Finora le regioni hanno stanziato 4 miliardi per interventi a sostegno delle famiglie e del sistema produttivo nell’emergenza Covid-19. Una prima mappatura delle misure mostra quanto può essere vantaggiosa la collaborazione tra stato e sistema regionale.
Misure regionali nell’emergenza
Le regioni hanno intrapreso, autonomamente, interventi per finanziare misure a sostegno dei redditi e delle imprese per fronteggiare gli effetti del lockdown deciso a livello centrale nell’emergenza sanitaria dovuta al “coronavirus”. I provvedimenti e le iniziative delle regioni sono complementari o aggiuntive rispetto a quelle attivate dal governo.
I dati di seguito riportati (disponibili nell’Osservatorio Issirfa) per ciascuna regione sono stati ricavati dall’analisi delle delibere delle giunte regionaliindirizzate espressamente al sostegno delle famiglie e del sistema economico in risposta all’emergenza Covid-19 e pubblicate sui rispettivi siti istituzionali. La selezione dei provvedimenti è stata effettuata considerando solo quelli che hanno comportato rimodulazioni e variazioni dei bilanci regionali finalizzati alle iniziative di sostegno dovute al coronavirus.
Le misure regionali tese a offrire sostegno alle famiglie hanno riguardato principalmente la concessione di contributi una tantum o voucher per fare fronte all’acquisto di beni di prima necessità, alle spese per accudire i figli nel periodo di chiusura scolastica, per promuovere la didattica a distanza, per sostenere gli inquilini con contratto di locazione a libero mercato che si trovano in emergenza abitativa.
I soggetti beneficiari sono in genere i nuclei famigliari con Isee che ricade in un intervallo prefissato, quelli già a carico dei servizi sociali, i soggetti che hanno subito una contrazione del reddito a causa dell’emergenza Covid-19 o quelli che hanno perduto il posto di lavoro o hanno dovuto cessare la propria attività professionale. Le risorse finanziarie destinate a tali misure sono state veicolate a chi ne aveva diritto prevalentemente (oltre il 90 per cento) attraverso il trasferimento di quote ai comuni.
Le misure a favore delle imprese comprendevano sia contributi, anche a fondo perduto, sia il finanziamento degli strumenti di credito, attraverso l’attivazione delle finanziarie regionali, nonché il finanziamento degli strumenti di garanzia, con il coinvolgimento della rete dei confidi regionali. A favore delle piccole imprese e degli artigiani sono stati messi a disposizione specifici strumenti di micro credito.
Gli interventi programmati dalle regioni per fronteggiare l’emergenza Covid-19, oltre che su risorse rinvenibili nei rispettivi bilanci, hanno potuto contare sulla rimodulazione dei fondi strutturali.
Fino al 5 maggio, le regioni hanno messo sul piatto oltre 4 miliardi di euro, suddivisi tra 1,3 miliardi per il sostegno alle famiglie e 2,9 per il sostegno al sistema produttivo. In valore assoluto, primeggia la Campania (908 milioni), seguita dal Piemonte (751 milioni) e dalla Puglia (670 milioni), tutte le altre seguono a distanza. Il 4 maggio la Lombardia ha approvato la legge regionale n. 9 “Interventi per la ripresa economica”, con un investimento triennale superiore ai 3 miliardi di euro, di cui 83 milioni a disposizione nel 2020. Le misure prevedono investimenti pubblici per gli enti locali per 400 milioni di euro (viabilità, sicurezza strade, scuole, edifici pubblici, mobilità sostenibile), 2,47 miliardi di euro per la ripresa economica e 130 milioni di euro per altri investimenti strategici. La copertura finanziaria dell’intero importo è assicurata attraverso il ricorso all’indebitamento.
La tabella 1 e la figura 1 riportano i dati standardizzati per numero di residenti. Le due province autonome di Bolzano e Trento hanno stanziato rispettivamente 350 e 250 euro per abitante, in larga parte rivolte a sostenere il sistema produttivo. Un quadro simile emerge per altre quattro regioni – Valle d’Aosta, Piemonte, Puglia e Molise – che destinano alle imprese buona parte degli interventi.
Le regioni che hanno adottato interventi più cospicui sono pertanto le province autonome, quelle a statuto speciale e le grandi regioni del Sud, oltre al Piemonte e al Molise. La posizione nelle retrovie delle tre regioni più colpite dall’emergenza sanitaria (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) si può spiegare con lo sforzo prioritario, anche dal punto di vista finanziario, che hanno dovuto sostenere per tutelare la salute dei loro cittadini.
Le fonti di finanziamento
La figura 2 riporta le fonti delle risorse impiegate negli interventi, suddivise tra risorse derivanti dei bilanci regionali e risorse derivanti dalla riprogrammazione dei fondi strutturali non ancora impegnati. Le regioni del Sud – Campania, Puglia, Calabria e Sicilia – sono quelle che hanno attinto in larga parte ai fondi strutturali, come era lecito attendersi, in quanto sono le maggiori beneficiarie della politica di europea coesione. A loro si aggiungono anche il Veneto, il Molise e l’Umbria. Le altre regioni hanno invece attinto a fondi propri e, in particolare, non hanno utilizzato i fondi europei le due province autonome di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta e la Toscana. Finora anche la Sardegna e la Lombardia hanno usato solo marginalmente i fondi europei, ma la prima ora sta riprogrammando risorse del fondo sociale europeo verso nuovi interventi di sostegno.
Una cooperazione auspicabile
Gli interventi delle regioni non hanno una potenza di fuoco pari a quella messa in campo dal governo, per ovvie ragioni di bilancio. Tuttavia, mostrano che il sistema regionale ha una capacità di reazione importante, complementare a quella nazionale. L’intervento dello stato, infatti, è per sua natura omogeneo sul territorio. Come emerge anche dai testi delle delibere raccolte nell’Osservatorio, l’articolazione delle risposte regionali ha invece l’obiettivo di modulare il sostegno sul territorio, andando a toccare le diverse necessità in base alla struttura demografica e produttiva specifica di ogni regione.
Al di là delle polemiche che hanno accompagnato il burrascoso rapporto tra stato e regioni nella gestione dell’emergenza Covid-19, il quadro degli interventi offre uno spaccato positivo di come lo stato centrale e i governi regionali possono agire in modo virtuoso all’interno dell’impianto regionalista. Quest’ultimo, al netto di alcune intemperanze di qualche governatore (ma forse non ve ne sono tra la classe politica nazionale?) può permettere una gestione efficace dell’economia italiana, all’interno di una leale cooperazione tra stato e regioni, che però è tuttora in uno stato di immaturità istituzionale e di improvvisazione politica.
La cooperazione dovrebbe essere incardinata all’interno di una più efficace suddivisione dei compiti, come altrove diffusamente trattato. Con lo stato da un lato proiettato all’esterno, in particolare in Europa, dove si giocano le partite più delicate in materia di politica economica; e dall’altro proiettato all’interno, nel delineare i principi generali delle politiche e degli interventi di contrasto al divario territoriale. E con un sistema regionale organizzato per articolare localmente e per amministrare le politiche economiche, in modo coerente con le esigenze di un sistema economico sempre più caratterizzato da differenze regionali.
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