La Corte costituzionale si apre all’ascolto della società civile, con un nuovo corso orientato a rendere trasparenti alcune prassi. Farà crescere nei cittadini la consapevolezza che non sono privi di tutela di fronte alle leggi di dubbia costituzionalità.
Per la Corte un ruolo essenziale
Qualcosa si muove a Palazzo della Consulta. Non è soltanto l’elezione, per la prima volta nella storia, di una donna, Marta Cartabia, alla presidenza, che ha contribuito a far puntare i riflettori su questa istituzione, solitamente assai trascurata dai media e poco nota all’opinione pubblica. Il comunicato stampa dell’11 gennaio 2020, dal titolo significativo “La Corte si apre all’ascolto della società civile”, annuncia una modifica sostanziale che la Corte, nella sua collegialità, ha apportato alle norme che regolano il proprio processo. Si tratta di un’innovazione senza precedenti nei suoi 64 anni di attività, suscettibile di riverberarsi sul rapporto della Corte con la società e sull’attitudine dei cittadini nei confronti dei poteri pubblici.
Giova ricordare che la Corte costituzionale è un organo costituzionale indipendente che ha il compito di vigilare sul rispetto della Costituzione, in primo luogo da parte del legislatore. Ha pertanto il potere di annullare le leggi incostituzionali, obbligando il governo, il Parlamento e, in definitiva, le maggioranze politiche democratiche a rispettare la Costituzione. Insomma, si tratta di un’istituzione chiave del nostro ordinamento, che, se guardata dal punto di vista dei cittadini, costituisce il completamento delle garanzie che offrono i giudici comuni. È una novità introdotta dai nostri costituenti, tra i primi a realizzare che per evitare le degenerazioni autoritarie occorreva trovare il modo di limitare anche le maggioranze politiche, poi ripresa in quasi tutti i paesi, al punto che è ormai inconcepibile una democrazia senza giustizia costituzionale.
La centralità del suo ruolo è sottolineata dalle decisioni che, negli anni, la Corte costituzionale ha adottato e che hanno cambiato la vita degli italiani: da quelle più antiche, sull’uguaglianza uomo-donna, i diritti dei lavoratori, la libertà di espressione, fino alle più recenti, in materia di fine vita, disabili, prostituzione, immigrazione. Decisioni che, spesso, non sono state indolori: hanno provocato reazioni irritate dei decisori politici e, in alcuni casi, non hanno ricevuto l’adeguata esecuzione da parte del Parlamento, inerzia che, a sua volta, ha obbligato la Corte, di nuovo chiamata a pronunciarsi, a ulteriori interventi.
Ebbene, una volta precisata la delicatezza dell’attività della Corte, si può facilmente comprendere anche l’importanza delle sue regole processuali. E, ancor più, quella delle motivazioni delle sue decisioni: che devono essere chiare, trasparenti, ben argomentate. In una parola, convincenti.
Le tre modifiche
Le modifiche annunciate l’11 gennaio vanno appunto in tale direzione Nel far questo, la Corte si è mossa nel solco tracciato dalla dottrina, in linea con le norme e la prassi di corti di altri paesi che svolgono analoghe funzioni. Anzi, potremmo dire che proprio il dialogo continuo con la dottrina e con le corti sue omologhe le abbia dato lo slancio per decidersi a questo passo.
Si tratta di tre principali novità. Innanzitutto, si introduce nel nostro ordinamento la figura dell’amicus curiae, consentendo ai soggetti portatori di interessi diffusi o collettivi, come le organizzazioni non governative e le associazioni di categoria, attraverso un procedimento assai semplice, di presentare brevi opinioni scritte per offrire alla Corte elementi utili di conoscenza. Inoltre, si consente alla Corte di convocare esperti di chiara fama, quando ritenga necessario acquisire informazioni su specifiche discipline, ascoltandoli in camera di consiglio. Infine, si precisa che i soggetti titolari di un interesse qualificato potranno assumere nel processo uno status equiparato alle parti del giudizio e se ne disciplinano i diritti.
Tutte e tre le modifiche intendono portare alla luce prassi che finora si erano svolte in modo non formalizzato: le memorie presentate da soggetti interessati, benché inammissibili, erano comunque lette dai giudici; oppure la Corte acquisiva informalmente informazioni tecnico-scientifiche; e fino a pochissimo tempo fa l’ammissibilità degli intervenienti si svolgeva in assenza di una precisa procedura.
La trasparenza che la riforma introduce, oltre a rappresentare un valore in sé, ha almeno due ulteriori risvolti. Da un lato, come recita il titolo del comunicato stampa, c’è l’apertura della Corte all’ascolto della società, ovvero alla voce di tutti quei soggetti organizzati che ritengano di aver qualcosa da dire. Il vero e proprio nuovo canale di comunicazione con la società potrà contribuire ad accrescere nei cittadini la conoscenza della Corte e la consapevolezza che non sono privi di tutela di fronte alle leggi di dubbia costituzionalità. Dall’altro lato, attraverso gli amici curiae e l’audizione degli esperti, la Corte ha la possibilità di acquisire, da fonti diversificate e in contraddittorio, elementi d’informazione che si rivelano sempre più necessari – specie in materie come quelle dell’ambiente, della bioetica, delle comunicazioni – e che potrà citare formalmente, adottando decisioni meglio argomentate.
Insomma, un passo lungamente atteso, che mostra la capacità di un’istituzione cruciale del nostro ordinamento di non voler vivere di rendita, ma invece di evolversi e autoriformarsi, nella prospettiva di un rinnovato dialogo con i soggetti e le esigenze che animano la società pluralista.
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