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Anche le selezioni hanno un costo

Preparare la domanda di ammissione a un master ha un costo notevole in termini di tempo e impegno. Ma anche di denaro: la cifra minima supera spesso i 400 euro. Una buona parte degli studenti non hanno le risorse necessarie per accedere alla competizione. Una soluzione interna al sistema educativo.
QUANTO COSTA PREPARARSI
Esiste un prezzo da pagare per essere considerati dalle università? Per uno studente che ambisca a proseguire la propria carriera con un master, il costo di un processo di selezione non è indifferente. L’offerta di piani di studio ormai è passata da una scala nazionale a una globale. Virtualmente, le università di tutto il mondo sono pronte ad accogliere studenti provenienti da qualsiasi nazione. Tuttavia, data la potenziale eterogeneità dei candidati, esistono strumenti standardizzati di valutazione. Si tratta di esami di certificazione della conoscenza di una lingua straniera (Toefl e Ielts per l’inglese, per citare due dei più conosciuti) e di test di logica verbale e matematica (Gmat, Gre), somministrati da Ets e Pearson Vue (Ielts escluso), giganti della formazione certificata.
Consideriamo uno studente di economia che, dopo aver conseguito la laurea triennale, voglia proseguire la sua formazione con un Master of Science in Economics, in Europa o negli Stati Uniti. È solo uno dei possibili esempi. Infatti, il discorso si può facilmente estendere alle altre discipline, comprese quelle umanistiche. Vale la pena sottolineare che il sistema di selezione, nelle sue linee generali, è legato alla natura del programma, indipendentemente dall’università che lo offre. A questo proposito, bisogna però aggiungere che in Italia, salvo rare eccezioni (ad esempio la Bocconi), per l’ammissione ai master gli atenei richiedono meno documenti rispetto alla media.
Tra i materiali generalmente richiesti per la compilazione della domanda, i seguenti sono a pagamento:
a)       certificato di conoscenza della lingua (qui consideriamo l’inglese);
b)       certificato Gre o Gmat;
c)       trascrizione del curriculum studiorum in inglese;
d)       copia del certificato di laurea;
e)       pagamento di una tassa non rimborsabile (non tutte le università la prevedono).
Il prezzo dei certificati di lingua è rispettivamente 240 dollari per il Toefl (circa 177 euro) e 195 euro per l’Ielts. In genere, gli studenti comprano un libro per prepararsi, acquistabile su amazon.it a 25 euro (spese di spedizione escluse). La tassa di iscrizione al Gre è pari a 185 dollari (137 euro), cui si aggiunge il prezzo del testo per esercitarsi, sempre intorno ai 25 euro. Il Gmat invece costa 250 dollari (184 euro) e per la preparazione vale lo stesso discorso. Inoltre, c’è una tariffa extra da pagare per eventuali cambiamenti della data e per ogni duplicato dell’attestato finale. Questi test hanno una struttura particolare. Per superare con successo le varie prove, è necessario non solo possedere un’ottima conoscenza della lingua – sono somministrati esclusivamente in inglese – ma anche entrare nella logica. Nella maggior parte dei casi, poi, le università impongono un’ulteriore soglia di sbarramento: un punteggio minimo per ogni test. C’è il rischio quindi che lo studente debba sostenere lo stesso esame più di una volta. Considerate le difficoltà, molti ragazzi decidono di frequentare privatamente corsi di preparazione (sono pochi quelli offerti a prezzo ridotto dalle istituzioni pubbliche) o, allo stesso scopo, di prendere lezioni private.
Per avere un’idea dei costi, sarà sufficiente un esempio. A Roma, un centro di lingua offre corsi di preparazione per uno dei citati test di inglese. Il prezzo per 15 ore è di 320 euro mentre per 45 ore è di 730 euro. In generale, la tariffa per le lezioni private va da un minimo di 25 a un massimo di 50 euro l’ora. Bisogna aggiungere poi i costi dei documenti ufficiali. Di norma, bisogna pagare una o due marche da bollo (14,62 euro). Infine, alcune università europee (Ucl, Barcellona Gse) e molte di quelle americane prevedono una tassa non rimborsabile, che in genere varia dai 30 ai 75 euro. Considerando poi che di prassi gli studenti fanno domanda in più atenei, alcuni dei costi si moltiplicano.
UNA CERTIFICAZIONE ITALIANA
Sommando al minimo tutte le voci si ottiene un valore che oscilla tra i 400 e i 500 euro (corsi di lingua/preparazione esclusi). Per molti degli studenti italiani, questa cifra corrisponde a oltre il 100 per cento delle tasse di un intero anno universitario. Già il solo processo di selezione esclude quindi buona parte di coloro che frequentano gli atenei del nostro paese. Gli strumenti standardizzati sono l’unico sistema utilizzato fino a ora dalle università per poter operare una selezione basata su criteri uniformi e trasparenti. Resta però una questione da chiarire. Chi dovrebbe effettivamente sostenere i costi di un processo di questo genere? Se, come accade ora, il sistema fa interamente affidamento sulle finanze private degli studenti, allora le possibilità si chiudono attorno a un cerchio molto stretto. Tra gli esclusi potrebbero esserci ragazzi più o meno brillanti, che però non avranno nessuna occasione di proseguire la propria carriera in un contesto internazionale. Non avranno nemmeno la possibilità di mettersi alla prova con gli altri candidati. Una selezione è di per sé un processo formativo, che contribuisce al percorso di crescita personale. Infatti, una domanda di ammissione prevede un iter laborioso, che richiede un impegno notevole da parte dello studente e un investimento importante in termini di tempo. Bisogna richiedere lettere di presentazione, preparare essays e personal statements: temi in cui bisogna motivare le proprie scelte e presentare i propri obiettivi.
Dovrebbe essere il sistema educativo nazionale a rendere la competizione equa, dotando tutti degli stessi strumenti? Probabilmente sì. Comunque, non si tratta solo di giustizia. Nelle scuole italiane, i test Invalsi hanno già introdotto da qualche anno l’idea di misurazione standardizzata delle competenze. Si tratterebbe quindi di estendere un discorso già iniziato, proponendo nelle scuole un test di logica verbale e matematica in lingua inglese (eventualmente potrebbe essere inserito all’interno delle rilevazioni Invalsi nella scuola secondaria superiore). Se le università estere riconoscessero questo esame, i benefici sarebbero due. Da un lato, si eviterebbe la moltiplicazione delle certificazioni; dall’altro, gli studenti avrebbero la possibilità di segnalarsi senza dover sostenere privatamente costi aggiuntivi. In questo modo, le prospettive sarebbero realmente – non virtualmente – le stesse per tutti.
 
 
 
 

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11 commenti

  1. Dave

    L’articolo e’ interessante ma confusionale: leggendolo sembra che il corso e il certificato d’inglese, il corso e il certificato Gmat, la trascrizione del curriculum studiorum in inglese, e la copia del certificato di laurea dopo la selezione non servano piu’. Non e’ cosi’. Sopratuttutto le competenze imparate durante il corso d’inglese, il certificato d’inglese, le competenze imparate durante il corso Gmat, il certificato Gmat, sono utilissimi per tutta la vita. I soldi spesi per questi non sono “costi”, ma “investimenti”.

  2. Janz

    a me pare invece molto chiaro… mi sembra che l’autrice metta soprattutto l’accento sul funzionamento del sistema delle certificazioni e non sull’utilità della certificazione in quanto tale. Definirlo costo o investimento é una sottigliezza sulla quale non sono neanche troppo d’accordo. Anche se lo consideriamo un investimento, c’é sempre un esborso da effettuare e ci sono difficoltà materiali connesse a questo esborso relativamente a singoli soggetti.

  3. Elena

    Il problema è che ci alziamo ma non camminiamo… Laurea Triennale Laurea Magistrale Master stage conoscenza lingua inglese meglio se altre essere stato all’estero almeno 3/4 mesi anche tutto questo costa e costa molto di più se non serve a niente se alla fine finisci a sistemare i prodotti negli scaffali della coop… che è molto meglio di niente.

  4. Elena

    Secondo me diventano costi se non sono serviti a nulla di nulla…

  5. Valeria Cipollone

    Il punto è che per investire bisogna comunque sostenere dei costi. Non metto in dubbio che certe competenze, una volta certificate, possano essere utili nell’arco dell’intera vita. Tuttavia, resta il fatto che una fascia importante di studenti viene totalmente tagliata fuori da questi scenari, proprio perché non hanno i mezzi per sostenere autonomamente le spese di tutto il processo. Il problema di equità del sistema (e di accesso a determinate competenze) diventa ancora più grave quindi, se consideriamo che queste conoscenze sono utili anche al di là della specifica esigenza di ammissione al master.

  6. Nologo Stuff

    Posso dire una cosa? voi siete fuori come un balcone. In quale mondo immaginate i giganti della certificazione o le università estere accettare la parificazione tra le loro certificazioni standard e il test Invalsi fatto da boh il ministero dell’Istruzione italiana o il Miur? Secondo me è poco probabile. Io ho fatto la specialistica all’estero tra mille difficoltà sopratutto a causa del fatto che non ho una famiglia che mi ha sostenuto economicamente alle spalle eppure son riuscito a fare il toefl, iscrivermi all’università all’estero (dove mi hanno chiesto solo 100€ di tassa per controllare i documenti) e laurearmi all’estero. Ora sono “felicemente” disoccupato o in cerca di lavoro che dir si voglia. Saluti.

  7. Sandro (Bologna)

    Davvero complimenti per l’articolo e per aver messo a fuoco il tema strategico della Certificazione delle Competenze che recentemente è tornato anche al centro delle attenzioni del nostro legislatore con il DL13/2013 ( http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dettaglio-news/-/dettaglioNews/viewDettaglio/24993/11210 ).
    Se le Scuole e le Università iniziassero ad inserire nei propri curricula, oltre a tutto quanto richiesto per l’ottenimento del titolo di studio “formale”, anche il supporto necessario per consentire ai propri studenti, prima della conclusione degli studi, di ottenere una o più certificazioni internazionali già universalmente diffuse e riconosciute, farebbero un ottimo servizio alla immagine del proprio istituto, aumenterebbero la propria “attrattività” e, di riflesso, contribuirebbero ad elevare la competitività del Paese.
    Che ne pensi ?
    Grazie ancora,
    Sandro.

    • Valeria Cipollone

      Sandro, ti ringrazio molto per i complimenti. Se il sistema attuale resta tale (con il monopolio delle società che producono i test), per poter permettere a tutti gli studenti (indipendentemente dal reddito) di ottenere delle certificazioni, la collettività deve farsi carico dei costi. Le strade possibili sono due: o INVALSI disegna un test che venga equiparato a TOEFL, GRE,ecc.. oppure il Ministero finanzia i singoli esami (magari attraverso delle convenzioni o delle formule specifiche). Non si tratta solo di immagine, si tratta appunto di aumentare l’equità della competizione internazionale (e non). Proprio per questo, tutte le università dovrebbero prevedere questa opzione. Questo certamente aumenterebbe anche la competitività del Paese, ma credo che di contro qualcosa si dovrebbe muovere anche sul piano del mercato del lavoro. Altrimenti, come dice Elena in un precedente commento, finiremmo per diventare super qualificati ma senza una reale possibilità di trovare sbocchi lavorativi all’altezza delle nostre competenze. Tu che ne pensi?

      • Sandro (Bologna)

        Penso che le Università (e anche le Scuole superiori) dovrebbero far “uscire” gli studenti con il loro bel titolo di studio E ANCHE con un ricco repertorio di competenze certificate. Di quelle che già esistono e che hanno valore di mercato nel mondo (non solo in italia o in europa).
        Ad esempio: sono uno studente di ingegneria informatica.
        Bene: al terzo anno il mio curriculum prevede un Insegnamento che si chiama “Networking” che mi prepara a sostenere l’esame di profitto (e ad acquisire i relativi crediti formativi) e che, contemporaneamente, mi prepara alla certificazione CISCO CCNA.
        E l’esame di certificazione CCNA lo posso sostenere presso un centro-esami allestito dentro l’Università senza dovermi “arrangiare” cercando all’esterno.
        Alla fine del mio percorso di studio avrò il mio Titolo (formale) di Ingegnere Informatico PIU’ tutta una serie di certificazioni già acquisite e immediatamente “spendibili” sul mercato del lavoro EUROPEO perchè già ampiamente conosciute e riconosciute in base al loro valore “di mercato” senza bisogno di complessi meccanismi di ri-mappatura formale delle qualifiche tra le diverse nazioni.
        Lo stesso dicasi per le lingue: il corso di Inglese che seguo all’università, ad esempio, mi prepara anche per sostenere la certificazione TOEFL e mi prendo il certificato (se voglio) rimanendo dentro l’Università che è in grado di darmi anche questo servizio.
        E si possono fare tanti altri esempi.
        L’euro-zona, si sa, non è una Area Valutaria Ottimale (e ce ne stiamo accorgendo) anche perchè non c’è la piena mobilità del lavoro dato che non esiste un mercato del lavoro integrato di livello continentale a causa (anche) delle differenti architetture dei sistemi formativi e delle qualifiche tra le varie Nazioni che ostacolano il processo di riconoscimento.
        Il Processo di Bologna, è vero, ha tracciato da tempo le linee guida per l’armonizzazione dei cicli della istruzione superiore e le Nazioni stanno progressivamente convergendo verso questo modello. L’EQF stabilisce i criteri per normalizzare i livelli di tutti i titoli e di tutte le qualifiche chiedendo ad ogni Nazione di farvi riferimento istituendo i propri NQF e i propri Repertori nazionali.
        Un disegno molto bello ed ambizioso, ma terribilmente lento (sicuramente più lento della crisi) … e portato avanti con un approccio “legale”, top-down, a colpi di direttive europee a cui seguono, dopo anni, i “decreti” attuativi in ambito nazionale che poi richiedono altri anni per tradursi in prassi operativa.
        Inseguire lo standard “de iure” è importante e va fatto.
        Ma, nel frattempo, cerchiamo di sfruttare a nostro vantaggio anche lo “standard de facto” che si è già affermato e favoriamo la circolazione e la l’acquisizione di tutte le cerficazioni che esistono già e che il mercato del lavoro mondiale è già disposto ad accettare e riconoscere.
        Perchè le Università italiane dovrebbero sottrarsi da questa missione ?
        Non è nei loro obblighi favorire la piena occupabilità dei propri laureati ?
        E non ne trarrebbero anche un immediato vantaggio in termini di attrattività e “appeal” verso i nuovi (e sempre minori) potenziali studenti ?
        Ho l’impressione che chi parte per primo arriva primo, soprattutto adesso che siamo tutti inseguiti dalla “crisi”.

  8. claudia

    Verissimo, ricordo benissimo l’ansia di quando cercavo di procurarmi tutta la documentazione necessaria. Senza contare che oltre al costo del toefl ho dovuto anche comprare il libro per gli esercizi e sono andata 2-3 volte a lezione per prepararmi meglio…

  9. Raffaella

    Si fa confusione fra competenze e conoscenze. I titoli di studio, in ottica europea, sono equiparati in base alla certificazione delle competenze, mentre i test INVALSI certificano delle conoscenze, che sono cosa diversa. Il titolo scolastico di scuola superiore certifica conoscenze e competenze che consentono l’iscrizione all’università. Sarà il titolo universitario che dovrà preoccuparsi delle certificazioni d’accesso al master. Che c’entra la scuola superiore?!?

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