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GameStop: le regole in gioco

La vicenda GameStop mostra come tecnologia e aspirazioni sociali e politiche rendano oggi possibile un nuovo e concreto livello di ingerenza sulle sorti delle imprese e dei mercati. E solleva serie domande su chi governa questi fenomeni: social e app.

Protagonisti e trama della vicenda

Negli ultimi giorni ha ricevuto grande eco sulla stampa finanziaria e non, ma la singolare vicenda GameStop merita attenzione anche oltre i tecnicismi dei mercati finanziari.

Cominciamo dagli attori in gioco. GameStop è una società americana, quotata alla borsa di New York, gestisce una catena di negozi per la vendita di videogiochi in tanti paesi (solo a Milano si contano diverse insegne) – con qualche forzatura è un modello originariamente simile a quello di Blockbuster per i film. È ora messa in difficoltà dal fatto che oggi i software per lo più si scaricano direttamente da internet. Ryan Cohen è un azionista di GameStop. Ad agosto aveva acquisito una partecipazione rilevante e da novembre ha iniziato una campagna “attivista” chiedendo alla società di investire nell’e-commerce. Ha ottenuto l’approvazione dei manager e degli investitori e, di conseguenza, un posto nel consiglio di amministrazione. Melvin Capital (e altri) è un fondo d’investimento che, davanti alle possibili difficoltà di GameStop, ha effettuato vendite allo scoperto (dette anche “short-selling”), ossia vendita di titoli presi a prestito con l’aspettativa di riacquistarli in seguito per consegnarli al prestatore. Si tratta della strategia di chi scommette sulla discesa dei prezzi di una società quotata. Reddit è un social di notizie, intrattenimento e discussione; si caratterizza per limitati filtri alle esternazioni degli utenti e pur mostrando una certa diversità ed eterogeneità di vedute, secondo alcuni, ha consentito la diffusione di posizioni particolarmente offensive o almeno controverse. Robinhood è una app per la negoziazione di titoli online da parte di investitori non professionali, caratterizzata da costi e commissioni molto basse o nulle.

La trama – semplificata – della storia è presto detta: dopo l’intervento di Ryan Cohen e un temporaneo aumento del corso delle azioni di GameStop, sono scesi in campo alcuni short-sellers che, scommettendo sulla discesa dei prezzi, hanno contribuito al peggioramento della quotazione. Gli short-sellers possono talvolta essere antipatici, in quanto speculatori al ribasso, ma svolgono un ruolo importante, seppur delicato, nel fornire informazioni e liquidità al mercato (ad esempio, hanno avuto un ruolo nel recente scandalo tedesco Wirecard).

Intanto, principalmente su Reddit, si sono sviluppate comunità e si sono diffusi messaggi volti a sostenere le quotazioni di GameStop. La reazione a catena era motivata e sostenuta non solo e non tanto da obiettivi finanziari, ma dal desiderio di una risposta “dal basso” a quella che veniva descritta come una speculazione di potenti finanzieri di Wall Street contro una piccola società, in una ricostruzione non priva di connotazioni populiste.

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Sullo sfondo, vi è uno degli effetti collaterali della pandemia: la crescita nell’utilizzo di piattaforme di negoziazione a basso costo, compresa Robinhood, accessibili direttamente da utenti privati tramite app. Nei noiosi mesi di confinamento sanitario, non tutti si dedicavano a fare il pane e a guardare le serie Netflix, molti – soprattutto in America – preferivano giocare in borsa.

Tramite questi strumenti, un buon numero di persone, spesso a digiuno di finanza, raggiunte dal grido di battaglia lanciato sui social, hanno iniziato ad acquistare con gusto le azioni di GameStop. Ciò ha determinato un rialzo straordinario dei prezzi della società, nell’ordine del 3mila per cento, grande volatilità e volumi di scambio pari a circa il totale delle società tecnologiche, nonostante le ripetute sospensioni del titolo per eccesso di rialzo, talvolta decise dalle stesse piattaforme di negoziazione (Robinhood, per questa ragione, è oggetto di una class action di investitori che si ritengono danneggiati dal non aver potuto operare con continuità). Le perdite per gli short-sellers sono state pesantissime.

Il potere delle piazze virtuali

Sulla vicenda sono in corso indagini e contenziosi. Dal punto di vista più tecnico, la volatilità che si è creata comporta significativi rischi, e l’esito finale è ancora tutto da vedere. Di fronte al florilegio di comenti, battute, post, oltre a condotte più tradizionali, resta ad esempio da verificare se vi siano state condotte manipolative e, ovviamente, c’è il problema della tutela dei piccoli risparmiatori che si improvvisano dealer tramite piattaforme a basso costo.

Ma il punto più interessante e complesso della vicenda supera gli argini del diritto dei mercati finanziari per sollevare domande di grande attualità sul ruolo dei social media (qualcuno dice “anti-social”) nella diffusione delle idee; sul rapporto tra tecnologia e integrità dei mercati; sul confine tra istanze socio-politiche in senso lato e impresa; nonché su ruolo, funzione e persino significato simbolico delle società commerciali.

La vicenda di GameStop mostra ancora una volta l’enorme, e poco regolato, potere delle piazze virtuali anche sulla finanza e pone, in diversi termini, la questione se i social possano ritenersi responsabili dei contenuti diffusi dagli utenti, e se sì a quali condizioni. La novità più eclatante, tuttavia – sebbene non siano mancati precedenti meno estremi – sta nel fatto che l’attivismo dei piccoli risparmiatori, in grado qui di contrastare sofisticati hedge funds, è stato ispirato soprattutto dal desiderio di “dare una lezione” a soggetti percepiti come speculatori dei poteri forti, nella tipica – quanto spesso malintesa – tradizione americana di Main Street contro Wall Street.

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Si tratta di un diverso capitolo che però s’inserisce nel rinnovato interesse per il ruolo e l’impatto sociale di imprese e finanza. Un’attenzione che porta a utilizzare strumenti diversi per suggerire, imporre, sanzionare, richiedere condotte a manager, amministratori e investitori professionali. In fondo, azioni giudiziarie basate sull’impatto borsistico di comportamenti socialmente discutibili ancorché di per sé non vietati, proposte in assemblea, scelte di investimento coerenti con determinate finalità extra-economiche, impegni più o meno vincolanti del management a tener conto di interessi diffusi, discussioni sul ruolo delle maggiori società nel finanziare la politica: tutto ciò rientra nella sempre maggiore consapevolezza del grande pubblico che la società azionaria è l’attore non solo economico, ma anche sociale e politico forse più importante della modernità e che le battaglie di idee devono coinvolgere direttamente le imprese, spesso prima e più che la politica. Un fenomeno facilitato da strumenti tecnologici che riducono costi di transazione e difficoltà di coordinamento di soggetti dispersi, ma amplificano asimmetrie informative. Se i cosiddetti “diritti fondamentali” sono spesso in primo piano, i rapporti tra social, finanza e diritto societario, potenziali veicoli di irrazionalità se non di piccole o grandi bolle, pongono problemi inediti che richiedono una messa a punto degli strumenti giuridici tradizionali.

I titoli Gamestop paiono oggi cominciare a scendere. Tra qualche mese la vicenda potrebbe rivelarsi una tragedia, una commedia o un meno emozionante documentario. Resterà, però, un vivido esempio di come tecnologia e pulsioni socio-politiche consentono un nuovo livello di ingerenza, anche molto concreto, sul governo e le sorti delle imprese e dei mercati e sui corsi di borsa; un’ingerenza non solo motivata da finalità economico-finanziarie, ma spesso confusa, suscettibile al tumulto delle folle, che accanto a un discutibile sapore democratico solleva rischi nuovi per quelle stesse folle, moderate e governate dai nuovi, non democraticamente eletti e poco controllati o controllabili, gatekeepers dell’informazione: i social e le app.

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  1. Savino

    La gente comune, tanto vituperata, ha a cuore le sorti dell’economia, macro e micro, della conservazione dei posti di lavoro, delle nuove prospettive di sviluppo ed occupazionali, di ciò che è il bene ed il benessere per tutti, molto di più dei signori speculatori della finanza, padroni distratti delle sorti del mondo, evidentemente perchè le disponibilità le possiedono comunque. Quando muori di fame, come avviene a causa delle conseguenze di crisi e pandemia, dimostri responsabilità e sale in zucca.

  2. Enrico

    Sinceramente non ci vedo nulla di strano, se non che per una volta non sono stati i grandi fondi speculativi a dirigere il prezzo (ovviamente se un fondo investe 1 miliardo di Euro in un titolo con grandi acquisti, mi aspetto che poi salga e rivendendo capitalizzare un guadagno).
    Come ho detto, per una volta questa dinamica e´ sfuggita al controllo dei grandi fondi. L´accesso dei piccoli risparmiatori ai mercati tramite queste piattaforme non ha fatto altro che renderli liberi di investire senza farsi sepnnare dalle commissioni e dalle “consulenze”.
    Certo per gli investitori non professionali si puo delineare un utilizzo simile al gioco d´azzardo, ma non e´ quello che hanno fatto anche i grandi fondi creando le bolle speculative?

  3. Claudio

    Va bene come difesa degli investitori istituzionali , meglio chiamarli speculatori di professione, lecitamente ammessi nei mercati regolamentati. Libertà che però deve essere concessa comunque a tutti, basta che si rispettino le regole che vanno modificate quando cambia il contesto, come del resto avviene sempre. Si ricorda il passaggio dai “recinti alle grida” al mercato telematico? Ma sarebbe anche interessante se si trovasse qualche normativa fiscale che facesse pagare le tasse a questi signori e gli si invogliasse ad essere un pò meno “sale del economia” e più contribuenti disciplinati. Come sa bene la residenza fiscale di questi Hedge Fund non è mai nel Paese in cui operano, ma sempre in delle belle isole esotiche. Magari con quei soldi, si potrebbe dare un pò più di istruzione a tutti così da lasciarli con meno tempo libero davanti un pc a non fare nulla se non qualche danno (riparabile).

  4. Marcello

    Mi sembra che manchi una risposta alla domanda cruciale che questa pone cosa è diventato il mercato finanziario? Nel 1936 Keynes nel capitolo 12 della Teoria Generale, dedicato proprio ai mercati finanziari e alle aspettative di lungo periodo, scriveva che il mercato finanziario non era diventato altro che un grande Casinò. Scriveva Keynes che diversmnete dai tempi in cui gli investiitori ricorrevano al mercato finanziario per finanziare il loro progetto, l’andamento della quotazione di un asset non aveva più nulla a che fare con i fondamentali e con il valore netto dei ricavi futuri attesi. Il gioco dei grandi operatori non era quello di valutare le performance attese di un ‘azienda, ma solo anticipare ciò che il mercato pensava sarebbe successo e soprattutto anticipare il cambiamento della convinzione corrente. Il caso di Gamestop è esattamente la conferma di questo. I grandi prevedono-cercano di determinare un cambiamento dell’opinione sul titolo, i piccoli, di solito vittime designate di questo meccanismo, perchè detentori di informazioni limitate, capiscono l’operazione e fanno ciò che da sempre rappresenta una possibile risposta, si coalizzano e attuano una strategia opposta. Tutto quello che è accaduto non ha nulla a che vedere con l’economia e le performace attese di un’azienda, è pura scommessa e startegia. Davvero vogliamo che il nostro futuro, a cominciare dalle pensioni integrative, dai risparmi, dalla ricchezza accumulata sia gestito da scommettitori?

  5. Flavio

    Questo articolo mi pare un po’ asimmetrico, diciamo. Da un punto di vista economico-finanziario perché speculazioni al rialzo non vanno bene mentre quelle al ribasso sì? Gli hedge fund sono regolamentati? Se sì, bene, allora regolamentiamo anche i piccoli investitori social, ma non proibiamone le attività.

  6. Giorgio

    Chiedo all’autore di argomentare meglio in che modo e in che misura gli hedge fund svolgano “un ruolo importante, seppur delicato, nel fornire informazioni e liquidità al mercato” e come questo ruolo non si applichi alla negoziazione di titoli online da parte di investitori non professionali, coordinati attraverso social network.
    Perché da ultimo un piccolo investitore deve temere di più l’azione combinata di social e app rispetto a quella degli hedge fund?

  7. “tecnologia e pulsioni socio-politiche consentono un nuovo livello di ingerenza sul governo e le sorti delle imprese e dei mercati e sui corsi di borsa” così scrive l’autore verso la fine dell’articolo. Mi colpisce la parola “ingerenza”. E’ quella che usa il Partito Cimunista Cienese quando qualcuno si permette di parlare del Tibet. Erchè “ingerenza”? Chi dovebbe controllare gli affari interni di imprese, mercati e corsi di borsa? Forse solo grandi investitori istituzionali, i loro trader, i loro bonus annuali?

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