettronico, peraltro problematica, ma a questioni molto più semplici.

È il caso, ad esempio, del luogo in cui si tengono i comizi elettorali (per usare il “neologismo” ancora caro al legislatore), che tradizionalmente coincide con gli istituti scolastici, e in particolare le scuole primarie, le quali (al tempo in cui ancora rispondevano all’appellativo di “elementari”) offrivano il vantaggio di una diffusione capillare sul territorio. Sennonché, oggi non solo vi è il problema che molte sedi non sono più operative, ma soprattutto con una frequenza molto più alta che in passato, le famiglie, quando non monogenitoriali, sono composte da genitori entrambi lavoratori, di modo che la chiusura scolastica nei giorni precedenti e seguenti quello della votazione nell’accudimento dei figli crea problemi che ben potrebbero essere evitati con l’utilizzo di sedi diverse.

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Con la pandemia si cambia sede

Ebbene, proprio la pandemia pare avere finalmente sensibilizzato il legislatore sul tema. Già in occasione delle consultazioni del settembre 2020, infatti, 1.464 sezioni elettorali di 471 comuni sono state spostate, per non interrompere un’attività didattica appena ricominciata dopo il lungo periodo di svolgimento a distanza. È accaduto, per esempio, a Pordenone, dove si è fatto ricorso a locali fieristici, e a Bergamo, utilizzando sedi comunali, musei e centri ricreativi. Insomma, proprio la necessità di non gravare ulteriormente sulla scuola, con ripercussioni sul diritto all’istruzione (pur continuando a ignorare le esigenze di conciliazione di vita lavorativa e familiare), ha finalmente indotto a un cambio di rotta.

Il Viminale ha istituito un tavolo di lavoro, il cui documento finale è stato indirizzato ai sindaci, tramite i prefetti, con la circolare n. 4/2021 del febbraio scorso, invitandoli a proseguire su quella strada, tenendo conto che ancora il 75 per cento dei seggi è in edifici scolastici in cui si svolge attività didattica. Laddove, sulla base della normativa, si potrebbero tranquillamente individuare strutture diverse: è infatti sufficiente che l’edificio sia facilmente raggiungibile e accessibile dalla strada e abbia spazi, dotazioni igieniche e di sicurezza adeguate. Parimenti, per la sala della votazione è semplicemente richiesto che abbia una sola porta, che vi si possano collocare quattro (o comunque non meno di tre) cabine con modalità tali da assicurare la segretezza del voto, anche in relazione alla distanza dalle finestre, e che vi siano spazi adeguati per dividere in due compartimenti il locale e consentire a tutti, ivi compresi i rappresentanti di lista e gli elettori, di girare intorno al tavolo alla chiusura della votazione. Lo stesso documento del gruppo di lavoro suggerisce di insediare le sezioni elettorali, oltre che negli uffici comunali, comprese le sale consiliari, nelle palestre, nelle biblioteche e ludoteche, nei mercati coperti e nelle strutture sanitarie per le quali sia cessato l’uso originario. Si potrebbe forse aggiungere nelle ex caserme.

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Lo stesso Parlamento, di recente, ha peraltro rilanciato, prevedendo, all’art. 23bis del “decreto Sostegni-bis”, un fondo di 2 milioni per coprire le spese dei comuni che, entro il 15 luglio, abbiano individuato edifici in cui spostare sezioni elettorali. Da qui la nuova circolare n. 25/2021, che a maggio ha invitato i prefetti a far confluire al Viminale entro il 20 luglio i dati sul numero di sezioni spostate e di studenti il cui diritto all’istruzione viene così salvaguardato.

Se poi, in alcuni comuni, la scelta deve essere fatta con urgenza (in autunno si voterà in Calabria per le regionali, oltre che in altre località della Penisola), mi sembra particolarmente apprezzabile il riferimento non esclusivo alla pandemia che si legge nei documenti del governo, che sembra così ambire a rendere probabilmente irreversibile questa tendenza. Segno di una maturata sensibilità che ci porterà – è auspicabile – a utilizzare edifici pubblici (ma perché, per esempio, non prevedere che le imprese, anche private, fornitrici di servizi pubblici mettano a disposizione spazi?) diversi dalle scuole per esercitare il diritto di voto.

Un piccolo ma importante passo, peraltro verosimilmente a costo molto contenuto, verso il superamento di un rito per certi versi eccessivamente vintage.

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  1. michele

    Concordo con tutto, usare le scuole per votare è fuori dal tempo e crea problemi ai genitori e perdita di tempo per i ragazzi! Aggiungo una cosa: per quale motivo pagare gli scrutatori e i presidenti di seggio quando si potrebbero usare tranquillamente gli impiagati comunali?

  2. Davide de Caro

    Una riflessione talmente di buon senso che non perseguirla adesso in maniera strutturale può solo suonare sospetto. Civilissimo anche lo spunto sull’uso degli spazi delle imprese: molte lo hanno fatto con ottimi risultati e beneficio pubblico per supportare la somministrazione dei vaccini – che credo sia un pochino più complicato di una gestione delle schede elettorali. Grazie per il contributo

  3. MICHELE LALLA

    La proposta è molto interessante, eppure, forse, vi sono difficoltà non menzionate e non banali. Esempio, fare entrare i votanti in un museo, lo ritengo problematico, e perfino in una biblioteca; occorre individuare quei luoghi/sale che hanno ingressi separati; poi, le palestre sono private in genere e devono essere pagate; le sale consiliari possono presentare gli stessi problemi delle sale di musei e biblioteche; le ex caserme sono spesso aree destinate alla riqualificazione urbana, nell’intanto si possono usare con qualche problematica organizzativa, ma credo risolubile.
    Davide ha apprezzato il riferimento all’uso dello spazio delle imprese, ma il voto è materia assai delicata, l’uso di uno spazio privato desta qualche perplessità e avrà un costo. E, POI, NESSUNO VUOLE PAGARE LE TASSE! Ricordiamolo ogni tanto, che le spese si possono affrontare SOLO se vi sono introiti.
    Michele propone l’uso del personale amministrativo. C’è già il suo uso in parte. Pensa di non pagarlo? Ha idea del lavoro di un presidente e/o di uno scrutatore: a volte lavora 24 ore su 24. Gli spetta, pertanto, un indennizzo, che è quello che dànno ai giovani che si spendono parecchio in quel lavoro.
    Conclusione: vi sono sempre molti aspetti da considerare, che spesso sono ignorati.
    Complimenti vivissimi all’autore, che ha posto un serio problema, che merita una seria soluzione.

  4. Mario

    Ci vuole l’election day fissato con un anno di anticipo così si programma l’anno scolastico tenendo conto che nei 3-4 giorni delle elezioni gli studenti sono in vacanza. Se c’è ballottaggio, i giorni mancanti si recuperano prolungando di 2 giorni la chiusura dell’anno scolastico.

  5. Roby

    Perché non fare un referendum per togliere i seggi dalle scuole. Magari con lo spid
    Ai politici non gli frega nulla delle avversità che comporta alla popolazione

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