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Capitale di rischio per far crescere le imprese

È necessario un riequilibrio delle fonti di finanziamento delle aziende italiane, con un maggior ricorso all’equity. Una struttura patrimoniale più solida dà la possibilità di vincere la sfida della crescita dimensionale. Ma servono scelte precise.

La ricerca sulle aziende italiane

La struttura patrimoniale e finanziaria delle imprese rappresenta da tempo uno dei temi centrali nel dibattito sul tessuto imprenditoriale del nostro paese e non solo. Quali sono le conseguenze della struttura patrimoniale e finanziaria sulla redditività delle imprese italiane e sulla loro capacità di crescere?

Per rispondere a queste domande, l’Osservatorio Aub (Aidaf-UniCredit-Bocconi), con il contributo di Fsi (il più grande fondo di private equity dedicato all’Italia), ha condotto una ricerca sulla popolazione delle aziende italiane con fatturato superiore a 20 milioni di euro – erano 16.845 unità agli inizi del 2018. In particolare, l’analisi ha testato la relazione tra il livello di equity e la redditività e la crescita delle imprese.

I risultati mettono in evidenza una relazione positiva e statisticamente significativa tra il livello di equity di partenza (anno 2014) e la redditività e la crescita nei 5 anni successivi. il risultato non è influenzato da altri fattori (come l’età dell’azienda, la dimensione di partenza e il settore di appartenenza) ed è robusto anche utilizzando finestre temporali diverse.

Sono state condotte anche due ulteriori analisi che confrontano le aziende con un livello di indebitamento di partenza sopra e sotto la mediana e le aziende con un livello di indebitamento di partenza nel primo e ultimo quartile. In entrambi i casi, le imprese con un livello di equity più elevato sono quelle che mostrano una correlazione positiva più forte con le misure di performance nei 5 anni successivi.

La seconda parte della ricerca ha analizzato il legame tra la struttura patrimoniale e finanziaria e le performance delle aziende target selezionate dagli operatori di private equity. Partendo dalle aziende italiane oggetto di investimento da parte di fondi di private equity nel periodo 2007-2018 (379 operazioni in totale) sono state testate le relazioni tra il livello di equity dell’azienda target e il tasso di crescita delle immobilizzazioni totali. I risultati mostrano che i fondi di private equity hanno un impatto tanto maggiore sulla crescita delle immobilizzazioni di un’azienda quanto minore è il livello di debito iniziale dell’azienda target.

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Il ricorso al canale bancario ha tradizionalmente caratterizzato il sistema imprenditoriale italiano. Ora, le misure messe in atto a seguito della pandemia, con la possibilità di ricorrere a nuovo debito garantito dallo stato, hanno certamente aumentato il livello di debito delle imprese.

Scelte da compiere

I risultati della ricerca consentono di sottolineare la necessità di un riequilibrio delle fonti di finanziamento con un maggior ricorso all’equity. Nei prossimi anni tutte le aziende italiane saranno sottoposte alla sfida della crescita dimensionale (anche tramite acquisizioni) e prepararsi con una struttura patrimoniale più solida e con maggior equity darà loro più possibilità di vincerla.

Tutto ciò ha almeno tre implicazioni per i vari attori.

Primo: i decisori politici possono favorire la patrimonializzazione delle imprese con interventi che premino l’aumento dell’equity. Un primo passo è stato fatto con la legge di bilancio 2020 che ha reintrodotto l’Ace (aiuto alla crescita economica) che consente di godere di una agevolazione della tassazione sul reddito delle imprese in funzione dell’aumento del loro patrimonio netto. Il nuovo governo potrebbe valutarne un eventuale aumento. Così come dovrà impegnarsi per dare veloce attuazione agli interventi di patrimonializzazione delle imprese tramite il “patrimonio rilancio” gestito dalla Cassa depositi e prestiti.

Secondo: le famiglie imprenditoriali dovranno decidere di mettere a disposizione dell’impresa nuove risorse proprie o di coinvolgere altri attori che possano apportare capitale di rischio. In ogni caso, dovranno far crescere una cultura dell’equity che è fatta anche di una separazione più professionale dei ruoli della proprietà e del management. Ciò implica, tra l’altro, far funzionare a dovere i consigli di amministrazione con membri non esecutivi e indipendenti. La loro presenza, sempre sulla base dei dati dell’Osservatorio Aub, è collegata all’aumento di operazioni di merger & acquisition.

Terzo: se gli operatori di private equity (fondi, club deal e altro) faranno scelte di struttura patrimoniale e finanziaria delle aziende target più orientate all’utilizzo di capitale di rischio, il loro impatto positivo sulla crescita e la redditività di tali imprese sarà ancora più elevato.

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Il Punto

  1. Alberto Isoardo

    Accertato che l’Italia è il paese degli industriali ricchi e delle aziende povere, rimane il fatto che sarebbe davvero utile agevolare ed incentivare il finanziamento delle imprese da parte dei cittadini in forme che garantiscano vantaggi per il capitale di rischio. Inoltre gli investitori dovrebbero mettere i loro soldi in aziende che abbiano vincoli nella remunerazione dell’alta dirigenza al fine di creare dei multipli che abbiano un legame sia con lo stipendio medio pagato ai lavoratori, che con l’effettivo incremento di produttività e di redditività dell’azienda.
    Queste richieste non sono bolsceviche, mi sembra che se ne parlasse anche a livello di ILO e sono ormai ritenute essenziali perchè non è possibile assistere a manager con gravi responsabilità che vengono liquidati con milioni di €, oppure che ricevano milioni di € a prescindere dalle performance aziendali.
    Sarebbe anche ipotizzabile che i dividendi pagati ai privati non vengano tassati a fronte di un investimento non speculativo e quindi di durata, ad esempio, superiore ai dodici mesi.

  2. Tema da sempre fondamentale per la crescita dell’impresa, oggi ancora di più pensando a come rilanciare il business post pandemia. A mio avviso ciò che è stato attuato fino ad oggi è poco appetibile (ACE, bonus ricapitalizzazioni, ecc..). Fermo restando che occorre una rinnovata cultura dell’equity, la proposta avanzata da parte del CNDCEC nei mesi scorsi va in tale direzione, poiché si prevede un “superbonus della ricapitalizzazione delle imprese”. Si tratta di un incentivo che potrebbe rafforzare la solidità delle imprese e la loro capacità di rimborso dell’indebitamento, evitando
    peraltro allo Stato di intervenire ulteriormente al soddisfacimento delle garanzie che verrebbero attivate
    dalle banche qualora le imprese debitrici non fossero in grado di onorare i debiti contratti. Il meccanismo ideato, di semplice attuazione, prevede che per ogni Euro di aumento di capitale viene
    riconosciuto un Euro di contributo pubblico nella forma di credito d’imposta cedibile anche a terzi. Per evitare fenomeni distorsivi, sono contemplati limitazioni, in particolare nei cosiddetti gruppi di imprese.
    Inoltre, tale piano dovrebbe essere rivolto essenzialmente alle imprese che nel 2020 rispetto all’esercizio precedente hanno subito un calo di fatturato significativo e un aumento del rapporto capitale di debito / mezzi propri superiore a una determinata soglia.

  3. Roberto Camporesi

    Credo che sarebbe interessante approfondire il tema della patrimonializzazione delle imprese comparando la situazione italiana con quella di altri paesi europei e valutare le diverse forme di incentivazioni utilizzate per irrobustire la patrimonializzazione delle imprese..

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