Negli stadi italiani gli atteggiamenti e gli insulti razzisti verso i calciatori sono frequenti. Influenzano le prestazioni degli atleti coinvolti? Le partite senza pubblico in tempo di pandemia danno una risposta, utile anche fuori dai campi di calcio.

Il razzismo negli stadi

In molti paesi si verificano regolarmente episodi di molestie razziali da parte di tifosi contro giocatori di calcio (o tra giocatori stessi). In Italia, ad esempio, non sono pochi gli episodi di razzismo registrati all’interno degli stadi negli ultimi anni, molto spesso coinvolgendo anche giocatori appartenenti a squadre di Serie A. La matrice degli insulti è quasi sempre legata alle origini etniche dei calciatori.

Il problema non sembra destinato a risolversi se, appena qualche settimana fa, i giocatori della nazionale inglese sono stati subissati da pesanti ululati mentre erano inginocchiati in solidarietà con la campagna “black lives matter”.

È ovvio che combattere il razzismo nel calcio è un imperativo morale, ma poco si sa dell’impatto delle molestie razziali sulle prestazioni degli atleti presi di mira. Si può ipotizzare, ad esempio, che l’intimidazione ne abbassi la qualità e sia quindi dannosa per lo sport. Studiare questo meccanismo servirebbe quindi lo scopo più ampio di far luce sull’effetto del razzismo sulla produttività degli agenti economici.

Lo studio

La pandemia di Covid-19 ha generato un esperimento naturale per testare l’ipotesi, analizzata in uno studio uscito a dicembre 2020 dal titolo “When the Stadium Goes Silent: How Crowds Affect the Performance of Discriminated Groups”.

All’inizio di marzo 2020, il principale campionato di calcio italiano (Serie A) è stato interrotto nel tentativo di prevenire la diffusione del virus ed è ripreso a fine giugno con partite giocate senza pubblico negli stadi. Poiché nel nostro paese le intimidazioni razziste dei tifosi contro i giocatori sono frequenti e ampiamente documentate, l’esperimento naturale consente di verificare se le minoranze più comunemente soggette ad abusi subiscono un cambiamento differenziale nelle prestazioni quando lo stadio tace. L’Italia è particolarmente adatta a questo studio grazie alla disponibilità di dati dettagliati sulle prestazioni dei singoli giocatori per ogni partita, basati su un algoritmo ampiamente utilizzato.

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L’analisi conclude che i giocatori provenienti dall’Africa, quelli più comunemente presi di mira da abusi razzisti durante le partite, mostrano un significativo miglioramento delle prestazioni quando i tifosi non sono più allo stadio (figura 1). L’analisi tiene conto di un’ampia gamma di fattori, comprese le caratteristiche del giocatore e le condizioni in cui si svolge la partita, come il meteo.

Il secondo risultato del nostro lavoro è che le prestazioni migliorano in modo più sostanziale tra i giocatori africani le cui squadre sono state oggetto di abusi razzisti prima del lockdown. Il risultato si ottiene sommando all’analisi i dati sugli episodi di condotta razzista che sono stati ufficialmente registrati dalle autorità italiane nella prima parte della stagione. Ciò corrobora l’ipotesi che il razzismo giochi un ruolo importante. Una serie di analisi di robustezza esclude cause concorrenti, compresi i cosiddetti choke effects causati da grandi folle indipendentemente dal razzismo, mancanza di esperienza e differenze nelle condizioni atletiche dei calciatori che potrebbero aver generato un vantaggio per alcuni dopo la prolungata interruzione del campionato.

La produttività dei gruppi discriminati

I risultati si inseriscono in un quadro più ampio che si estende oltre il mondo dello sport e dimostra gli effetti nefasti del razzismo sulla produttività. L’analisi indica che quando un lavoro si svolge in un ambiente in cui si manifestano apertamente comportamenti discriminatori, gli individui che appartengono a gruppi storicamente discriminati ottengono risultati peggiori dei loro colleghi.

Più in generale, lo studio si inserisce all’interno di una letteratura in continua crescita, che documenta il ruolo della discriminazione razziale nel guidare le disparità nel mercato del lavoro (ad esempio, Kevin Lang e Ariella Spitzer, 2020; Anna Aizer, Ryan Boone, Adriana Lleras-Muney e Jonathan Vogel, 2020; Patrick Bayer e Kerwin Kofi Charles, 2018).

Poiché la ricerca mostra che i calciatori discriminati giocano meglio senza i tifosi presenti, mentre nessun altro gruppo fa peggio, l’evidenza suggerisce che gli abusi razzisti portano a una diminuzione complessiva della produttività e dell’efficienza. La questione ha attirato l’attenzione dei media, che hanno riportato statistiche frutto di analisi preliminari uscite dopo il nostro studio e in linea con il nostro risultato (The Economist).

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Occorre anche sottolineare che i risultati sono particolarmente significativi perché riguardano atleti d’élite, i migliori nella loro professione, che godono generalmente di guadagni elevati, oltre che di uno status sociale invidiabile. Sarebbero necessarie ulteriori indagini per testare l’impatto del razzismo sulle prestazioni degli atleti nelle leghe di livello inferiore e soprattutto tra i giovani, dove si può immaginare che gli effetti della discriminazione siano ancora più rilevanti e dannosi.

Infine, i risultati portano alla conclusione che il razzismo può causare danni economici all’industria del calcio nel suo insieme. Come altri sport, prospera quando fan di tutto il mondo cercano di emulare giocatori straordinari che offrono prestazioni oltre il “normale”. Quando una quota significativa di loro non riesce a esprimere tutto il proprio potenziale, il “bel gioco” diventa meno bello.

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