La diffusione del Covid-19 nelle Rsa è sotto i riflettori in Italia e in tutto il mondo. Sono però profonde le differenze di misurazione e tante le carenze nei dati. Attenzione perciò ai confronti e alle conclusioni affrettate.
Il Covid-19 nelle Rsa
L’emergenza Covid-19 colpisce in modo particolarmente violento la popolazione anziana, in Italia e non solo. L’Istituto superiore di sanità riporta 31.359 deceduti sopra i 60 anni fino al 10 giugno, pari al 95,4 per cento del totale. A livello globale il 70 per cento dei decessi ufficiali da Covid-19 riguarda gli over65 (Who); negli Usa, la percentuale sale all’80 per cento e in Svezia al 90 per cento.
In questo quadro, si è discusso molto della diffusione del virus all’interno di strutture dedicate all’assistenza agli anziani, in primo luogo le residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Ma che cosa sappiamo veramente sull’andamento dei decessi nelle strutture in Italia e nel mondo? Finora ben poco, e i confronti internazionali risentono di importanti limitazioni.
Prime evidenze internazionali
In tutti i paesi dotati di un sistema di welfare strutturato (paesi europei, Nord America e alcuni stati asiatici), la principale risposta alla non autosufficienza degli anziani è costituita da servizi di tipo residenziale. L’International Long Term Care Policy Network (ILPN) ha provato a raccogliere le prime evidenze disponibili sulla mortalità nelle Rsa in ventuno paesi distribuiti su quattro continenti (tabella 1). Allo stato attuale, serve essere estremamente cauti nella comparazione internazionale diretta di questi dati per almeno quattro ragioni:
- la definizione e l’inquadramento giuridico delle residenze (nursing home) variano di paese in paese, portando potenzialmente a includere servizi assistenziali diversi e quindi una quota maggiore di decessi;
- solo un numero contenuto di paesi, seppur in progressivo aumento, ha reso pubblici i dati ufficiali circa la mortalità da Covid-19 nelle Rsa;
- molti paesi non specificano quanti tra i decessi avvenuti in ospedale siano riferiti a pazienti provenienti da Rsa. I dati inglesi, per esempio, dimostrano come questo dettaglio possa restituire un potenziale informativo molto alto: nel caso specifico, i decessi nelle Rsa sono il 27 per cento del totale, i decessi di pazienti di Rsa è il 38 per cento;
- ciascun paese ha adottato politiche di screening differenziate e, soprattutto, diverse modalità per registrare i decessi (nella popolazione e, di conseguenza, nelle strutture).
I governi hanno infatti adottato tre approcci principali per quantificare i decessi da Covid-19, che possono includere:
- solo i soggetti accertati, ossia che sono risultati positivi al tampone (prima o dopo la morte). È il caso, tra gli altri, di Italia, Germania, Norvegia e Corea del Sud. Questa modalità coglie in maniera accurata i decessi causati dal virus, tuttavia rischia di restituire un valore sottostimato in quanto pochi paesi sono in grado di testare tutti coloro che presentano sintomi. Inoltre, in molti paesi i tamponi nelle Rsa sono stati fatti solo in una fase avanzata dell’epidemia, lasciando fuori dai radar i decessi precedenti;
- soggetti accertati e sospetti, questi ultimi identificati sulla base dei sintomi presentati. Questa modalità di calcolo è attualmente adottata da Belgio, Canada, Francia, Irlanda. Il vantaggio è di restituire un dato che non risente del limite legato alla diffusione dei tamponi, il rischio è di compiere un’errata attribuzione dei decessi al virus;
- morti “aggiuntive”, comparando i decessi del periodo pandemico con quelli del periodo equivalente degli anni precedenti, utilizzato soltanto nel Regno Unito. Questo approccio è tra quelli considerati più solidi per capire l’effettivo impatto del virus sulla popolazione, poiché include anche i decessi indirettamente legati a Covid-19.
La tabella 1 riporta una panoramica dei decessi legati a Covid-19 tra la popolazione dei paesi analizzati e nelle Rsa. Fino a oggi, Francia e Regno Unito sono i soli a pubblicare regolarmente dati ufficiati sui morti accertati sia in Rsa che provenienti da Rsa. Sebbene non sia appropriato fare comparazioni dirette tra paesi, la quota di decessi da Covid-19 tra i residenti in Rsa sul totale registrato nella popolazione varia dallo zero di Hong Kong all’82 per cento del Canada. In generale, tra i paesi che considerano unicamente i morti accertati, la quota di decessi di ospiti Rsa è di circa il 30-40 per cento del totale. Interessante è il caso della Corea del Sud, che ha deciso di ospedalizzare tutti i sospetti, registrando di conseguenza solo decessi di pazienti Rsa avvenuti in ospedale. Si rimanda al report per approfondimenti dei singoli paesi.
La figura 1 dà una rappresentazione grafica dei dati della tabella 1, confrontando il totale dei decessi da Covid-19 nella popolazione in relazione alla quota di decessi in Rsa.
E l’Italia?
L’Italia non rientra nei dati esposti, per due ordini di ragioni: oggi non esistono dati ufficiali a livello nazionale sui decessi in Rsa legati a Covid-19. L’unica fonte disponibile è una survey avviata e promossa tra le Rsa dall’Istituto superiore di sanità a partire dal 24 marzo 2020 (quasi due mesi dopo i primi casi registrati allo Spallanzani di Roma) con l’obiettivo di tracciare i decessi Covid-19 accertati e sospetti nelle strutture avvenuti tra febbraio e aprile. I risultati non vengono aggiornati dal 14 aprile. In secondo luogo, l’assenza di politiche di screening a tappeto nelle strutture, salvo un parziale cambio di rotta di alcune regioni (per esempio, Toscana, Emilia-Romagna e Liguria) da fine marzo, ha limitato fortemente l’emersione di casi.
L’indagine dell’Iss ha un tasso di risposta contenuto, tuttavia sembra confermare l’ipotesi che i decessi legati a Covid-19 nelle strutture siano ben superiori a quelli riportati nei bollettini ufficiali. Dai dati raccolti, riferiti al periodo 1° febbraio – 14 aprile, emerge un tasso di mortalità medio del 8,2 per cento tra i residenti delle strutture. Tra i 6.773 soggetti deceduti, solo 364 (il 5,3 per cento) erano risultati positivi al tampone per Covid-19 e 2.360 (il 34,8 per cento) avevano presentato sintomi simil-influenzali. In sintesi, il 40,2 per cento dei decessi (2.724/6.773) potrebbe essere riconducibile a Covid-19. Non sono tuttavia disponibili i dati per un confronto con gli stessi periodi degli anni precedenti.
I dati pubblicati da Ats Milano (Agenzia tutela salute) sui decessi nelle Rsa del proprio territorio di competenza sono ancora più allarmanti: il 59,6 per cento dei morti del periodo 20 febbraio – 20 maggio risulta riconducibile al Covid (accertato o sospetto).
Un fenomeno enorme, ma non sappiamo ancora quanto
Con il passare delle settimane, le evidenze nazionali e internazionali consolidano la consapevolezza che gli anziani ospiti di Rsa sono particolarmente colpiti da forme acute di Covid-19 e che, di conseguenza, registrano alti tassi di mortalità. Allo stesso tempo, più fattori limitano la possibilità di fare confronti internazionali per valutare le diverse strategie di gestione del fenomeno, complice la scarsa precisione nella raccolta dati di molti paesi. L’Italia, se la si confronta con altri stati sulla disponibilità e affidabilità delle informazioni, appare comunque meno attrezzata: mancano dati ufficiali e sistematici sulla mortalità e sulla diffusione del contagio, partendo così da una posizione svantaggiata nell’impostare una fase di convivenza con il virus per le residenze per anziani.
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