È stata bollata come sciocchezza. Invece vale la pena di ragionare sull’idea di favorire la mobilità universitaria interna da Nord verso Sud. Perché la perdita di capitale umano nel Meridione indebolisce le potenzialità di sviluppo di tutto il paese.
Uno sguardo ai dati sulla mobilità universitaria
A molti è apparsa balzana l’idea di aumentare i flussi della mobilità universitaria interna all’Italia utilizzando le leve di un programma il cui respiro è europeo. E tuttavia, al netto dello specifico dell’Erasmus, l’ipotesi pone un problema interessante. Occorre riflettere sui modi possibili per favorire gli scambi di idee e persone anche all’interno dei confini nazionali e, in particolare, su come incrementare la mobilità da Nord verso Sud.
In Italia sono molti gli studenti fuori regione e non si tratta solo di ragazzi che dal Sud vanno a studiare nelle regioni del Nord. A causa di una ridotta offerta formativa, i tassi di mobilità sono particolarmente alti per i residenti in regioni piccole come la Valle d’Aosta, la Basilicata, il Molise e il Trentino – Alto Adige. Se si considerano i dati relativi all’anno academico 2018-2019, la percentuale di studenti residenti in queste regioni che si immatricolano in un ateneo fuori dalla zona di residenza raggiunge valori anche di molto superiori al 50 per cento. Percentuali piuttosto alte, superiori al 30 per cento, si riscontrano anche per regioni più grandi, dove pure vi è un’ampia presenza di sedi universitarie. Molte di queste regioni sono meridionali, ad esempio Puglia (36 per cento), Calabria (39 per cento) e Sicilia (32 per cento), ma non mancano regioni del Centro Nord, come Veneto (32 per cento), Liguria e Marche (30 per cento). Ma mentre molte regioni del Nord sono interessate sia da flussi in uscita che in entrata, quelle del Mezzogiorno conoscono solo quelli in uscita. Il quadro della mobilità tra macro-aree geografiche attesta che al 28 per cento di ragazzi meridionali che si immatricolano in un ateneo del Centro-Nord corrisponde una mobilità inversa dell’1,8 per cento.
Figura 1 – Percentuale di immatricolati fuori regione di residenza anno 2018-2019
Fonte: Miur – Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca
Figura 2 – Percentuale di immatricolati fuori macro-area di residenza anno 2018-2019
Fonte: Miur – Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca
Il moto unidirezionale verso il Nord rischia di produrre, nel medio termine, effetti esiziali per le università meridionali. Già si conoscono i risultati della diminuzione degli immatricolati in termini di minori finanziamenti. A ciò si aggiunge il fatto che, nelle dinamiche della trasmissione dei saperi, gli studenti concorrono fattivamente alla qualità dei processi formativi. A emigrare sono in maggioranza ragazzi che provengono da un contesto socio-familiare più agiato, che spesso hanno avuto un percorso formativo più sorvegliato e che non di rado arrivano all’università disponendo di competenze iniziali migliori. Riuscire a trattenere questi studenti, o richiamarne da altre regioni, è importante al pari dell’attrazione di risorse economiche. Avere in aula ragazzi vivaci, disposti a ibridare conoscenze, a mettersi in gioco, contribuisce decisivamente a migliorare la qualità del percorso; incide attivamente sulla qualità della lezione del docente; rimanda al cuore della missione specifica dell’università.
La fuoriuscita emorragica di forze tra le migliori del Sud Italia – giovani che nella maggioranza dei casi non fanno ritorno nelle regioni di origine – rendono deboli non solo le potenzialità di sviluppo del Meridione, ma non di meno quelle del paese. Difficilmente l’Italia riuscirà a tornare a tassi di crescita consistenti senza il contributo del Sud. Inoltre, l’aumento della diseguaglianza regionale può avere effetti importanti in termini di polarizzazione dell’elettorato, con conseguenze non facilmente prevedibili: un facile esempio è quello della Brexit.
Bisogna tener presente che la divergenza economica è legata al fatto che la capacità di innovare è distribuita in maniera disomogenea tra le diverse aree geografiche. Al Sud, mancando flussi in entrata di giovani provenienti da altre aree geografiche, è sempre più difficile l’innescarsi di processi innovativi e di rottura di sistemi tradizionali di gestione delle risorse.
Cosa potrebbe cambiare con un (simil) Erasmus Nord-Sud
Rifarsi all’Erasmus è soltanto un modo per affrontare la questione, perché, per come è concepito quel modello, è impossibile che possa riguardare gli scambi Nord-Sud.
Il programma europeo coinvolge molte università di diversi paesi e ciò rende possibile avere per ciascuna sia una domanda che un’offerta. Difficile replicare ciò all’interno di un solo stato, soprattutto quando vi sono disparità di condizioni socio-economiche tra le sue diverse aree. Sarebbe impresa ardua convincere gli studenti della Bocconi o del Politecnico di Torino a trascorrere un semestre in un’università del Sud quando la maggior parte di loro ha la possibilità di andare in atenei stranieri di maggior prestigio. A ciò si aggiunge che mentre i confini tra paesi sono definiti, tracciarne uno all’altezza di Roma e stabilire che il progetto di scambio dovrebbe aver luogo superando quella linea crea problemi di non facile soluzione.
Tutto ciò, però, non può far disconoscere un problema reale. Pensare a un modo, come suggeriscono le Sardine, per rendere biunivoci gli scambi è interessante e potrebbe avere ricadute positive. Si potrebbe ad esempio ideare un sistema simile a quello spagnolo, in cui si favorisce la mobilità tra diverse università entro i confini nazionali, magari prevedendo borse di studio particolarmente favorevoli per chi sceglie di trascorrere periodi in università che sono localizzate nei contesti socio-economici in maggiore difficoltà. Contemporaneamente, andrebbe favorita la mobilità dei docenti e di altri dipendenti della pubblica amministrazione. Programmi di questo tipo potrebbero probabilmente essere finanziati all’interno di specifiche misure europee.
Ragionare sul problema della formazione in un’ottica d’insieme è importante per l’università italiana e non per le università del Sud, così come capire come fermare lo spopolamento e l’impoverimento di capitale umano del Meridione non è un problema del Sud, ma del paese. Questo è il messaggio da cogliere. Sguardi di sufficienza e “benaltrismi” non appaiono necessari.
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