I dati relativi al mercato del lavoro di marzo mostrano una tenuta dell’occupazione, un netto crollo della disoccupazione e un aumento degli inattivi. Ma la difficoltà nel reperire i dati rende queste stime fortemente provvisorie e stranamente in controtendenza rispetto al resto dei paesi europei.
I dati di marzo
Il crollo dell’occupazione dovrebbe essere conseguenza naturale del virus, dal momento che buona parte delle economie avanzate sono ormai ferme da più di un mese. Su questo sito si era parlato dei primi dati esteri disponibili sui nuovi disoccupati desumibili dalle richieste di sussidi, mentre studiando le comunicazioni obbligatorie del Veneto era emerso come la discesa degli occupati dipendesse soprattutto dalle mancate assunzioni, dal momento che i licenziamenti sono stati bloccati per decreto.
Proprio il blocco dei licenziamenti sembra aver avuto l’effetto sperato in tutta Italia: secondo i dati Istat usciti il 30 aprile, l’occupazione di marzo è calata solo dello 0,1 per cento rispetto a febbraio e dello 0,5 per cento su base annua. I disoccupati sono diminuiti di 267mila unità (-11,2 per cento), portando il tasso di disoccupazione all’8,4 per cento. Per ritrovare un tasso inferiore a questo bisogna tornare addirittura al luglio 2011.
Ma com’è possibile che in un periodo così duro per l’economia italiana i dati sul mercato del lavoro siano così buoni? Due i motivi:
1. La crescita degli inattivi.
I disoccupati sono le persone che non hanno un lavoro, ma lo stanno cercando. Le persone che erano disoccupate a febbraio e non lo sono più a marzo non hanno trovato un lavoro (diventando occupati), ma hanno semplicemente smesso di cercarlo (diventando inattivi).
Esiste infatti un terzo dato che non abbiamo considerato: la crescita degli inattivi. Nel mese di marzo i nuovi inattivi sono stati 301mila, portando il tasso di inattività al 35,7 per cento (+0,8 per cento).
2. Gli ostacoli alla raccolta dei dati causata dall’emergenza.
I dati raccolti dall’Istat per il mese di marzo sono pochi e incompleti, nonostante alcune azioni correttive da parte dell’istituto ne abbiano comunque permesso la diffusione. La scarsa numerosità campionaria non ha permesso il rilascio dei dati con la consueta disaggregazione (per esempio per età e per tipo di contratto di lavoro). L’Istat stessa ha sottolineato che le stime sono da considerarsi provvisorie e potrebbero subire forti variazioni nel momento in cui aumenteranno le informazioni disponibili.
Rispetto al quarto del 2019, il primo trimestre del 2020 presenta un calo degli occupati di 94mila unità (-0,4 per cento). Calano anche i disoccupati (-5.4 per cento, pari a 133mila unità) mentre crescono fortemente gli inattivi (+1,5 per cento, pari a 192mila unità).
Nell’arco dei dodici mesi, alla diminuzione degli occupati si accompagna il calo dei disoccupati (-21,1 per cento, pari a 571mila unità) e l’aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+4,4 per cento, pari a +581mila).
La discrepanza con i dati europei
La bassa affidabilità dei dati si nota anche dalla situazione in controtendenza dell’Italia rispetto all’Ue: i dati Eurostat ci dicono che in tutti i paesi dell’Unione il tasso di disoccupazione è aumentato o è rimasto stabile, mentre in Italia è diminuito. La compensazione della minore disoccupazione da parte del maggior numero di inattivi è una spiegazione plausibile, ma allora come mai la stessa cosa non è successa negli altri paesi europei? La sensazione è che i problemi di raccolta dell’Istat siano importanti e che bisognerà attendere parecchio tempo prima di ottenere dati chiari e completi che possano darci un’idea dell’impatto del Covid-19 sul mercato del lavoro.
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