Trovato il nuovo assetto proprietario per Aspi, è il momento di pensare a una strategia rispetto al mercato delle concessioni autostradali. Se fossero di più e di dimensioni più ridotte, darebbero più garanzie su manutenzione e sicurezza.
Nuovo assetto proprietario per Aspi
Il Consiglio dei ministri della notte tra il 14 e il 15 luglio sembrerebbe aver trovato una soluzione alla questione dell’assetto proprietario di Autostrade per l’Italia (Aspi), una questione che si trascinava ormai da due anni e che molta incertezza istituzionale e regolatoria ha prodotto.
Ma chi ha vinto? Sono stati così risolti i problemi di sicurezza della rete autostradale?
L’operazione ipotizzata prevede un aumento di capitale sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, che salirebbe, controllandola, al 33 per cento del capitale di Aspi, e lo scorporo della concessionaria da Atlantia, con il subentro di alcuni investitori istituzionali, che dovrebbero arrivare al 22 per cento. Il piano prevede pure la collocazione in borsa, entro il 2021, del 50 per cento del capitale sociale, con una verosimile riduzione delle partecipazioni proprio di Cdp e dei fondi di investimento. L’operazione sulla governance di Aspi produrrebbe l’esautorazione di fatto della famiglia Benetton dalla concessionaria, con un subentro e un ruolo sostanziale giocato dallo stato.
Da un punto di vista politico, il governo ha sicuramente messo a segno un punto importante. In futuro, però, bisognerà vedere come la riorganizzazione, in qualche modo forzata, verrà percepita da investitori internazionali potenzialmente interessati al mercato delle concessioni autostradali in Italia. Da un lato, infatti, il piano chiude una situazione di incertezza estrema, che aveva prodotto forti oscillazioni di Atlantia in borsa, e di conseguenza anche nei risparmi delle famiglie che su quel titolo avevano investito. Dall’altro, il subentro dello stato per un sospetto di mala gestio, certamente fondato, ma non ancora certificato da un tribunale, potrebbe esporre l’Italia alla diffidenza di investitori interessati alla cosiddetta rule of law, ovvero al rispetto della legge e alla sua applicazione.
Una strategia per il mercato
Se il nuovo assetto proprietario produrrà gli effetti desiderati per ciò che riguarda una maggiore sicurezza delle infrastrutture a un più basso prezzo per l’utenza, è difficile dirlo. Sicuramente, allo stato attuale, non si hanno notizie di soci industriali nella compagine azionaria di Aspi e questo potrebbe essere un grande limite, soprattutto in termini di una profonda riorganizzazione aziendale, necessaria se si vuole aumentare il livello di efficienza nella gestione della rete. In seconda istanza, la convenzione in essere andrebbe emendata per incorporare il nuovo metodo di formazione della tariffa secondo un meccanismo di price-cap, mentre la convenzione firmata all’atto della concessione ad Aspi non lo prevedeva, cosicché questa innovazione si configurerebbe come una significativa modifica degli accordi contrattuali. La nuova tariffa comporterebbe un abbassamento del tasso di rendimento degli investimenti di circa 4 punti percentuali (dall’11 al 7 per cento circa), che si manifesterebbe poi in una riduzione dei costi per l’utenza di circa il 5 per cento.
Ma perché Aspi possa fare meglio sul fronte della sicurezza con eventuali minori disponibilità finanziarie, è necessario prevedere una profonda revisione dei meccanismi che in passato hanno definito la spesa in manutenzione ed è allo stesso tempo necessario migliorare le attività di controllo in capo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Sempre da un punto di vista industriale, è necessario che il governo costruisca una strategia rispetto al mercato delle concessioni autostradali. Attualmente, Aspi ha in concessione circa il 60 per cento della rete italiana. Con la riorganizzazione dell’assetto proprietario, attraverso Cdp, lo stato subentrerebbe e controllerebbe questa quota. È una situazione da valutare con cura poiché potrebbe limitare in maniera significativa la concorrenza in un settore che giusto ora si avviava, con una nuova regolazione, verso più elevati livelli di competitività. L’Autorità di regolazione dei trasporti ha proposto un price cap con un parametro che regola l’efficientamento (ovvero, la riduzione dei costi operativi che si richiede ai concessionari ogni anno) calcolato attraverso una procedura di benchmark. Ma se il 60 per cento della rete sarà nelle mani dello stato, l’intera procedura potrebbe esserne influenzata in maniera significativa.
La medesima, nuova, regolazione prevede poi bacini ottimali per le concessioni di 315 chilometri di rete, anche in relazione ai necessari interventi manutentivi, mentre Aspi ne ha attualmente in concessione circa 2.700. Con l’uscita di Atlantia dalla compagine azionaria, perché non fare un passo in avanti e immaginare un percorso che possa portare a otto-nove gare di dimensioni più piccole, che potrebbero davvero garantire maggiore efficienza nella manutenzione e nella sicurezza? L’intervento potrebbe anche aumentare l’attrattività del nostro mercato autostradale, con benefici per gli utenti stessi.
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