L’uguaglianza tra uomini e donne è stato un obiettivo fondamentale in Cina. Ma con la politica del figlio unico le donne sono state discriminate ancor prima di nascere. E la loro situazione continua a peggiorare. Con gravi conseguenze sociali ed economiche.

Venticinque anni dopo la Dichiarazione di Pechino

Nell’ottobre del 2020, in occasione del 75° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, è stato commemorato anche il 25° anniversario della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne tenutasi a Pechino. In quell’occasione, 189 paesi hanno concordato di rendere prioritaria la “piena e uguale partecipazione delle donne alla vita politica, civile, economica, sociale e culturale a livello nazionale, regionale e internazionale, e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione basata sul sesso”. Oggi il suo obiettivo è ancora quello di promuovere l’uguaglianza di genere e lo sviluppo delle donne in tutto il mondo. Infatti, “Venticinque anni dopo la Dichiarazione di Pechino, l’uguaglianza dovrebbe essere un dato di fatto. Ma abbiamo ancora molta strada da fare”, ha detto Angela Merkel. Rivolgendosi all’Assemblea generale, il presidente cinese Xi ha dichiarato che, dopo 25 anni, lo status sociale delle donne in Cina è significativamente più alto, con sempre più donne in ruoli professionali elevati, ma in realtà l’uguaglianza di genere e l’empowerment sono ancora molto lontani e sono ancora obiettivi importanti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Discriminate ancor prima di nascere

Se in quasi tutti i paesi del mondo la disparità di opportunità, diritti e trattamento delle donne rispetto agli uomini è ancora irrisolta, in Cina assume contorni senza eguali. Non solo la discriminazione è peggiorata nettamente negli ultimi 15 anni, ma la Cina è l’unico paese al mondo in cui le donne sono discriminate ancor prima di nascere: secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica cinese, sarebbero oltre 30 milioni le “donne mancanti”, ovvero abortite o, nel migliore dei casi, non registrate alla nascita. Di conseguenza, in Cina vi è un enorme squilibrio di genere al contrario: la popolazione maschile supera quella femminile, a differenza di quanto accade nel resto del mondo.

In media, nel mondo il rapporto tra i sessi alla nascita non è uguale, in ogni paese nascono più maschi che femmine – in ragione di circa 105 maschi ogni 100 femmine. Ma in Cina si è arrivati fino a 118 a metà del decennio scorso e oggi è ancora oltre 114. Nel 2019, i gruppi di età con i rapporti di genere più squilibrati (maschi per 100 femmine) erano 10-14 anni e 15-19 anni. Qui i rapporti di genere erano 119,10 e 118,39, rispettivamente, il che significa che c’erano circa 120 bambini ogni 100 bambine. I dati mostrano che, nel 2019, la provincia del Sichuan è diventata l’unica ad avere più donne che uomini, con il suo rapporto di genere al 96,7. Secondo Peng Xizhe, direttore del Fudan University Center for Population and Development Policy Studies, la provincia ha il più alto invecchiamento della popolazione, in quanto è quella con il più grande deflusso di giovani lavoratori verso altre province. In tutta la Cina, le donne vivono in media cinque anni in più degli uomini.

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All’origine dello squilibrio, è la famigerata “politica del figlio unico” introdotta nel 1979 per prevenire il boom demografico. Se l’obiettivo immediato è stato conseguito, le conseguenze di medio-lungo periodo sono devastanti, non solo socialmente ma anche economicamente. Per questo a partire dal 2013 il governo cinese l’ha progressivamente abolita. Oggi è illegale in Cina identificare il sesso prima della nascita per scopi non medici, o interrompere la gravidanza per preferenza di genere. Lo squilibrio di genere nella popolazione cinese è migliorato negli ultimi anni, con il divario che si è ridotto da un record di 40,08 milioni nel 2006 a 30,49 milioni nel 2019, per effetto della tendenza all’invecchiamento della popolazione e degli sforzi per reprimere l’identificazione illegale del sesso del feto e la selezione illegale del genere. Ma i danni restano irreparabili.

Figura 1 – Rapporto maschi-femmine alla nascita, 1950-2017 (misurata sul numero di maschi nati ogni 100 femmine nate).

Lo squilibrio è aumentato vertiginosamente dopo il 2000 e nella popolazione in “età da matrimonio” (20-29 anni) è ancora più preoccupante. Il rapporto di genere tra le persone di età 20-24 e 25-29 ha raggiunto 114,61 e 106,65, rispettivamente, indicando che almeno un uomo su 11 non sarebbe in grado di sposarsi con una donna della stessa età. Secondo Peng, lo squilibrio di genere causerà una compressione del matrimonio tra 20 e 30 anni, specialmente nelle aree remote, rurali e povere, e porterà anche a un calo del tasso di natalità e di fertilità. Nel 2019 sono nati 14,65 milioni di bambini, 580 mila in meno del 2018. Nel 2017, invece, ne erano nati 17,23 milioni. Sempre nel 2017, il tasso di natalità era di 12,43 nascite per mille abitanti. Il tasso di fertilità, secondo le statistiche ufficiali, si aggira intorno agli 1,5 figli per donna (sebbene alcune stime, per esempio quella di Yi Fuxian, ricercatore indipendente dell’Università del Wisconsin-Madison, indichino che già nel 2015 era in realtà di appena 1,05 figli per donna).

Insieme all’aumento dell’età media e mediana (che oggi è di 38 anni, raggiungerà i 48 anni nel 2050), proprio la riduzione drammatica del tasso di fertilità è uno dei fattori da cui dipenderà la significativa decelerazione della crescita cinese, già a partire dal 2022. Di questo passo la Cina diventerà molto presto un paese vecchio, di figli unici e soli, con un’età media di 56 anni nel 2020 e una popolazione in età da lavoro inferiore ai 600 milioni. Infatti, l’abolizione della politica del figlio unico ha sortito ben pochi effetti, dato il grande squilibrio esistente tra i sessi e l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro.

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Passi indietro sull’uguaglianza

Ma non c’è solo il genocidio nascosto perpetrato per facilitare la crescita economica: la discriminazione delle donne è continua ed è persino peggiorata nell’ultimo decennio.

L’uguaglianza tra uomini e donne è stata una politica statale fondamentale in Cina: nel 1950 la legge sul matrimonio ha accordato alle donne il diritto di proprietà, di divorzio e di libertà di scelta nel matrimonio. Oggi ci sono più di 100 leggi e regolamenti per proteggere pienamente i diritti e gli interessi delle donne e la Cina è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità come uno dei dieci paesi che più si impegna per la salute delle donne e dei bambini. Il divario di genere nell’istruzione obbligatoria è stato ampiamente colmato. Le donne rappresentano più del 40 per cento della forza lavoro del paese, e più della metà delle imprese cinesi su internet sono create da donne. Ma nel 2011 la Corte suprema del popolo ha reinterpretato la legge sul matrimonio, regredendo rispetto ai principi della rivoluzione comunista. La nuova interpretazione sostiene che la proprietà nel matrimonio spetta solo al titolare dell’abitazione, che di solito è intestata al marito. Secondo un sondaggio di Horizon China e iFeng.com del 2012, solo il 30 per cento degli intestatari include una donna, nonostante oltre il 70 per cento di loro contribuisca all’acquisto.

La discriminazione tende a peggiorare non solo la condizione individuale, ma anche il quadro complessivo: se “metter su famiglia” comporta sacrifici così grandi, meno donne faranno questa scelta.

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