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Solo la parità tra uomo e donna dà libertà di scelta

Il divario di genere nel tempo dedicato alla famiglia e alla cura è ancora forte in Europa, solo nei paesi del Nord si è raggiunta una parziale parità. C’è necessità di aumentare le possibilità di scelta per uomini e donne, senza imporre un unico modello.

I costi dei divari di genere

Il mondo in cui viviamo continua a proporre persistenti divari tra uomini e donne, come evidenziano i dati e le analisi di due recenti rapporti, uno sulla questione della parità in Europa (Commissione europea/Saage) e uno su ruoli e stereotipi (Istat).

È ancora accettabile che nelle società moderne avanzate le opportunità dipendano dall’essere maschio o femmina? Quali costi ne derivano? Non è solo una questione di diritti da garantire, ma anche di favorire la piena espressione delle scelte professionali e di vita che migliorano la partecipazione delle persone alla produzione di benessere (economico e sociale) di un paese.

La disparità fra donne e uomini in termini di opportunità di partecipazione al mercato del lavoro e nella sfera familiare è stata spesso interpretata solo dal lato della discriminazione femminile. Da questa prospettiva, le donne (in particolare le madri) subiscono la penalità di essere coloro che nella coppia “fanno figli”, scontata in termini di minor opportunità di carriera e di salario. Tuttavia, negli ultimi anni si è presa coscienza del fatto che esiste una penalità anche per i padri, laddove le istituzioni e i valori diffusi sostengono l’immagine dell’uomo-lavoratore unico responsabile del benessere economico della famiglia (il cosiddetto breadwinner). Questa immagine va a discapito, infatti, del tempo che i padri dedicano alla famiglia e alla cura dei figli.

Conciliazione e divari di genere

Sebbene il panorama europeo in termini di politiche a sostegno della conciliazione famiglia-lavoro sia variegato, risulta ancora forte e diffuso il divario di genere nel tempo dedicato alla famiglia e alla cura. Secondo i dati Eurofound (2016), in media in Europa le donne dedicano 22 ore la settimana al lavoro domestico e di cura, contro le sole 10 ore degli uomini. Ovviamente, se si guarda cosa accade nei singoli stati, il contesto europeo appare molto articolato, con i paesi nordici più paritari e quelli del Sud che riportano invece maggior disparità di genere. Differenze nei modi in cui uomini e donne si ripartiscono i ruoli sono il riflesso di diversi sistemi di welfare, ovvero di politiche capaci di sostenere o meno un uguale coinvolgimento di donne e uomini tanto nel mercato del lavoro quanto nelle attività domestiche.

Dove il divario di genere persiste maggiormente (come nei paesi dell’Europa meridionale e orientale), ciò è dovuto principalmente alla presenza di politiche basate sul modello dell’uomo-breadwinner, che si riflette nella mancanza di efficaci strumenti di conciliazione famiglia-lavoro. La maggior parte delle misure adottate, infatti, mira a proteggere la maternità sotto forma di assegni familiari e congedo, mentre i servizi di assistenza all’infanzia (per esempio, asili nido) e i congedi riservati ai padri sono molto limitati. Tutte le politiche che mirano a sostenere la maternità senza favorire la scelta della madre di partecipare al mercato del lavoro e senza promuovere una cultura che dia valore al ruolo e al coinvolgimento degli uomini nella cura possono essere considerate implicitamente a supporto di una visione più tradizionale dei ruoli di genere, con la donna-madre casalinga e l’uomo lavoratore.

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Il modello dual-earner (dove entrambi i genitori hanno un reddito), invece, si riflette nelle politiche che garantiscono congedi di maternità remunerati, facile ricorso a contratti part-time e adeguati servizi per l’infanzia (come in Germania e in Francia, dove i posti negli asili nido sono numerosi e a costi molto ridotti, se non addirittura nulli). Tuttavia, anche in questo modello non è scontato che vi siano specifiche politiche rivolte ai padri, per incentivare il loro coinvolgimento nelle attività familiari, attraverso ad esempio congedi esclusivi e tempi di lavoro più adattabili alle esigenze familiari. Anche in questo caso, quindi, le madri possono trovarsi con doppio carico di responsabilità dato dal lavoro remunerato e da quello familiare.

Verso un modello Dedc?

In questi ultimi anni l’Unione Europea ha promosso l’adozione di politiche per favorire la diffusione di un modello di genere più egualitario. Si tratta del cosiddetto modello dual earner/dual carer (Dedc), dove entrambi i partner sono ugualmente coinvolti nel lavoro remunerato così come nella cura di bambini e familiari non autosufficienti (per approfondimenti si veda il nostro contributo nel report della Commissione europea/Saage).

Dove quel modello è già abbastanza diffuso (in particolare nei paesi del Nord Europa), il sistema di welfare è incentrato su politiche che consentono a entrambi i genitori di accedere a congedi esclusivi ben remunerati e flessibili, con un sistema pubblico di servizi per l’infanzia universale e capillare, e disponibilità di contratti part-time o modalità di lavoro flessibile. Va in tale direzione, per esempio, la recente proposta del nostro ministero delle Pari opportunità di allungare sensibilmente il congedo di paternità (portato già a 7 giorni con la legge di bilancio 2020), garantendo ai padri il 20 per cento del congedo obbligatorio, attualmente riservato interamente alle madri. Il congedo esclusivo, e remunerato al pari dello stipendio, rappresenta un incentivo alla partecipazione del padre alla cura dei figli fin dai primissimi mesi di vita, aiutando quindi l’instaurarsi di un legame più profondo e promuovendo la figura del padre attivo.

Tuttavia, sebbene la diffusione del modello Dedc si leghi a una più elevata uguaglianza di genere nella sfera lavorativa e familiare, è anche utile considerare le sue potenziali limitazioni laddove lo si ritenga “la via” per sviluppare politiche per la parità di genere.

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Il modello Dedc, infatti, assume che entrambi i genitori desiderino lavorare, indipendentemente dalle caratteristiche del proprio lavoro. E presuppone che entrambi i genitori abbiano lo stesso desiderio di trascorrere la stessa quantità di tempo nelle faccende domestiche e nella cura dei bambini. Anche in un contesto dove gli atteggiamenti di genere sono perlopiù egalitari, sia le madri che i padri possono avere preferenze diverse nel tempo e nelle energie che vogliono dedicare al lavoro e alla famiglia. Così come le coppie potrebbero avere necessità mutevoli riguardo a come allocare tempo e risorse nella sfera del lavoro e della famiglia: in questo caso l’adozione, anche solo momentanea, di modelli alternativi a quello paritario potrebbe essere preferibile.

A nostro giudizio, l’adozione del modello Dedc come privilegiato – e pertanto da promuovere attivamente nelle politiche pubbliche – dovrebbe rappresentare solo una fase transitoria per favorire la diffusione di atteggiamenti di genere più paritari. Ciò consentirebbe, infatti, a uomini e donne di sperimentare un uguale coinvolgimento nel lavoro retribuito e non retribuito, in modo da guidare il cambiamento culturale verso una graduale accettazione del modello Dedc come opzione reale, che tutte le coppie possono effettivamente prendere in considerazione.

Solo in un contesto di libera scelta e di fronte a opzioni effettivamente disponibili le politiche per sostenere la parità fra uomini e donne non sono necessarie, mentre va sempre garantita alle coppie la possibilità di adattare in modo flessibile i propri ruoli in funzione delle loro specifiche esigenze e preferenze. In altre parole, la distribuzione dei carichi di lavoro e cura nella coppia può anche essere asimmetrica (es. ci può essere chi si dedica più ai figli e chi invece alla carriera) e variare nel corso di vita, l’importante è che uomini e donne abbiano le stesse possibilità di scegliere se e come investire tempo ed energie per il proprio impiego e per la famiglia.

Questo articolo è stato pubblicato in contemporanea con Neodemos.

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  1. Ermes Marana

    Nel frattempo il Global Gender Gap Index 2020 dipinge un quadro impietoso per l’Italia (penultima in europa dietro la Grecia, escludendo Malta e Cipro che sono casi particolari) http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2020/the-global-gender-gap-index-2020/results-and-analysis/. E mentre tutti si congratulano del congedo di paternitá portato addirittura a 7 giorni (!!!) in Spagna é attualmente di 12 settimane che passeranno a 16 nel 2021; stessa durata del congedo di maternitá. Questo senza neanche considerare le varie agevolazioni fiscali e orarie nelle varie comunitá autonome.

    Ma vabbé meglio vedersi Sanremo che é uno spaccato federe del gender gap culturale.

  2. Mirko Zanette

    Tanti articoli e discorsi, in parte pure condivisibili, ma alla fine io penso che lo stato non abbia il diritto di stabilire come i ruoli si definiscono all’interno delle coppie. Quello che invece dovrebbe prioritariamente fare è mettere a disposizione questi benedetti asili nido gratis per tutti e con orari prolungati. Basterebbe questo.

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