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Sulla didattica a distanza ascoltiamo gli studenti

L’università di Modena e Reggio Emilia ha condotto un’indagine tra i suoi studenti per comprendere come il lockdown abbia cambiato lo studio e l’esperienza universitaria. I risultati offrono interessanti spunti di riflessione sul ruolo degli atenei.

L’indagine dell’università di Modena e Reggio Emilia

In una scuola primaria di Castiglione di Ravenna, le insegnanti hanno elaborato insieme agli alunni una riflessione sulla didattica a distanza: come in un processo, con tanto di giudice (il pedagogista Andrea Canevaro), è stata data l’occasione ai bambini di riflettere sulla loro esperienza valutandola criticamente in un serrato confronto tra accusa e difesa. Il “processo” ha messo in luce aspetti positivi e negativi, luoghi comuni e un verdetto finale: la scuola a distanza viene assolta purché si metta in gioco per favorire un salto di qualità e di inclusione che parta da questa esperienza per irrobustire la qualità della scuola pubblica del dopo-emergenza.

E all’università? Come tutti gli atenei, anche l’università di Modena e Reggio Emilia ha dovuto affrontare il lockdown: conoscere le condizioni di vita e di studio degli studenti durante la fase di emergenza è sembrato indispensabile, non solo per comprendere la fase attuale, ma anche per orientare le scelte future sull’offerta didattica e i servizi universitari e le scelte degli studenti, attuali e prossimi. L’indagine online si è svolta tra l’8 aprile e il 2 maggio 2020 ed era rivolta ai 27.792 studenti di Unimore che il 6 aprile non avevano ancora presentato la domanda di laurea. Per gli studenti che hanno risposto all’indagine (circa il 20 per cento) sono state raccolte informazioni sulle condizioni materiali e personali e sull’organizzazione dello studio e della didattica a distanza.

Condizioni di vita e materiali

Unimore (nelle sedi di Modena, Reggio Emilia e Mantova) ha goduto di un vantaggio rispetto ad altre realtà dove la provenienza degli studenti è più variegata. I dati ci raccontano che il 73,4 per cento dei rispondenti non ha dovuto cambiare radicalmente la propria situazione abitativa perché residente con la famiglia di origine sul territorio regionale. La vocazione territoriale dell’ateneo ha eliminato un fattore di stress e disagio organizzativo che invece è stato sperimentato da altri studenti quando hanno preferito rientrare nelle famiglie di origine in una regione più lontana.

Se l’annullamento degli spostamenti logistici può aver fatto apprezzare i servizi online, è da sottolineare come gli studenti lamentino il dover rimanere lontano da dipartimenti, biblioteche, aule studio e dalla socialità della vita universitaria. Dispositivi elettronici e una connessione internet adeguati sono infatti essenziali per accedere alle lezioni, consultare, scaricare e stampare i materiali didattici, studiare e sostenere gli esami, ma non sempre gli studenti ne dispongono a casa. Il 3,3 per cento di coloro che ha risposto all’indagine non ha un dispositivo elettronico per lo studio, il 2 per cento ha solo uno smartphone per studiare o dispositivi obsoleti o ricevuti in prestito e quasi il 13 per cento ha una connessione scarsa o pessima: queste condizioni non consentono a tutti di seguire le lezioni a distanza, di scaricare le registrazioni o i materiali didattici e rendono difficile lo svolgimento di esami in remoto.

Il dato importante sulle disuguaglianze sociali ed economiche, sul divario infrastrutturale tra spazi domestici e spazi universitari deve far riflettere sull’imprescindibile carattere tradizionale – in presenza – dell’università.

L’insegnamento a distanza

La grande maggioranza di studenti ha seguito le lezioni online con una soddisfazione media sufficiente, senza grandi differenze in termini di anno di corso. Accanto alla soddisfazione, c’è però da rilevare la più netta sensazione di carico e di affaticamento. Passare molte ore davanti a un monitor per seguire le lezioni rende più pesante e faticoso prendere appunti e seguire le lezioni, anche per la difficoltà a rimanere concentrati. Se un terzo degli studenti ha abbracciato la didattica in remoto con entusiasmo, due terzi lamentano confusione e insofferenza, smarrimento e insoddisfazione e circa quattro studenti su dieci sono “sperduti”, insoddisfatti dell’apprendimento e confusi su come uscire da questa situazione.

La didattica di emergenza svolta in remoto sembra quindi necessitare di un quadro di regole chiaro, chiedendo ai docenti di rispettarlo in modo rigoroso. I suoi punti di forza riguardano per lo più la maggiore flessibilità nella fruizione della didattica: proprio per questo gli studenti suggeriscono il suo mantenimento anche dopo l’emergenza per chi studia e lavora. Assenza di interazione e difficoltà di fruizione della didattica sono per converso i punti di debolezza secondo altri gruppi di studenti. Altri ancora segnalano l’inefficace gestione delle lezioni online da parte dei docenti, i limiti della tecnologia e l’incertezza per lo svolgimento di esami, laboratori e tirocini.

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L’organizzazione dello studio

Anche se depuriamo i dati dagli effetti dell’emergenza che ha trovato tutti impreparati, è innegabile che circa il 40 per cento degli studenti abbia rilevato problemi nell’organizzazione dello studio e tre quarti hanno reagito all’emergenza modificando il proprio modo di studiare. A conferma dell’importanza delle infrastrutture universitarie, sono proprio la chiusura delle biblioteche e l’assenza di interazione coi colleghi ad aver reso più difficoltosa l’organizzazione dello studio.

L’analisi ha restituito una differenza di genere molto significativa e per certi versi inattesa. Le studentesse riportano infatti un ulteriore elemento di aggravio nello studio: la condivisione dei ruoli di cura e gestione nella sfera domestica. Doversi occupare dei minori, degli anziani o di ammalati incide negativamente sulla capacità di gestione dei tempi di studio delle studentesse rispetto agli studenti, rimandando al tema della diseguale distribuzione dei carichi di lavoro nella sfera domestica ed extradomestica che evidentemente pesa anche sulle giovani studentesse.

L’indagine ha messo in luce alcuni aspetti specifici relativi all’affaticamento dovuto al tempo trascorso davanti allo schermo: una condizione che oggettivamente deve essere affrontata offrendo agli studenti indicazioni su come meglio fruire della didattica, anche tenendo conto degli effetti sulla postura, la vista e la concentrazione.

Spunti di riflessione

Ci sono dei tratti della didattica in remoto forzata dall’emergenza che sono propri di una fase che supereremo nei prossimi mesi, ma ci sono altri elementi che affondano le radici su quanto era già in atto prima del Covid-19, nelle condizioni di vita e di studio, nelle attitudini e nei risultati raggiunti. La didattica e i servizi offerti agli studenti nei prossimi semestri ne dovranno tenere conto per uscire da questa fase senza (o con meno) dispersione. Anzi, ci sono elementi per uscirne migliori di prima: senza puntare solo sull’eccellenza, ma su uno sforzo collettivo per aumentare l’efficacia dell’insegnamento universitario.

E le risposte degli studenti di Unimore offrono una valutazione della didattica a distanza per alcuni versi analoga a quella che emerge a Castiglione di Ravenna per la scuola primaria: far diventare gli studenti protagonisti della discussione è un contributo importante per spostare l’asse del ragionamento dall’analisi all’azione, come già sta avvenendo nei singoli dipartimenti nei vari atenei.

Come procedere

I risultati dell’indagine confermano la necessità di non ideare azioni destinate allo studente tipo, ma di definire quali siano quelle specifiche necessarie per i diversi gruppi di studenti, nei vari dipartimenti, nei diversi anni di corso e nelle diverse condizioni di studio e di accesso alle risorse indispensabili per lo studio universitario.

Quattro linee di azione sembrano essere basilari. La prima, preliminare, è accertare che gli studenti siano dotati di dispositivi digitali e connessione internet adeguati, integrando economicamente, e in modo tempestivo, chi non fosse in grado di far fronte a quell’acquisto.

La seconda riguarda la flessibilità nell’offerta didattica per favorire il riallineamento tra i programmi di studio e l’effettivo superamento degli esami che gli studenti avevano in programma per il semestre che si è concluso e per il prossimo. Se la didattica in presenza resta elemento distintivo delle università pubbliche, in attesa di accedere in sicurezza agli spazi universitari, le lezioni in remoto in modalità sincrona favoriscono l’organizzazione da parte degli studenti delle attività di didattica e di studio. Consentendo agli studenti di accedere anche alle lezioni registrate si potrebbe ridurre il divario dovuto alla qualità dell’accesso in streaming in modalità sincrona (per le condizioni della connessione internet). Alcuni atenei stanno elaborando una didattica mista che fa tesoro dell’uso degli spazi in presenza per registrare lezioni destinate a chi potrà solo seguirle in remoto.

Non è chiaro quali saranno i meccanismi di accesso in presenza o in remoto e c’è il rischio che la didattica in presenza diventi un fattore di discriminazione economica tra chi potrà permettersi una sistemazione da fuori sede e chi non potrà permettersela. Ma sarebbe importante mantenere aperto lo sguardo anche sul potenziale che una modalità mista lascerebbe a chi non può frequentare in presenza. Proprio nella fase di incertezza che ci accompagnerà nel prossimo semestre, mantenere il collegamento con i docenti e compagni di corso attraverso la didattica a distanza potrà essere un modo per non interrompere il legame con lo studio.

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Il sistema di benefici agli studenti e il merito ci avevano fatto pensare che le università italiane stessero riducendo i divari sociali. Pensare agli effetti della pandemia in questa prospettiva è un tema che ancora non sembra emergere nell’agenda degli atenei.

La terza azione riguarda il potenziale di miglioramento della qualità della didattica che può prendere spunto dalla riflessione che si è sviluppata nei mesi scorsi, non solo attraverso l’ascolto delle esperienze degli studenti, ma anche di quanto i docenti hanno messo in gioco per ottenere l’obiettivo di un insegnamento portato a termine con una progettazione modificata in corso d’opera. Progettare un corso in remoto richiede molto tempo, esattamente come accade per i corsi in presenza, e nella didattica di emergenza i docenti hanno dovuto elaborare in tempi strettissimi una riorganizzazione non solo dei tempi e modalità di erogazione della didattica, ma anche di temi, oltre che modalità di interazione con gli studenti. Molti studenti e docenti hanno apprezzato potenzialità delle tecnologie digitali prima ignorate, come quelle che consentono la didattica con piccoli gruppi di studenti (in sessioni di discussione/esercitazioni), il coinvolgimento e l’auto-organizzazione degli studenti per attività di studio o di approfondimento, l’approfondimento su una varietà di temi che non sempre riescono a trovare spazio nel tempo scandito dall’orario delle lezioni nel programma definito all’inizio del corso.

La quarta linea di azione riguarda le biblioteche universitarie, nella duplice funzione di spazi dove studiare e di materiali per studiare. Dall’indagine sugli studenti è emerso che le abitazioni non sempre hanno spazi adeguati allo studio. Nelle sedi universitarie è allora importante pensare ad aree, anche provvisorie, proprio a questo destinate. Nei comuni che non sono già sedi universitarie, le biblioteche e gli spazi pubblici potrebbero entrare nel circuito essenziale del sostegno agli studenti. In molti casi si tratterebbe di piccoli numeri, spesso gestibili su scala locale, in cui gli spazi pubblici riannoderebbero quel legame tra l’uscire di casa e lo studiare che ha formato intere generazioni di studenti.

Ma le biblioteche sono anche i luoghi dove si ha accesso ai materiali da studiare: quelle universitarie hanno fatto moltissimo per generalizzare l’accesso a molte risorse digitali, ma anche per favorire la consultazione di libri e riviste. Pensiamo ai laureandi di molte discipline che senza poter accedere ai libri in formato cartaceo hanno visto alterate le condizioni essenziali per la preparazione del loro lavoro di tesi. A loro va data priorità negli accessi, individuando le specifiche condizioni di sicurezza.

Sugli esami sono state messe in atto molte diverse soluzioni: il problema è tecnologico, ma anche organizzativo e riguarda essenzialmente la sorveglianza.

Una considerazione finale riguarda proprio il nesso tra tecnologie digitali e modelli di organizzazione: le scelte che i diversi atenei intraprendono potrebbero avere effetti di lock-in, ma potrebbero anche aprirsi a un potenziale di trasformazione che dalla didattica attraversa il coinvolgimento di tutto il personale tecnico e amministrativo degli atenei. Senza il contributo essenziale di tecnici e amministrativi, la didattica a distanza non sarebbe stata possibile. Ma non lo è neanche la didattica in presenza: lo hanno colto molto bene gli studenti e i docenti di Unimore rispetto alle soluzioni che i tecnici e gli amministrativi hanno saputo trovare e alla presenza trasversale che offrono su molti servizi ai docenti e agli studenti. Insomma, il Covid-19 ci spinge a guardare dentro l’università, e non solo al ranking tra gli atenei, e all’importanza dell’università nel territorio che ospita le sue sedi e in cui vivono gli studenti.

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  1. Ruben Benatti

    La DAD è la morte dell’Università, senza se e senza ma. Solo gli studenti che non hanno voglia possono apprezzarla, in quanto consente molte scappatoie all’esame. Faccio notare che sia nei licei che all’università, nel paese dove lavoro (Ungheria), è stato sottolineato un calo di rendimento e impegno durante la didattica online. Fatevi due domande…

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