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Quote di genere e non solo: così migliorano i servizi pubblici*

Grazie a due riforme che intervengono sulla governance societaria, nei Cda delle società a controllo pubblico è aumentata la quota di donne e diminuita quella dei politici. E anche i risultati aziendali ne hanno tratto beneficio.

Due leggi per la governance societaria

La qualità della governance, una dimensione di estrema rilevanza per la performance delle imprese private, è ancora più determinante nel caso delle società pubbliche. Operando spesso in settori meno esposti alla concorrenza e non essendo soggette ad altre spinte del mercato (come la possibilità di fallire o di essere scalate), che incentivano le società private a perseguire l’efficienza, per le pubbliche la governance rappresenta un presidio cruciale. Anche per tale ragione, negli ultimi anni sono stati adottati diversi interventi normativi volti a influenzare la selezione e la composizione dei loro consigli di amministrazione. La legge “Golfo-Mosca” (n. 120/2011) ha previsto per le società a controllo pubblico (come per le società quotate) l’obbligo di garantire adeguata rappresentanza a entrambi i generi negli organi amministrativi. La riforma Severino (L 190/2012 e Dlgs 39/2013) ha invece posto dei limiti al conferimento degli incarichi a soggetti che hanno ricoperto incarichi politici o che sono stati condannati per reati contro la pubblica amministrazione.

In un recente lavoro abbiamo analizzato gli effetti di queste riforme mettendo a confronto (con il metodo delle “differenze nelle differenze”) le imprese a controllo pubblico – ovvero quelle in cui le pubbliche amministrazioni detenevano una quota di maggioranza – con quelle partecipate con quote di minoranza, sfruttando il fatto che solo le prime sono state interessate dalla riforma. Dopo aver verificato l’impatto dei provvedimenti sulla composizione degli organi amministrativi e la validità della strategia di identificazione, abbiamo studiato l’effetto causale delle riforme in termini di performance dell’impresa e di qualità dei servizi resi.

Migliora la qualità dei consigli di amministrazione

La prima buona notizia è che i due interventi normativi hanno avuto l’effetto sperato: nei consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico è aumentata la quota di donne e diminuita quella dei politici (figura 1). In particolare, la partecipazione femminile è più che raddoppiata, passando dal 10 per cento nel 2011 al 22 per cento nel 2018 (dal 10 per cento al 27 per cento se escludiamo le imprese con l’amministratore unico per le quali la legge non era vincolante). La quota di individui che prima di svolgere la funzione di amministratore aveva ricoperto incarichi politici a livello locale è invece diminuita di 6 punti percentuali, dal 32 al 26 per cento.

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La ricomposizione degli organi amministrativi ha inoltre coinvolto dimensioni non direttamente interessate dagli interventi normativi: è infatti diminuita la quota di amministratori anziani ed è aumentato in media il “talento” degli amministratori (misurato dall’impatto, a loro riconducibile, sulla produttività di tutte le imprese che hanno gestito). A quest’ultimo risultato hanno contribuito un miglioramento dei meccanismi di selezione tra gli uomini, sia tra i politici sia tra i non politici e l’ingresso di donne più capaci (rompendo, quindi, il “soffitto di cristallo”). Tuttavia, le donne continuano a essere nominate per incarichi di minore responsabilità, poiché quelli esecutivi (ad esempio, amministratore delegato) continuano a essere in larga parte appannaggio degli uomini.

Figura 1b – Quota di soggetti con pregressi incarichi politici tra gli amministratori

Nota: i punti nelle figure rappresentano la quota di donne e di soggetti che hanno ricoperto incarichi politici a livello locale per ogni anno e per i due diversi gruppi di imprese: le società controllate dalle pubbliche amministrazioni (colore blu) e le società con quote pubbliche di minoranza e quindi non oggetto delle riforme (colore arancione). Nella figura 1b, l’asse di sinistra (destra) si riferisce alle società controllate (con partecipazioni di minoranza)

Migliora la percezione degli utenti e la qualità dei servizi resi

Quali sono i possibili effetti del miglioramento della governance nelle società pubbliche? Nel settore privato, è associato a una maggiore efficienza della società e alla massimizzazione del profitto dei soci, oltre che alla riduzione di alcune esternalità negative, qualora si considerino anche gli obiettivi legati allo sviluppo sostenibile (“Esg”). Nel caso delle società pubbliche, agli obiettivi di efficienza se ne affiancano (talvolta mettendoli anche in secondo piano) altri connessi con il benessere sociale, come l’universalità, l’accessibilità e la qualità dei servizi pubblici erogati. Un modo per rispondere alla domanda iniziale è quindi quello di guardare sia alla performance economica dell’impresa pubblica sia alla qualità dei servizi da essa offerti.

Se al miglioramento della governance non sembra seguire quello della produttività, troviamo invece effetti positivi su alcuni indicatori economico-finanziari: in particolare, si notano una riduzione della leva finanziaria e del rischio di credito e un aumento della profittabilità. Inoltre, i cambiamenti nella governance nelle società che forniscono servizi pubblici locali (trasporti, energia, gas, raccolta dei rifiuti e servizio idrico) hanno indotto un miglioramento nella valutazione, da parte degli utenti, della qualità dei servizi offerti. Anche guardando ad alcuni indicatori oggettivi (ad esempio, la quota di raccolta differenziata nel caso dei rifiuti o la quota di acqua dispersa nella rete idrica) si registrano progressi nel periodo successivo alle riforme.

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In conclusione, le riforme che hanno interessato la governance delle società pubbliche a partire dal 2011 non solo hanno raggiunto i loro obiettivi in termini di rappresentanza, ma si sono anche rivelate utili per migliorare i risultati delle imprese.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza.

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  1. Alfredo Bester

    Non mi sembra uno studio convincente: gli autori non considerano che a partire dal 2007, con Monti e la spending review etc e poi con la legge Madia le regole sui CDA sono cambiate per legge sotto diversi parametri: limiti quantitativi, tetto dei compensi, obbligo di amministratore unico etc.
    I provvedimenti esaminati nello studio sono soltanto una piccola parte di questo “pacchetto” di riforme.
    Per provare veramente quello che dicono, dovrebbero verificare la robustezza delle loro conclusioni valutando anche altre varabili per tutte le riforme che sono state approvate in quel periodo.
    Mi spiego meglio, visto che le quote di genere nei CDA vengono assicurate facendo ricorso al meccanismo del voto lista, potrei facilmente “provare” statisticamente che l’adozione del voto di lista migliora gli stessi parametri esaminati nello studio, ma è evidente che una conclusione di questo tipo sarebbe palesemente errata.

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