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Regioni sempre più autonome. In tutto il mondo

Il potere delle regioni si rafforza ovunque. L’aumento di forme di decentramento differenziato, a livello fiscale, politico e amministrativo, è una delle tendenze del federalismo. Lo testimoniano le esperienze di Italia, Spagna, Regno Unito e Canada.

Una struttura amministrativa sempre più decentralizzata

Se in Italia la discussione sull’applicazione del meccanismo che consente alle regioni a statuto ordinario di ampliare le proprie competenze – ai sensi dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione – sembra essersi nuovamente arenata, l’incremento di forme di decentramento differenziato è una delle dieci tendenze principali che oggi caratterizzano il federalismo nel mondo. I numeri, del resto, lasciano poco adito a dubbi. Nel contesto globale, il potere delle regioni è in continua crescita, come certifica l’incremento in termini di Regional Authority Index (Rai) per 52 paesi su 81 analizzati (tutte le nazioni Ocse, Ue e dell’America Latina, oltre ad altre 10 nazioni europee e 11 del Sud-Est Asiatico e del Pacifico): due terzi di questi stati presentano infatti una struttura amministrativa con almeno un elemento di differenziazione, che si declina lungo le dimensioni fiscale, politica e amministrativa. Incoraggiare e realizzare appropriate forme di federalismo differenziato è poi una delle linee guida che l’Ocse suggerisce per rendere il decentramento funzionale allo sviluppo regionale.

L’indice in Italia, Spagna, Regno Unito e Canada

Partendo dai singoli punteggi del Rai, è stato possibile costruire due misure sintetiche: il differenziale e il punteggio medio. Il primo indicatore è calcolato come differenza tra lo score più alto e quello più basso fatti segnare all’interno di ciascuno stato, offrendo una approssimazione della varianza dell’autorità regionale e confermando le asimmetrie esistenti. La seconda misura rappresenta il potere che, in media (ponderando per la popolazione residente), le regioni esercitano nei vari paesi.

Se guardiamo in particolare alle esperienze di Italia, Spagna, Regno Unito e Canada, vediamo che il nostro paese è quello dove le differenze interne sono più contenute, con un solo punto a separare regioni a statuto ordinario e speciale. Il Regno Unito, invece, è il paese dove le differenze sono più consistenti e derivano dalla fortissima discrepanza tra la Scozia e le regioni inglesi, che tra l’altro sono state abolite a partire dal 2012. Circa le medie, si nota che le regioni spagnole e canadesi godono complessivamente di un maggior potere rispetto a quelle italiane e, soprattutto, rispetto a quelle inglesi.

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Ma vediamo gli elementi distintivi delle esperienze di federalismo differenziato nei tre paesi.

Il tratto caratteristico del decentramento asimmetrico spagnolo è il cosiddetto “regime forale” concesso alle regioni di Navarra e Paesi Baschi, due delle regioni differenziate spagnole. È un regime che garantisce una fortissima autonomia fiscale, con la possibilità di decidere indipendentemente l’aliquota e la base imponibile della maggior parte dei tributi. Se l’elemento principale è di natura fiscale, ciascuna comunità autonoma ha comunque potuto negoziare con il governo centrale un numero differente di competenze e poteri, distinguendosi così dalle altre.

La differenziazione nel Regno Unito assume i connotati di una vera e propria devolution, in quanto alcune regioni (Scozia, Galles e Irlanda del Nord) sono costituite legalmente come livelli separati di governo. È una forma particolarmente rafforzata di decentramento. Le differenze, radicate a livello sia politico sia fiscale e amministrativo, si acuiscono alla luce del fatto che le regioni inglesi, eccezion fatta per quella di Londra, sono state abolite a partire dal 2012 e che il grado di potere esercitato è alquanto differente.

Similmente a quello italiano, anche il modello canadese denota tratti asimmetrici principalmente politico-amministrativi. L’elemento caratterizzante è la cosiddetta opzione di “opting out”, ossia la facoltà permessa alle province e ai territori canadesi – le entità che costituiscono il livello regionale – di recedere dai programmi federali ricevendo le necessarie risorse per la gestione in proprio del programma. Nel corso del tempo, la clausola di rinuncia è stata esercitata soprattutto dal Quebec, la provincia dove l’identità locale è più forte, anche per questioni linguistico-culturali.

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  1. Ermes Marana

    Mamma mia! Col 2020 la qualitá degli artcioli de La voce é caduta in picchiata, pare di leggere twitter.

    Che senso ha questo articolo? Comparare arance e sedie per dire che la “secessione dei ricchi in salsa italiana” é buona e giusta? Spagna e Regno Unito hanno compentenze regionali molto sviluppate per precisi motivi storici, tanto che si parla di “Comunitá Autonome” nel primo caso e di veri e proprie “Nazioni” nel secondo caso. Ma chi scrive evidentemente non segue lo sport o si sarebbe accorto che Galles e Scozia hanno nazionali proprie. Il Canada poi é un caso estremo considerando che stiamo parlando di una nazione recente con una suddivisione della popolazione sul terriorio tale da rendere impossibile qualsiasi gestione “centralista”.

    Che tristezza…

    • Camillo

      Anche la Repubbica Federale Tedesca o la Confederazione Elvetica sono frutto di “secessione dei ricchi” ? Vai a saperlo.

  2. paolo

    eppure il voto Lombardo-veneto-emiliano è stato snobbato dalla nuova maggioranza (maggioranza !??!) con il paradosso che in questa compagine brancaleonesca molti hanno simpatia per barcellona e per la scozia in quanto contro governi di cattivissimi mentre qui il vero interesse è nel mantenere il consenso al sud creando situazioni assistenziali continuative in stile Achille Lauro.

    Occhio signori che gli immigrati che risiedono in queste regioni al momento buono daranno man forte ad un rigurgito indipendentista contro il sud, mancando il collante nazionale non esiste alcuna remora a staccarsi da qualcosa non proprio e che va contro i propri interessi.

    Ma fallo capire ad una sinistra che in Italia vince solo insieme ai cattolici o per colpo di stato dettato da Bruxelles

    • Francesco Ferraro

      Certamente, ci sarà un forte rigurgito indipendentista. Il virtuoso nord rinuncerà volentieri a incassare gran parte dell’IVA su prodotti venduti in altre regioni italiane. Rinuncerà altrettanto volentieri agli introiti derivanti dalla gestione di beni culturali e servizi pubblici collocati nel meridione. Le sue virtù, poi, gli permetteranno felicemente di fare a meno degli introiti della migrazione sanitaria. Dovrà finalmente smettere di finanziare l’impiego pubblico meridionale, sebbene la spesa pubblica e il numero di dipendenti per abitante siano in proporzione nettamente inferiori al sud. Naturalmente, però, sarà costretto a smettere di fare quello che fa da un secolo e mezzo: lamentarsi e addossare ogni colpa ad altri.

  3. Nadia

    Complimenti all’autore per l’articolo, in particolare per la capacità di trattare un argomento così variegato e complesso, in maniera chiara e sintetica. Finalmente, qualcuno che tratta la materia federalismo senza gli schemi prefissati della politica, ma in maniera tecnica e oggettiva, facendo affidamento su dati reali e robusti. Complimenti, davvero!

  4. Nicola

    e’ possibile avere le fonti? Se é vero che il RAI e aumentato, si tratta di un indicatore sintetico che somma variabili per lo piu’ binarie, pertanto non propriamente quantitative.

    La letteratura scientifica ha sottolineato come, invece, dal 2009-2011, i trasferimenti finanziari stato-regioni, le regole di vincoli di bilancio e altri prerequisiti vari hanno creato il “paradosso” di un incremento formale dell’autonomia (il RAI cresce) ma una sostanziale ri-nazionalizzazione di molte politiche, al punto che la letterature sembra concorde nel dire che la crisi abbia portato a una sostanziale ritorno agli stati-nazione. Forse questa conclusione appare esagerata, ma in un commento non si puo’ spiegare tutto. Sarebbe utile avere le fonti e una riflessione critica su questo indicatore.

  5. Nicolò Florenzio

    Ciao Andrea! Complimenti, articolo molto ben scritto. Vale la pena esprimerti un mio dubbio. Come si sposa questa tendenza al federalismo e al decentramento in un’epoca in cui, sia a livello internazionale sia a livello nazionale, vi sono dei problemi che richiedono un coordinamento affinatissimo tra i diversi enti amministrativi? Penso al raggiungimento dei target europei per abbattere le emissioni, all’utilizzo dei fondi per la transizione energetica, alla gestione della crisi sanitaria e anche alla gestione delle politiche attive del lavoro in Italia. Non pensi che siano tutti temi che demandino un maggiore sforzo a livello centrale, piuttosto che una spinta al decentramento?

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